Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4347 del 23/02/2010

Cassazione civile sez. III, 23/02/2010, (ud. 27/01/2010, dep. 23/02/2010), n.4347

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NANNI Luigi Francesco – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – rel. Consigliere –

Dott. URBAN Giancarlo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

IMEP SRL (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro

tempore Sig. G.G., elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA MASSAROSA 3, presso lo studio dell’avvocato AMICI GIANCARLO, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato TOLOMEI VIERI

DOMENICO con delega a in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

LOCAT SPA (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

DELLE MILIZIE 140, presso lo studio dell’avvocato GINNIA PIERLUIGI,

rappresentata e difesa dall’avvocato GALLI GIOVANNI con delega in

calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1776/2005 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

Terza Sezione Civile, emessa il 07/06/2005; depositata il 05/07/2005;

R.G.N.3344/2003;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

27/01/2010 dal Consigliere Dott. FINOCCHIARO Mario;

udito l’Avvocato GIANCARLO AMICI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MARINELLI Vincenzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto 30 marzo 2000 il presidente del tribunale di Milano ha ingiunto alla IMEP s.r.l. il pagamento della somma di L. 59.240.652 in favore della LOCAT s.p.a. (succeduta a titolo universale alla Credit Leasing, Societa’ per il Leasing Finanziario s.p.a.) a titolo di corrispettivo per il riacquisto del bene, cui il fornitore si era impegnato con la stipulazione del contratto di leasing. Con atto 28 giugno 2000 la IMEP s.r.l. ha proposto opposizione, avverso tale decreto, innanzi al tribunale di Milano, deducendo, in limine, la nullita’ dell’opposto decreto perche’ non assistito da prova scritta, nel merito, la infondatezza della pretesa ex adverso azionata per insussistenza del credito vantato, e in via riconvenzionale l’inadempimento contrattuale della LOCAT s.p.a..

Ha chiesto per l’effetto l’opponente, da un lato, fosse dichiarata la nullita’ del decreto opposto o, comunque, la sua revoca, dall’altro, in via riconvenzionale, la risoluzione del patto di riacquisto accessorio al contratto di leasing, in via principale, per inadempimento della LOCAT, in via subordinata, per eccessiva onerosita’, atteso che anche nella eventualita’ il bene fosse risultato disponibile lo stesso era privo di qualsiasi valore.

Costituitasi in giudizio la LOCAT s.p.a. ha dedotto la infondatezza della opposizione, di cui ha chiesto il rigetto.

Svoltasi la istruttoria del caso l’adito tribunale con sentenza 3 aprile 2003 ha accolto la opposizione, con revoca del decreto opposto e condanna della LOCAT s.p.a. a restituire gli importi corrisposti alla IMEP maggiorati di interessi legali.

Gravata tale pronunzia dalla LOCAT s.p.a., nel contraddittorio della IMEP s.r.l che, costituitasi in giudizio, ha chiesto il rigetto della avversa impugnazione, la Corte di appello di Milano con sentenza 7 giugno – 5 luglio 2005 ha accolto l’appello e, in riforma della pronunzia del primo giudice, ha rigettato la opposizione proposta avverso il decreto 30 marzo 2000 dalla IMEP s.r.l., con condanna di questa ultima a restituire alla LOCAT s.p.a. la somma di Euro 22.296,40.

Per la cassazione di tale ultima pronunzia, non notificata, ha proposto ricorso, con atto 17 novembre 2005, la IMEP s.r.l., affidato a due motivi e illustrato da memoria.

Resiste, con controricorso notificato il 20 dicembre 2005 la LOCAT s.p.a..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il (OMISSIS) e’ stato concluso tra la Credit Leasing s.p.a.

– cui e’ succeduta a titolo universale la LOCAT s.p.a. – e la SALVATO s.r.l. un contratto di leasing avente a oggetto alcuni beni forniti dalla IMEP s.r.l..

Prevedeva tale contratto – per quanto rilevante al fine del decidere – in caso di risoluzione anticipata dello stesso per qualsiasi motivo:

– da una parte, l’impegno della IMEP s.r.l a riacquistare immediatamente i beni a un prezzo pari al valore risultante dalla somma dei canoni insoluti scaduti sino alla data della vs. fattura di vendita oltre agli interessi di mora contrattualmente previsti maturati, piu’ l’intero valore in linea capitale, risultante dal piano di ammortamento finanziario che segue, relativo ai canoni in scadenza successiva alla data della vs. fattura di vendita, piu’ il valore di riscatto previsto nel contratto;

– dall’altra, che sarebbe stato nostra cioe’ dell’IMEP s.r.l.

responsabilita’ e cura riprendere possesso dei beni e saranno a nostro carico tutte le spese relative, di qualsiasi natura anche legale. Nessuna responsabilita’ viene comunque da Voi (id est, Credit Leasing s.p.a., attualmente, LOCAT s.p.a.) assunta circa il suddetto recupero, restando in ogni caso come sopra determinato l’importo da noi a Voi dovuto, che vi sara’ prontamente corrisposto al ricevimento della vostra fattura, anche in caso di distruzione, perdita o irrecuperabilita’ dei beni.

Successivamente con nota 20 settembre 1994 la Cred.it Leasing s.p.a.

ha comunicato alla IMEP s.r.l. che abbiamo risolto anticipatamente il contratto di locazione finanziaria … in forza degli obblighi da voi assunti … Vi invitiamo a farci avere entro 15 giorni dalla data della presente l’importo di L. 49.367,210 + IVA ,. a ricezione della somma provvederemo a inviarvi regolare fattura.

In risposta a tale comunicazione la IMEP ha fatto presente di essere disposta al pagamento dell’importo gia’ scaduto solo dopo la consegna dell’impianto c/o ns. stabilimento e a pagare il debito residuo alle scadenze come da piano di ammortamento finanziario.

2. Sulla base dei riferiti elementi il primo giudice, evidenziato che il patto di riacquisto in discussione rappresenta un forma atipica di garanzia, volto a assicurare al concedente il rimborso del finanziamento in caso di insolvenza dell’utilizzatore, ha ritenuto:

– che la societa’ di leasing, pur non essendo obbligata alla consegna effettiva del bene, doveva trasferire la disponibilita’ giuridica dello stesso alla IMEP attribuendo a questa il titolo giuridico che le consentisse di riprendere materialmente il bene, pur restando a carico della IMEP il rischio in caso di distruzione, perdita o irrecuperabilita’ del bene stesso;

– che nella lettera 20 settembre 1994 nessuna disponibilita’ in tale senso era stata espressa dalla LOCAT e la fattura di vendita e’ stata emessa solo il (OMISSIS);

– che non ricorrono, di conseguenza, le premesse per la condanna dalla IMEP al pagamento delle somme indicate nel decreto opposto.

3. Diversamente, i giudici di secondo grado hanno ritenuto che il patto di riacquisto di cui si discute non e’ assimilabile a un contratto preliminare di retrovendita, condizionato alla risoluzione del contratto di leasing ma costituisce una offerta unilaterale irrevocabile di riacquisto, sottoposta alla condizione che il bene ritornasse nella disponibilita’ . . da intendersi solo giuridica del concedente.

Cio’ tenuto presente che la IMEP si era anche assunta l’obbligo, nella ipotesi di risoluzione anticipata del contratto di leasing, di provvedere a riprendere il possesso dei beni a sua cura e spese.

Ne deriva, hanno concluso quei giudici, che la IMEP non poteva chiedere di pagare l’importo solo dopo la consegna dell’impianto c/o ns. stabilimento, in quel momento il bene, a seguito della intervenuta risoluzione di diritto del contratto, nella disponibilita’ giuridica della Credit Leasing ed essendo onere della IMEP acquisirne la disponibilita’ materiale a sua cura e spese.

Tutte le ulteriori vicende del bene – hanno precisato, ancora, i giudici di appello – sono irrilevanti .’ al fine del decidere, e in particolare e’ irrilevante sia la successiva dichiarazione di fallimento dell’utilizzatore (dichiarato il (OMISSIS)) e le connesse vicende del bene, sia la mancata emissione della fattura, intesa come documento giustificativo dell’avvenuto pagamento, avendo il Credit Leasing nella richiesta di pagamento 20 settembre 1994 precisato che la fattura da intendersi come quietanza di pagamento, sarebbe stata inviata dopo il pagamento ed essendo la richiesta suddetta un equipollente della fattura nel significato a questa attribuibile nel patto di riacquisto.

4. La ricorrente IMEP s.r.l. censura la sentenza sopra riassunta con due motivi, con i quali denunzia:

– da un lato, violazione del combinato disposto degli artt. 1460 e 1500 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 contraddittoria e insufficiente motivazio-ne in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, lamentando, in particolare, una motivazione estremamente lacunosa nonche’ un travisamento della fattispecie concreta, per non avere i giudici di appello bene letto (a differenza del primo giudice) gli atti di causa, atteso che l’unica inadempiente e’ stata la LOCAT che mai ha messo la IMEP nella disponibilita’, neppure giuridica, del bene in questione e evidenziando, altresi’, che il patto inter partes doveva essere qualificato come contratto preliminare di retrovendita con effetti meramente obbligatori, con obbligo – pertanto – per gli stipulanti, una volta verificatasi la risoluzione del contratto di leasing per inadempimento dell’utilizzatore, di stipulare il contratto definitivo con ritrasferimento dei mobili al fornitore e, infine, denunziando la contraddittorieta’ della motivazione della sentenza impugnata laddove, da un lato, afferma la rilevanza della messa a disposizione anche solo giuridica del bene e, dall’altro, ritiene irrilevanti la dichiarazione di fallimento dell’utilizzatore e le connesse vicende del bene stesso primo motivo;

– dall’altro, violazione del combinato disposto degli artt. 633 e 634 c.p.c. in relazione all’art. 633 c.p.c., attesa la assoluta inconsistenza c.d. irrilevanza giuridica e pertanto la inidoneita’ a costituire prova scritta della lettera 20 settembre 1994 il cui contenuto e’ stato clamorosamente smentivo dalla stessa LOCAT nel ricorso per decreto ingiuntivo, mentre neppure il patto di riacquisto puo’ configurare prova scritta, atteso che la LOCAT ha agito sulla base di un accordo accessorio al contratto di leasing che non prevedeva affatto il pagamento del debitore contratto dal locatore utilizzatore inadempiente, bensi’ soltanto l’obbligo del riacquisto del bene per un prezzo eguale a tale debito secondo motivo.

5. Il ricorso non puo’ trovare accoglimento, stante la inammissibilita’, nonche’ – comunque, per molteplici aspetti – la manifesta infondatezza di entrambi i motivi in cui si articola.

Alla luce delle considerazioni che seguono.

5.1. Giusta quanto assolutamente pacifico, presso una giurisprudenza piu’ che consolidata di questa Corte regolatrice, e da cui totalmente e senza alcuna motivazione prescinde la difesa di parte ricorrente, si osserva che il vizio di violazione di legge (di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) consiste nella deduzione di una erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (da cui la funzione di assicurare la uniforme interpretazione della legge assegnata dalla Corte di Cassazione).

Viceversa, la allegazione – come prospettate nella specie da parte del ricorrente – di una erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze di causa, e’ esterna alla esatta interpretazione della norme di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice del merito, la cui censura e’ possibile, in sede di legittimita’, sotto l’aspetto del vizio di motivazione.

Lo scrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa della erronea ricognizione della astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – e’ segnato, in modo evidente, dalla circostanza che solo questa ultima censura e non anche la prima e’ mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (recentemente, in termini, Cass. 5 giugno 2007, n. 13066, nonche’ Cass. 20 novembre 2006, n. 24607, specie in motivazione; Cass. 11 agosto 2004, n. 15499, tra le tantissime).

Pacifico quanto segue si osserva che nella specie parte ricorrente pur invocando che i giudici del merito, in tesi, hanno malamente interpretato le molteplici disposizioni di legge indicate nella intestazione dei vari motivi, in realta’, si limita a censurare la interpretazione data, dai giudici del merito, delle risultanze di causa, interpretazione a parere del ricorrente inadeguata, sollecitando, cosi’, contra legem e cercando di superare quelli che sono i limiti del giudizio di cassazione, un nuovo giudizio di merito su quelle stesse risultanze.

Quanto precede e’ talmente incontroverso che parte ricorrente non solo non ha – in alcuna parte del primo come del secondo motivo – indicato quale sia la interpretazione, data dai giudici di merito, alle disposizioni normative indicate nella rubrica dei vari motivi (artt. 1460 e 1550 c.c. e artt. 633 e 634 c.p.c.) e quale, invece, quella corretta, alla luce della giurisprudenza di questa Corte regolatrice e della dottrina piu’ autorevole, ma si e’ limitato a dolersi di supposte lacune presenti nella motivazione della sentenza impugnata nonche’ del travisamento delle peraltro pacifiche circostanze di fatto all’esame dei giudici di secondo grado e della interpretazione da costoro data ai documenti negoziali in atti.

5. 2. Anche a prescindere da quanto precede si osserva, ancora una volta alla luce di quanto assolutamente pacifico, alla luce di una giurisprudenza piu’ che consolidata di questa Corte regolatrice e da cui totalmente prescinde la difesa della parte ricorrente che l’accertamento e la valutazione delle circostanze di fatto, come l’interpretazione degli atti negoziali, al pari dell’interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune, sono riservati al giudice di merito e censurabili in sede di legittimita’ solo per vizi di motivazione e per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale (Cass. 13 novembre 2007, n. 23569).

In particolare, la interpretazione di un atto negoziale e’ tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimita’, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all’art. 1362 c.c. e segg.

o di motivazione inadeguata ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione.

Pertanto onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresi’, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato; con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilita’ del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realta’, nella proposta di una interpretazione diversa (Cass. 26 ottobre 2007, n. 22536).

Pacifico quanto precede si osserva che la ricorrente pur denunziando come non corretta la interpretazione data dai giudici di appello ai documenti negoziali in atti (in particolare, da un lato, patto di riacquisto, dall’altro, comunicazione del 20 settembre 1994) si limita a opporre alla interpretazione datane dai giudici di secondo grado la propria, soggettiva, lettura di quegli stessi documenti, astenendosi – totalmente – dall’indicare le ragioni, in diritto, alla luce delle quali a norma dell’art. 1362 c.c. e segg. la conclusione fatta propria dalla sentenza gravata sarebbe viziata.

5.3. Quanto al primo motivo di ricorso, seconda parte, si osserva – ancora – che il motivo di ricorso per Cassazione con il quale alle sentenza impugnata venga mossa censura per vizi di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 deve essere inteso a far valere carenze o lacune nelle argomentazioni, ovvero illogicita’ nella attribuzione agli elementi di giudizio di un significato fuori dal senso comune, o ancora, mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte per assoluta incompatibilita’ razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi, mentre non puo’, invece, essere inteso – come ora pretende il ricorrente – a far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggetto della parte e, in particolare, non si puo’ proporre un preteso migliore e piu’ appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti (cfr. Cass. 27 ottobre 2006, n. 23087).

5.4. Giusta quanto assolutamente pacifico – presso una giurisprudenza piu’ che consolidata di questa Corte regolatrice, che in questa sede non puo’ che ulteriormente ribadirsi – in particolare, il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione.

Detti vizi non possono, peraltro, consistere nella difformita’ dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, perche’ spetta solo a quel giudice individuare le fonti del proprio convincimento e a tale fine valutare le prove, controllarne la attendibilita’ e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova.

L’art. 360 c.p.c., n. 5 – infatti – contrariamente a quanto suppone l’attuale ricorrente non conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensi’ solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui e’ riservato l’apprezzamento dei fatti.

Ne deriva, pertanto, che alla cassazione della sentenza, per vizi della motivazione, si puo’ giungere solo quando tale vizio emerga dall’esame del ragionamento svolto dal giudice, quale risulta dalla sentenza, che si rilevi incompleto, incoerente e illogico, non gia’ quando il giudice abbia semplicemente attribuito agli elementi valutati un valore e un significato difformi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte.

Certo quanto precede, certo che non sono indicati, in ricorso i punti decisivi della controversia rispetto ai quali la motivazione della sentenza impugnata e’ stata totalmente omessa o sia insufficiente, limitandosi la ricorrente a sollecitare esclusivamente una nuova lettura delle stesse risultanze di fatto gia’ esaminate e apprezzate dalla sentenza impugnata, e’ palese la inammissibilita’ della censura.

5.5. Il vizio di contraddittoria motivazione – ancora – presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della ratio decidendi, e cioe’ l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione adottata (Cass. 3 agosto 2007, n. 17076).

Pacifico quanto sopra e’ palese che il detto vizio non sussiste nella circostanza – invocata dal ricorrente al termine del primo motivo – che i giudici di appello dopo avere affermato che era sufficiente perche’ sorgesse l’obbligo della IMEP di corrispondere il corrispettivo dovuto la messa a disposizione anche solo giuridica del bene abbia ritenuto irrilevanti la dichiarazione di fallimento dell’utilizzatore e le connesse vicende del bene stesso.

Non solo – infatti – la messa a disposizione del bene pacificamente e’ avvenuta in data 20 settembre 1994, ben anteriormente alla dichiarazione di fallimento dell’utilizzatore (pronunciata esclusivamente il (OMISSIS)), e quindi non esiste alcuna contraddizione tra le due circostanze, ma i giudici di appello hanno ritenuto la irrilevanza del sopravvenuto fallimento e delle altre vicende del bene sulla base dell’obbligo, assunto su di se’ dalla IMEP e dalla stessa senza ombra di dubbio non adempiuto, nella ipotesi di risoluzione anticipata del contratto di leasing, di provvedere a riprendere il possesso dei beni a sua cura e spese.

5.5. Anche il secondo motivo – relativo alla denunziata violazione, da parte della Corte di appello di Milano, degli artt. 633 e 634 c.p.c. per essere stato emesso il decreto ingiuntivo opposto in primo grado in assenza delle condizioni di legge (assumendosi il difetto di liquidita’, esigibilita’ e certezza del credito azionato nonche’ l’assenza di idonea prova scritta) – e’ inammissibile.

Deve ribadirsi, infatti, ulteriormente, che la opposizione a decreto ingiuntivo da luogo ad un ordinario giudizio di cognizione, inteso ad accertare la pretesa fatta valere e non se l’ingiunzione fu legittimamente emessa in relazione alle condizioni previste dalla legge.

Pertanto in sede di opposizione l’eventuale carenza dei requisiti probatori puo’ rilevare soltanto ai fini del regolamento delle spese processuali, ditalche’ l’impugnazione della sentenza non puo’ essere dedotta solo per far accertare la sussistenza o meno delle originarie condizioni di emissione del decreto, se non sia accompagnata da una censura in tema di spese processuali (in termini, ad esempio, Cass. 15 luglio 2005, n. 15037. Sempre nello stesso senso, Cass. 12 gennaio 2006, n. 419; Cass. 5 marzo 2000, n. 3591).

6. Risultato infondato in ogni sua parte, il proposto ricorso, in conclusione, deve rigettarsi, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimita’, liquidate come in dispositivo.

PQM

LA CORTE Rigetta il ricorso;

condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimita’, liquidate in Euro 200,00, oltre Euro 1.600,00 per onorari e oltre spese generali e accessori come per legge.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 27 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2010

 

 

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