Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4344 del 10/02/2022

Cassazione civile sez. I, 10/02/2022, (ud. 02/12/2021, dep. 10/02/2022), n.4344

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 13169/2020 R.G. proposto da:

I.G., quale ex amministratore della (OMISSIS) s.p.a.,

elettivamente domiciliato in Roma, Via Luigi Settembrini n. 24,

presso lo studio dell’Avvocato Antonino Ordile, che lo rappresenta e

difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

P.V., non in proprio ma quale curatore del Fallimento

(OMISSIS) s.p.a., già Imperial s.p.a., elettivamente domiciliato in

Roma, Piazza G. Mazzini n. 27, presso lo studio dell’Avvocato

Benedetta Rosati, rappresentato e difeso dall’Avvocato Massimo

Cesaroni, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

e sul ricorso successivo:

P.V., non in proprio ma quale curatore del Fallimento

(OMISSIS) s.p.a., già Imperial S.p.a., elettivamente domiciliato in

Roma, Piazza G. Mazzini n. 27, presso lo studio dell’Avvocato

Benedetta Rosati, rappresentato e difeso dall’Avvocato Massimo

Cesaroni, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

A.M., D.V., e C.M., elettivamente

domiciliati in Roma, Via S. R. Bellarmino n. 4, presso lo studio

dell’Avvocato Claudia Rafti, rappresentati e difesi dall’Avvocato

Umberto Galasso, giusta procura in calce al controricorso e ricorso

incidentale condizionato;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

contro

I.A., Lloyd’s Londra, M.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2919/2019 della Corte d’appello di Firenze

pubblicata il 4/12/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

2/12/2021 dal Cons. Dott. Alberto Pazzi.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Il Tribunale di Firenze, con sentenza n. 2859/2017, accoglieva parzialmente l’azione proposta ai sensi della L. Fall., art. 146, dal curatore del fallimento di (OMISSIS) s.p.a. nei confronti di I.G. e M.G., ex amministratori della società fallita, condannandoli in solido al pagamento in favore della procedura della complessiva somma di Euro 8.834.729,61.

Respingeva, invece, le domande di identica natura rivolte nei confronti degli ex sindaci D.V., A.M. e C.M..

2. La Corte d’appello di Firenze, a seguito dell’impugnazione proposta in via principale da I.G., M.G. e I.A. e in via incidentale tanto dal fallimento di (OMISSIS) s.p.a. quanto da D.V., A.M. e C.M., condivideva – fra l’altro e per quanto qui di interesse – la valutazione del Tribunale laddove aveva distinto, nell’ambito dell’azione unitaria promossa dal curatore ai sensi della L. Fall., art. 146, l’azione di responsabilità dei creditori sociali di cui all’art. 2394 c.c., ritenendola prescritta, dall’azione sociale ex art. 2393 c.c., rispetto alla quale il termine di prescrizione iniziava a decorrere dalla cessazione dalla carica.

Osservava che il concordato preventivo non comporta per il debitore alcuno spossessamento, sicché non era possibile ritenere che nel corso della procedura concordataria e della successiva fase esecutiva gli amministratori rimanessero esenti da responsabilità per la loro attività.

Reputava, di conseguenza, che il Tribunale avesse erroneamente escluso in blocco dall’arco temporale a cui fare riferimento per individuare il danno procurato alla compagine poi fallita le vicende verificatesi durante la procedura concordataria, giacché il mantenimento in capo alla società debitrice della titolarità del diritto di esercitare l’azione di responsabilità nei confronti di sindaci ed amministratori non consentiva di attribuire all’inerzia serbata dagli organi della procedura il significato di una rinuncia all’azione di responsabilità a mente dell’art. 2393 c.c., u.c..

Giudicava inammissibile l’eccezione sollevata da I.G. perché fosse considerato, al fine del computo dei termini di prescrizione del diritto all’esercizio dell’azione di cui all’art. 2393 c.c., il periodo (fra l’11 aprile e il 29 settembre 2005) in cui egli era cessato dalla carica, in quanto una simile difesa non era mai stata specificamente e tempestivamente sollevata nel corso del giudizio di primo grado ed era stata proposta soltanto in sede di appello, in violazione dell’art. 345 c.p.c., comma 2.

Valutava che i bilanci pubblicati e prodotti dalla curatela avessero comunque permesso al C.T.U. di evidenziare la sovrastima delle rimanenze finali all’interno del bilancio al 31 dicembre 2003, condividendo le osservazioni del consulente d’ufficio, in replica alle contestazioni del consulente di parte degli amministratori, circa la correttezza del metodo di calcolo adottato.

Negava, infine, che le prove offerte dalla curatela dimostrassero che il collegio sindacale fosse rimasto inerte pur in presenza di segnali d’allarme che avrebbero dovuto porlo sull’avviso in ordine alla sopravalutazione delle rimanenze di magazzino.

3. Per la cassazione di questa sentenza, pubblicata in data 4 dicembre 2019, ha proposto ricorso I.G., prospettando undici motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso il fallimento di (OMISSIS) s.p.a..

La medesima procedura ha proposto autonomo ricorso principale, affidandosi a tre motivi di doglianza, ai quali hanno resistito con controricorso D.V., A.M. e C.M., proponendo, nel contempo, ricorso incidentale condizionato affidato a sei motivi.

Gli intimati M.G., I.A. e Sindacati dei Lloyd’s di Londra non hanno svolto difese.

Le difese di I.G., del fallimento di (OMISSIS) s.p.a. e di D., A. e C. hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

4.1 Il primo motivo del ricorso I. denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 345 c.p.c., in quanto l’eccezione di prescrizione dell’azione sociale di responsabilità degli amministratori ex art. 2393 c.c., comma 4, non costituiva affatto una domanda nuova, dato che la stessa era già stata formulata in primo grado in comparsa di risposta, all’interno delle memorie di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, e in comparsa conclusionale, per poi essere ripresa e ulteriormente argomentata con la citazione in appello.

4.2 Il secondo motivo del ricorso I. lamenta la violazione dell’art. 2949 c.c., in combinato disposto con l’art. 2393 c.c., comma 4, perché elementi costitutivi dell’eccezione di prescrizione erano l’allegazione dell’inerzia del titolare del diritto fatto valere in giudizio e la manifestazione della volontà di profittare dell’effetto ad essa ricollegato dall’ordinamento, puntualmente effettuate già in primo grado, mentre l’individuazione del termine applicabile o del momento iniziale o finale per il suo computo costituiva una questione di diritto il cui esame competeva al giudicante.

4.3 Il sesto motivo del ricorso I. assume, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 2393 c.c., comma 4, in quanto la Corte territoriale ha illegittimamente individuato il dies a quo da cui far decorrere il termine di prescrizione dell’azione sociale nell’anno 2008, senza tener conto che I.G. nell’anno 2005 aveva cessato di ricoprire la carica di amministratore.

4.4 Il nono motivo del ricorso I. si duole, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, dell’omesso esame del fatto che l’eccezione di prescrizione qualificata come nuova dalla Corte d’appello, in realtà, era già stata proposta in comparsa di risposta in primo grado, in comparsa conclusionale e all’interno dell’atto di citazione in appello, con l’individuazione del dies a quo da cui decorreva la prescrizione quinquennale.

5. I motivi, da esaminarsi congiuntamente in ragione della loro parziale sovrapponibilità, non sono fondati.

La Corte distrettuale, dopo aver rilevato che l’ex amministratore I.G. aveva sostenuto, nel proporre appello, che la cessazione dalla carica nel periodo intercorrente fra l’11 aprile 2005 e il 29 settembre 2005 portasse ad “azzerare” il periodo antecedente all’aprile 2005, dato che l’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore deve essere esercitata entro cinque anni dalla cessazione dalla carica, ha rilevato che un simile assunto non era stato prospettato in questi espressi termini nell’atto di citazione (rectius nella comparsa di risposta) in primo grado, dove l’eccezione di prescrizione era stata riferita agli atti compiuti prima della metà del mese di novembre 2005 e mai a questa specifica ipotesi, e risultava quindi nuova, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., comma 2, nelle vesti delineate all’interno dell’impugnazione.

Ora, nell’ambito delle eccezioni in senso stretto o proprio, sottratte al rilievo officioso, rientra – secondo la giurisprudenza di questa Corte quella di prescrizione, sicché incombe sull’eccipiente l’onere di specificare i fatti che ne costituiscono il fondamento (Cass. 1194/2007).

Dunque, il rilievo dei fatti che costituiscono il fondamento dell’eccezione rimane subordinato alla specifica e tempestiva allegazione ad opera della parte interessata.

Rilievo che nel caso di specie non è stato puntualmente effettuato all’interno della comparsa di risposta in primo grado, dove mai si è fatto cenno alla cessazione dalla carica nell’aprile del 2005 al fine di far decorrere il termine di prescrizione previsto dall’art. 2949 c.c..

Ne discende la correttezza della valutazione compiuta dalla Corte distrettuale in merito all’inammissibilità della censura, specificamente proposta soltanto con la citazione in appello in violazione dell’art. 345 c.p.c., comma 2, norma alla cui disciplina fanno capo tanto la proposizione di un’eccezione in senso stretto del tutto nuova rispetto alle difese assunte in primo grado, quanto la specificazione dei fatti posti a fondamento di un’eccezione in senso stretto proposta in termini generici in prime cure.

6.1 Il terzo motivo del ricorso I. denuncia la violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 167, comma 2 e art. 111, poiché la mancata impugnazione da parte degli organi della procedura degli atti compiuti dagli amministratori nel corso del concordato e della successiva fase di esecuzione faceva sì che gli stessi dovessero essere considerati efficaci e legittimi e non potessero essere assunti come fonte di alcuna responsabilità.

Ne’ a ciò valeva la successiva risoluzione del concordato, che non era idonea a compromettere l’efficacia degli atti legittimamente compiuti e la loro opponibilità al fallimento successivamente dichiarato.

6.2 Il quarto motivo del ricorso I. lamenta la violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 167, comma 2, e art. 2393 c.c., u.c., perché l’omessa impugnazione da parte degli organi della procedura degli atti di straordinaria amministrazione e delle operazioni posti in essere dagli amministratori nella fase concordataria e di esecuzione del concordato omologato ne comprovavano la piena legittimità, costituivano una ratifica degli stessi ex post ed assumevano valore equipollente alla rinuncia all’azione sociale di responsabilità ex art. 2393 c.c., comma 3.

Peraltro, la causa del fallimento di (OMISSIS) s.p.a. non era riconducibile agli atti gestionali degli amministratori.

6.3 Il quinto motivo del ricorso I. prospetta la violazione dell’art. 2392 c.c., in quanto la quantificazione del danno arrecato dagli amministratori al patrimonio della società (OMISSIS) s.p.a. doveva essere limitata al periodo intercorrente fra la chiusura dell’esercizio sociale alla data del 31 dicembre 2003 e l’avvio della procedura concordataria, dato che l’attività gestionale tipica degli amministratori era cessata a quell’epoca.

6.4 Il settimo motivo del ricorso I. assume la violazione degli artt. 2392 e 1218 c.c., per carenza di nesso di causalità fra gli inadempimenti specifici addebitati a I.G. e il danno al patrimonio della società (OMISSIS) s.p.a., perché la principale causa del dissesto finanziario sfociato nell’insolvenza era stata l’omesso incasso dei crediti vantati nei confronti di Expert Toscana, affittuaria e cessionaria del ramo d’azienda; la Corte di merito avrebbe dovuto, quindi, rilevare che la perdita del capitale sociale non era stata una conseguenza immediata e diretta di fatti illeciti dell’amministratore.

7. I motivi, da esaminare congiuntamente in ragione della loro parziale sovrapponibilità, risultano in parte infondati, in parte inammissibili.

7.1 La Corte di merito ha rilevato che il debitore nel corso della procedura concordataria non subisce alcuno spossessamento dei beni, ai sensi della L. Fall., art. 167 e conserva l’amministrazione dei beni e l’esercizio dell’impresa, pur sotto la vigilanza del commissario giudiziale, che non è un rappresentante della massa dei creditori.

Da questo rilievo i giudici distrettuali hanno tratto argomento per smentire la tesi degli amministratori secondo cui doveva escludersi una qualche loro responsabilità nel corso della procedura concordataria e nel periodo di esecuzione del concordato in quanto ogni decisione gestionale era, comunque, sottoposta al vaglio degli organi della procedura.

Inoltre, la conservazione della titolarità dell’azione di responsabilità in capo alla società faceva sì che l’omessa impugnazione degli atti compiuti in spregio della L. Fall., art. 167, comma 2, nel corso della proceduta concordataria da parte degli organi della procedura non potesse essere intesa come una rinuncia all’esercizio di tale iniziativa processuale.

7.2 La questione dell’efficacia degli atti compiuti dagli amministratori rispetto ai creditori anteriori al concordato, a mente della L. Fall., art. 167, non è stata in alcun modo affrontata all’interno della sentenza impugnata né risulta essere stata sottoposta al vaglio del collegio dell’impugnazione.

Il che comporta l’inammissibilità di questo profilo di critica, posto che è principio costante e consolidato di questa Corte (cfr., fra molte, Cass. 7048/2016, Cass. 8820/2007, Cass. 25546/2006) che nel giudizio di cassazione non si possono prospettare nuove questioni di diritto ovvero nuovi temi di contestazione che implichino indagini e accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito.

Peraltro, un simile tema risulta, comunque, irrilevante, dato che l’esercizio dell’azione di responsabilità sociale ai sensi dell’art. 2393 c.c., non pone una questione di efficacia nel successivo fallimento degli atti compiuti dal debitore senza l’autorizzazione prevista dalla L. Fall., art. 167, comma 2 (norma che, peraltro, non prescrive affatto alcuna impugnazione degli organi della procedura quale condizione per l’operatività della sua disciplina), ma di responsabilità degli amministratori per gli effetti pregiudizievoli provocati alla compagine amministrata dall’inadempimento dei doveri a cui costoro erano tenuti.

7.3 La questione della carenza di un nesso di causalità fra gli inadempimenti degli amministratori e il danno al patrimonio di (OMISSIS), asseritamente provocato dall’inadempimento di Expert Toscana s.r.l., costituisce, ancora una volta, una questione comportante accertamenti in fatto non sottoposta al vaglio della Corte di merito e quindi inammissibile.

Infine, nessuno specifico argomento risulta proposto avverso i rilievi della Corte d’appello in merito alla conservazione dell’amministrazione dei beni e dell’esercizio dell’impresa in capo all’amministratore, ai sensi della L. Fall., art. 167, comma 1, e all’impossibilità di attribuire valore di rinuncia alla mancata impugnazione degli atti compiuti dagli amministratori ai sensi della L. Fall., art. 167, comma 2; sicché l’apodittica ripetizione in questa sede delle tesi in precedenza prospettate (secondo cui, da un lato, gli amministratori avevano cessato la loro attività con l’avvio della procedura concordataria, dall’altro la mancata impugnazione degli atti di amministrazione da parte degli organi della procedura assumeva valore di rinuncia) finisce per costituire una mera e inammissibile riproposizione delle difese svolte nelle fasi di merito e motivatamente disattese dalla Corte d’appello, attraverso una mera contrapposizione del giudizio e della valutazione del ricorrente alle ragioni espresse dalla sentenza impugnata senza alcuna considerazione degli argomenti espressi al suo interno (Cass. 11098/2000).

8. L’ottavo motivo del ricorso I. denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c., dal momento che la Corte di merito, in assenza di dati ulteriori rispetto a quelli di bilancio, della cui produzione era onerata la curatela, ha aderito alle conclusioni del C.T.U., sebbene questi avesse accertato l’incongruenza della valutazione del magazzino in maniera astratta e presuntiva, utilizzando come fattore di calcolo l’incidenza dei costi di acquisto merci sul valore della produzione.

La mancanza della contabilità di magazzino necessaria ai fini del calcolo delle rimanenze non solo – a dire del ricorrente – non era un fatto imputabile agli amministratori, ma non giustificava neppure lo spostamento dell’onere della prova a carico di questi ultimi, che non avevano la disponibilità della materialità dei documenti mancanti e a cui, quindi, non poteva essere applicato il principio di vicinanza della prova.

9. Il motivo è inammissibile.

La violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata, secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni, e non, invece, laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti dell’attuale testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; Cass. 13395/2018, Cass. 18092/2020).

La Corte di merito, nell’affrontare la questione dell’avvenuta sopravvalutazione del magazzino, non ha condiviso la tesi degli appellanti secondo cui la mancanza della relativa contabilità comportava una violazione delle regole sull’onere della prova; e ciò non tanto perché la logica sottesa alla censura non era condivisibile, in quanto il mancato reperimento della documentazione contabile doveva ridondare a scapito degli amministratori anziché della curatela, ma perché la documentazione prodotta dalla curatela, costituita dai bilanci pubblicati, aveva comunque consentito al consulente tecnico d’ufficio di evidenziare la sovrastima delle rimanenze finali.

Dunque, le iniziali considerazioni riguardanti, più che l’onere della prova, l’impossibilità per chi è onerato della predisposizione e della conservazione di determinati documenti contabili di avvalersi della loro mancanza per esimersi dalle proprie responsabilità, non sono state poi nel concreto poste a base dell’accertamento che la Corte di merito era chiamata a fare e l’odierno ricorrente non ha alcun interesse a impugnarle (Cass. 8755/2018).

La statuizione assunta si fonda, invece, sull’apprezzamento dell’idoneità della documentazione regolarmente prodotta e messa a disposizione del consulente tecnico nominato a costituire il fondamento delle indagini peritali espletate.

Si tratta di una valutazione concernente non la ripartizione dell’onere della prova, ma la pregnanza delle prove documentali prodotte e rientrante nei compiti del giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento e di controllarne l’attendibilità e la concludenza.

Valutazione, questa, che non può essere rivista, nel merito, in questa sede di legittimità.

10. Il decimo motivo del ricorso I. denuncia un error in procedendo in iure ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (rectius 4), perché la Corte d’appello, pur essendo tenuta, in presenza di ampie ed argomentate censure alle tesi sviluppate dal C.T.U. e alle conclusioni a cui questi era giunto, a fornire un’analitica e dettagliata risposta, si era limitata ad aderire ai risultati a cui era giunto il consulente con una motivazione generica, apodittica ed apparente, recependone acriticamente le conclusioni.

11. Il motivo non è fondato.

E’ ben vero che secondo la giurisprudenza di questa Corte il giudice del merito non è tenuto a fornire un’argomentata e dettagliata motivazione là dove aderisca alle elaborazioni del consulente ed esse non siano state contestate in modo specifico dalle parti, mentre, ove siano state sollevate censure dettagliate e non generiche, ha l’obbligo di fornire una precisa risposta argomentativa correlata alle specifiche critiche sollevate, corredando con una più puntuale motivazione la propria scelta di aderire alle conclusioni del consulente d’ufficio (Cass. 23594/2017, Cass. 12703/2015).

Diversa, tuttavia, è la fattispecie in cui le critiche siano state sollevate dal consulente di parte nel corso delle operazioni peritali e il consulente d’ufficio abbia già fornito al riguardo una congruente risposta.

Infatti, il giudice di merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento e non deve necessariamente soffermarsi anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici di parte, che, sebbene non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili, senza che possa configurarsi vizio di motivazione, in quanto le critiche di parte, che tendono al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono in mere argomentazioni difensive (Cass. 1815/2015).

Rispetto a un simile obbligo la motivazione della Corte distrettuale risulta tutt’altro che apparente e rappresenta chiaramente (laddove spiega che il consulente aveva oggettivamente constatato, sulla base di indici espressamente indicati, come non sussistesse una variabilità significativa fra i dati relativi agli anni 2002 e 2003 nel rapporto fra il costo del venduto e i ricavi) l’iter logico-intellettivo seguito dal consulente e condiviso dal collegio giudicante per arrivare alla decisione, peraltro soffermandosi anche ad analizzare i rilievi del consulente di parte e giudicandoli fondati su paragoni non pertinenti (dato che predicavano un’aprioristica adozione di un costante rapporto del costo del venduto e dei ricavi senza tener conto degli indici oggettivi valorizzati dal C.T.U.).

12. L’undicesimo motivo del ricorso I. lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo, perché la decisione impugnata non ha per nulla valutato la tematica della mancata effettuazione dell’ammortamento del fabbricato strumentale di (OMISSIS) s.p.a., che era stato oggetto di ampia analisi negli atti difensivi degli amministratori.

13. Il motivo è inammissibile.

L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel suo attuale testo riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione concernente l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, nozione da intendersi come riferita a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico e non ricomprendente questioni o argomentazioni, dovendosi di conseguenza ritenere inammissibili le censure irritualmente formulate che estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (Cass. 21152/2014, Cass. 14802/2017).

Non risulta perciò censurabile sotto il profilo dedotto la mancata valutazione di una tematica posta da una parte processuale all’interno dei propri scritti difensivi.

14.1 Il primo motivo di ricorso del fallimento di (OMISSIS) s.p.a. denuncia la violazione e/o erronea applicazione degli artt. 2403,2406,2407 e 2409 c.c., in quanto la Corte d’appello, nel valutare la violazione del dovere di vigilanza a cui i sindaci erano tenuti, ha trascurato di considerare che, nell’ipotesi in cui l’illecito degli amministratori sia consistito nella redazione di un bilancio falso per occultamento delle perdite a cui è seguita la prosecuzione dell’attività, la concorrente responsabilità del collegio sindacale sussiste anche se i sindaci abbiano assunto la carica soltanto in occasione dell’approvazione del bilancio falso o in un momento immediatamente successivo.

Per di più nel caso di specie l’obbligo di esaminare il contenuto del bilancio, da cui emergeva la sua falsità, era reso ancor più pressante dagli avvertimenti contenuti all’interno dei verbali del collegio sindacale uscente.

La Corte di merito avrebbe dovuto quindi registrare che i sindaci avevano trascurato di esaminare il bilancio al 31 dicembre 2003, di rilevare, utilizzando la professionalità richiesta dalla natura dell’incarico, la totale perdita del capitale e di denunciare i fatti al P.M. o di procedere ai sensi dell’art. 2409 c.c., omissioni da cui conseguiva la loro responsabilità per i danni derivati alla società e ai creditori per la prosecuzione dell’attività,

14.2 Il secondo motivo di ricorso del fallimento di (OMISSIS) s.p.a. lamenta la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, perché all’interno della motivazione impugnata la Corte di merito, pur riconoscendo che la responsabilità dei sindaci poteva discendere anche dal fatto imputabile al precedente amministratore (rectius collegio sindacale) una volta che, assunto l’incarico, fosse esigibile lo sforzo diligente di verificare la situazione e porvi rimedio, si era poi limitata a richiamare il principio secondo cui spetta all’attore l’onere di allegazione e prova nelle azioni di responsabilità avverso l’organo sindacale, senza nulla aggiungere, non consentendo così di comprendere le ragioni motivazionali di reiezione della domanda.

14.3 Il terzo motivo di ricorso del fallimento di (OMISSIS) s.p.a. si duole dell’omesso esame ad opera della Corte di merito del fatto decisivo e discusso fra le parti costituito dalla mancata analisi del bilancio al 31 dicembre 2003, dalla cui lettura emergeva la perdita del capitale sociale.

15. I motivi, da esaminarsi congiuntamente in ragione del rapporto di connessione che li lega, risultano, il primo, in parte infondato, in parte inammissibile, gli altri infondati.

Il primo mezzo in esame muove dalla tesi in diritto che i sindaci che abbiano assunto la carica in un periodo successivo all’approvazione del bilancio falso hanno l’obbligo di valutare con immediatezza le risultanze di quel bilancio.

Una simile tesi, tuttavia, non corrisponde al preciso contenuto della decisione evocata (Cass. 2538/2005), la quale si riferisce all’ipotesi di mancata impugnazione da parte dei sindaci di una società di capitali della Delib. dell’assemblea che approva un bilancio di esercizio redatto in violazione dei principi stabiliti dal codice civile e ritiene che la stessa possa fondare la loro responsabilità, ex art. 2407 c.c., con riferimento al caso in cui i sindaci abbiano assunto la carica anche soltanto in occasione dell’approvazione del bilancio (perché il documento contabile è destinato a spiegare i suoi effetti anche sull’esercizio successivo, mentre il controllo sull’osservanza della legge, al quale essi sono tenuti ex art. 2403 c.c., ha ad oggetto anche la legittimità delle delibere assembleari, specie se adottate all’esito di un procedimento nel quale si inseriscono precedenti atti degli amministratori, essendo peraltro espressamente attribuita ai sindaci la legittimazione all’impugnazione delle delibere assembleari ex art. 2377 c.c.).

Si consideri, tuttavia, che il sindaco che sia in carica al momento della celebrazione dell’assemblea ordinaria chiamata all’approvazione del bilancio ha un preciso compito di controllo sull’osservanza della legge e di assistenza, ai sensi degli artt. 2403 e 2405 c.c., che può essere svolto in maniera utile ed effettiva solo se egli abbia preso compiuta conoscenza del bilancio.

Diverso è il caso del sindaco che abbia assunto il proprio incarico una volta che il bilancio sia già stato approvato, per il quale operano, invece, i principi generali stabiliti in materia dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui per la configurabilità dell’inosservanza del dovere di vigilanza imposto dall’art. 2407 c.c., comma 2, occorre che i sindaci non abbiano rilevato una macroscopica violazione o comunque non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, così da non assolvere l’incarico con diligenza, correttezza e buona fede, eventualmente anche segnalando all’assemblea le irregolarità di gestione riscontrate o assumendo le iniziative previste dall’art. 2409 c.c. (Cass. 32397/2019, Cass. 13517/2014).

L’immediatezza della reazione rimane, quindi, collegata non alla mera assunzione dell’incarico in un momento in cui il sindaco non è chiamato a svolgere alcun compito per l’approvazione del bilancio, oramai già definitivamente avvenuta (non essendo esigibile da parte del sindaco di nuova nomina l’immediata revisione di tutta la contabilità sociale di epoca antecedente all’assunzione dell’incarico senza alcuna ragione che giustifichi tale attività), ma all’emergere di concreti segnali di una macroscopica violazione o dell’esistenza di atti di dubbia legittimità e regolarità.

La Corte d’appello si è posta correttamente in questa prospettiva, condividendo l’opinione del Tribunale secondo cui l’assunzione della carica di sindaco non comportava, di per sé, l’esigibilità di un’immediata revisione di tutta la contabilità con riferimento alle giacenze di magazzino (valutando anche il mancato immediato esame, nel novero della contabilità, del bilancio al 31 dicembre 2003), “in assenza – per i nuovi arrivati – di concreti segnali di allarme”.

La valutazione dell’esistenza di simili:segnali e l’individuazione del momento della loro emersione costituiscono un apprezzamento di fatto che, essendo frutto di una determinazione discrezionale del giudice di merito, non è sindacabile da questa Corte.

La Corte distrettuale, inoltre, ha chiaramente spiegato che rientrava nell’onere probatorio dell’attore “allegare l’inerzia del sindaco e provare il fatto illecito gestorio, accanto all’esistenza di segnali d’allarme che avrebbero dovuto porre i sindaci sull’avviso”, mentre nel caso di specie non era possibile rinvenire, dalla congerie istruttoria disponibile, “alcun rumoroso campanello d’allarme e macroscopico segnale con riferimento alla sopravvalutazione del magazzino”.

Rimane così rappresentato l’iter logico-intellettivo seguito dal giudice dell’impugnazione per arrivare alla decisione, dovendosi di conseguenza escludere alcun vizio di motivazione in merito alle ragioni del rigetto della domanda.

16. Per tutto quanto sopra esposto, tanto il ricorso di I.G., quanto il ricorso del fallimento di (OMISSIS) s.p.a. debbono essere respinti.

Rimane assorbito il ricorso incidentale di D.V., A.M. e C.M., che è stato espressamente condizionato all’eventuale accoglimento del ricorso principale della curatela.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso di I.G. e condanna il ricorrente al rimborso in favore del fallimento di (OMISSIS) s.p.a. delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 22.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.

Rigetta il ricorso del fallimento di (OMISSIS) s.p.a. e condanna il ricorrente al rimborso in favore di D.V., A.M. e C.M. delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 22.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.

Dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato di D.V., A.M. e C.M..

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti principali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2022

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