Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4347 del 22/02/2018


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Civile Ord. Sez. L Num. 4347 Anno 2018
Presidente: D’ANTONIO ENRICA
Relatore: BERRINO UMBERTO

ORDINANZA

sul ricorso 16901-2012 proposto da:
I.N.A.I.L – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE
CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO C.F. 01165400589, in
persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE
144, presso lo studio degli avvocati LUCIANA ROMEO,
LUCIA PUGLISI, che lo rappresentano e difendono,
giusta delega in atti;
– ricorrente –

2017

contro

4064

CARLONE

LUCIA,

CORIO

NICOLETTA,

CORIO

CLARA,

elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZALE CLODIO
14, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO DI CELMO,

Data pubblicazione: 22/02/2018

che li rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– controricorrenti

avverso la sentenza n. 770/2012 della CORTE D’APPELLO

di LECCE, depositata il 02/04/2012 R.G.N. 1517/2009.

Rilevato
che la Corte d’appello di Lecce (sentenza del 2.4.2012) ha rigettato
l’impugnazione proposta dall’INAIL avverso la sentenza del Tribunale di
Brindisi che aveva accolto in parte la domanda proposta da Cono Carlo, avente
ad oggetto il riconoscimento in suo favore della rendita vitalizia per inabilità

del 9%;
che la Corte territoriale, all’esito della rinnovata C.T.U., non ha condiviso le
contestazioni dell’appellante e, invece, ha accolto in parte l’appello incidentale
proposto dagli eredi di Cono Carlo, ritenendo congrua ed esauriente la
motivazione fornita dal C.T.U. di secondo grado in ordine alla susssistenza dei
presupposti per il riconoscimento del diritto ad una rendita pari al 25% dalla
domanda amministrativa;
che per la cassazione della sentenza ricorre l’INAIL con due motivi;
che resistono con controricorso Carlone Lucia, Cono Clara e Cono Nicoletta,
nella qualità di eredi di Cono Carlo;
Considerato
che col primo motivo, dedotto per violazione dell’art. 3 del d.p.r. 30.6.1965 n.
1124, l’Inali si duole del fatto che il giudice del gravame, dichiarando il diritto
degli eredi del Cono alla rendita che sarebbe spettata al loro dante causa nella
misura del 25%, senza specificare a quale delle malattie denunziate fosse
stato riconosciuto carattere professionale, ha erroneamente imputato la
suddetta percentuale di danno biologico, in modo implicito, a tutte le
tecnopatie accertate nei confronti dell’assicurato allorquando era in vita;
che anche volendo intendersi che la valutazione del 25% fosse riferibile solo al
carcinoma della laringe, il giudizio era egualmente erroneo, posto che, a
seguito del deposito della consulenza tecnica esperita in secondo grado, la
difesa dell’istituto aveva dettagliatamente contestato le risultanze peritali per
errore diagnostico, assumendo che il carcinoma alla laringe, malattia ad
eziologia multifattoriale, non poteva porsi in rapporto di causalità con l’attività
lavorativa svolta a suo tempo dal Cono, mentre la Corte di merito aveva
recepito acriticamente le conclusioni cui era pervenuto il consulente d’ufficio di

permanente conseguente a malattia professionale, accordatagli nella misura

seconde cure nel ritenere che vi era stata, con giudizio di probabilità, una
relazione causale tra l’esposizione all’amianto e la neoplasia alla laringe;
che col secondo motivo, proposto per vizio di motivazione ex art. 360 n. 5
c.p.c., il ricorrente imputa al C.T.U., le cui conclusioni sono state condivise
dalla Corte di merito, una palese devianza dai canoni della scienza medico-

di possibilità di correlazione causale tra la predetta esposizione e la riscontrata
malattia in quello concreto di probabilità di sussistenza della stessa eziologia;
che i due motivi, che per ragioni di connessione possono essere esaminati
congiuntamente, sono infondati;
che, invero, la Corte territoriale ha spiegato, con adeguata motivazione, che il
perito d’ufficio di secondo grado ha fornito una congrua ed esauriente
motivazione in ordine alla sussistenza del diritto ad una rendita pari al 25% sin
dall’epoca della domanda amministrativa, il tutto sulla base della
documentazione sanitaria allegata, oltre che di una accurata visita personale
dell’assicurato, evidenziando, nel contempo, che le osservazioni formulate
dalla difesa dell’Inail erano alquanto generiche e non supportate da nuovi
validi elementi obiettivi, tali da poter inficiare le motivate risultanze della
perizia espletata;
che trattasi di motivazione esente da rilievi di legittimità in quanto adottata
sulla scorta di elementi oggettivi di tipo diagnostico non sconfessati dai rilievi
critici generici di parte ricorrente;
che questa Corte ha già avuto occasione di ribadire (Cass. Sez. 6 – L,
Ordinanza n. 1652 del 3.2.2012) che “nel giudizio in materia d’invalidità il
vizio, denunciabile in sede di legittimità, della sentenza che abbia
prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, è ravvisabile
in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui
fonte va indicata, o nell’omissione degli accertamenti strumentali dai quali,
secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una
corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce mero
dissenso diagnostico che si traduce in un’inammissibile critica del
convincimento del giudice, e ciò anche con riguardo alla data di decorrenza
della richiesta prestazione”;

legale nel momento in cui ha apoditticamente trasformato il concetto astratto

che nella fattispecie, a fronte della congrua motivazione espressa dalla Corte
territoriale in merito alle condivise conclusioni peritali medico-legali, ritenute
corrette sul piano tecnico-scientifico, ed in presenza della rilevata genericità
delle censure mosse a tal riguardo dal ricorrente, quest’ultimo si limita a
contrapporre, nel presente giudizio, la valutazione medica a suo tempo

a dolersi in modo generico del fatto che apparivano inappaganti i termini coi
quali la Corte d’appello aveva ‘accolto il giudizio di probabilità, formulato dal
perito d’ufficio, in merito alla rilevata sussistenza di una causalità tra
l’esposizione all’amianto dell’assicurato e la neoplasia alla laringe, senza
specificare, tuttavia, la fonte dell’asserita devianza dai canoni della scienza
medica;
che, pertanto, il ricorso finisce per tradursi in un mero tentativo di rivisitazione
del giudizio espresso dalla Corte di merito in ordine alla determinazione del
grado di invalidità, operazione, questa, non consentita nel giudizio di
legittimità laddove, come nella fattispecie, la contestata decisione risulti
adeguatamente motivata e riposi su argomentazioni immuni da rilievi di ordine
logico-giuridico;
che, pertanto, il ricorso va rigettato, con conseguente condanna del ricorrente
al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo,
in base al generale principio della soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese
nella misura di C 2700,00, di cui C 2500,00 per compensi professionali, oltre
spese generali al 15% ed accessori di legge.
Così deciso in Roma il 18 ottobre 2017

espressa dal consulente di istituto a quella formulata dal consulente d’ufficio e

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