Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4343 del 23/02/2010

Cassazione civile sez. III, 23/02/2010, (ud. 13/01/2010, dep. 23/02/2010), n.4343

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NANNI Luigi Francesco – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. MASSERA Maurizio – rel. Consigliere –

Dott. TALEVI Alberto – Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

CASINO DE LA VALLEE GESTIONE STRAORDINARIA IN LIQUIDAZIONE

(OMISSIS), in persona del suo liquidatore Rag. B.R.

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUDOVISI 16, presso lo studio

dell’avvocato VECCHIO FEDERICO, che lo rappresenta e difende

unitamente agli avvocati FRUMENTO ANNA, CAVERI ALBERTO con delega a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

SOCIETA’ INCREMENTO TURISTICO MARITTIMO SITMAR SPA (OMISSIS), in

persona del suo Amministratore Unico Rag. M.P.

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA XX SETTEMBRE 3, presso lo

studio dell’avvocato RAPPAZZO ANTONIO, che lo rappresenta e difende

con delega a margine del controricorso; SAAV ALBERGHI VALDOSTANI SPA,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA XX SETTEMBRE 3, presso lo

studio dell’avvocato RAPPAZZO ANTONIO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 663/2007 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

Prima Sezione Civile, emessa il 03/04/2007 depositata il 26/04/2007;

R.G.N.694/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

13/01/2010 dal Consigliere Dott. MASSERA Maurizio;

udito l’Avvocato GIOVANNI VILLANI (per delega Avvocato ANNA

FRUMENTO);

udito l’Avvocato ANTONIO RAPPAZZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso per accoglimento del quinto

motivo ed assorbimento degli altri motivi.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 25 – 28 febbraio 2005 il Tribunale di Aosta, riunite le cause, assolveva tutte le parti dalle domande reciprocamente proposte. In particolare, Casino’ de la Vallee – Gestione Straordinaria aveva inizialmente chiesto che la Sitav – Societa’ Incremento Turistico Alberghiero Valdostano S.p.A. fosse obbligata a consentirle, sino alla fine del 1996, il godimento dei beni materiali e immateriali elencati nel contratto del (OMISSIS), a presentare il progetto definitivo di reingegnerizzazione del software concesso in uso, a trasferirglielo in proprieta’ e a risarcirle i danni arrecati e poi aveva modificato la domanda chiedendo la risoluzione del contratto; la Sitav aveva chiesto in via riconvenzionale la condanna dell’attrice a restituirle i beni oggetto del suddetto contratto e al risarcimento del danno.

Con citazione autonoma la Sitav aveva chiesto che fosse accertata l’estinzione del contratto di licenza d’uso di hardware e software, la condanna del Casino’ de la Vallee Gestione Straordinaria al pagamento del corrispettivo, alla consegna della banca – dati, al risarcimento del danno; il Casino’ Gestione Straordinaria aveva spiegato riconvenzionale chiedendo fosse accertata la validita’ del contratto con le statuizioni consequenziali; nel giudizio era intervenuta la Saav qualificandosi successore a titolo particolare della Sitav nei diritti fatti valere in causa.

Infine a questi due procedimenti era stato riunito un terzo promosso dalla Gestione Straordinaria del Casino’, che si era opposta al decreto ingiuntivo per L. 980.000.000 intimatole dalla Sitav e aveva chiesto, in via riconvenzionale, il risarcimento dei danni subiti.

Con sentenza in data 3 – 26 aprile 2007 la Corte d’Appello di Torino accoglieva parzialmente l’appello della Sitmar (nuova denominazione della Sitav) condannando la Gestione Straordinaria del Casino’ al risarcimento del danno nella misura di Euro 3.615.200,00 e alla rifusione delle spese di entrambi i gradi in favore della Sitav e della Saar.

La Corte territoriale osservava per quanto interessa: La Regione Autonoma Valle d’Aosta aveva istituito la Gestione Straordinaria del Casino’ de la Vallee di (OMISSIS), fino ad allora condotto dalla Sitav; tra le due societa’ era intervenuto un accordo per l’utilizzazione dei beni materiali e immateriali con pattuizione del relativo corrispettivo; in prossimita’ della scadenza del contratto la Sitav aveva aderito alla proposta di riscatto di parte delle apparecchiature informatiche e telefoniche e alla rinegoziazione del rimanente del contratto, le laboriose trattative erano sfociate:

1) in una “proposta pacchetto” della Sitav;

2) in una lettera della Gestione Straordinaria Casino’ che segnalava “i punti fondamentali e irrinunciabili”;

3) in una controproposta della medesima autorizzata sia dal Consiglio di amministrazione della Sitav, sia dalla Giunta Regionale; a tale ultimo documento – poi analizzato dalla sentenza impugnata – non era seguito alcun accordo definitivo; di conseguenza aveva errato il primo giudice a qualificare “vero e proprio contratto vincolante per le parti” l’atto (OMISSIS) (relativo alla controproposta di cui sopra), la cui natura giuridica era stata dibattuta in primo grado; l’unico accordo concluso fra le parti con efficacia immediata era stato quello indicato come “Finalita’ della controproposta”; la Sitav non era stata inadempiente poiche’ la stessa Gestione Straordinaria aveva accettato che il progetto di reingegnerizzazione fosse rinviato a fine mese di novembre e d’altro canto quest’ultima, scaduto il termine contrattuale di proroga, si era impegnata alla riconsegna dei beni materiali e immateriali; la Gestione Straordinaria aveva iniziato a progettare e a realizzare in proprio un nuovo sistema informatico trasferendo i dati Sitav contenuti nella banca nella percentuale di circa il 28% per la procedura proprietaria e del 5% per le procedure relative a contabilita’ generale e magazzini; il danno doveva essere risarcito ricorrendo al criterio equitativo basato sul canone mensile previsto nella misura di L. 880.000.000 e riferito all’incidenza di quanto utilizzato; le spese andavano liquidate applicando il criterio della soccombenza.

Avverso la suddetta sentenza il Casino’ de la Vallee – Gestione Straordinaria in liquidazione ha proposto ricorso per Cassazione affidato a 12 motivi.

La Sitmar – Societa’ Incremento Turistico marittimo S.p.A. (gia’ Sitav – Societa’ Incremento Turistico Alberghiero Valdostano S.p.A.) e la Apogon Shipping Company S.p.A. (divenuta, in virtu’ di una serie di cessioni, cessionaria dei crediti verso la Gestione Straordinaria) hanno resistito con separati controricorsi.

La ricorrente ha presentato memoria e le resistenti hanno depositato una memoria comune.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Prima di esaminare i singoli motivi sottoposti dalla Gestione Straordinaria del Casino’ de la Vallee all’esame della Corte e’ opportuno premettere alcune osservazioni di carattere generale.

Ai ricorsi proposti contro le sentenze pubblicate a partire dal 2.3.2006, data di entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, recante modifiche al codice di procedura civile in materia di ricorso per Cassazione, si applicano le disposizioni dettate nello stesso decreto al Capo 1^.

Secondo l’art. 366 bis c.p.c. – introdotto dall’art. 6 del decreto – i motivi di ricorso debbono essere formulati, a pena d’inammissibilita’, nel modo li’ descritto e, in particolare, nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., nn. 1), 2), 3) e 4, l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

L’interpretazione giurisprudenziale ha rilevato sul piano generale che, considerata la sua funzione, l’art. 366 bis c.p.c. va interpretato nel senso che, per ciascun punto della decisione e in relazione a ciascuno dei vizi, corrispondenti a quelli indicati dall’art. 360 c.p.c., per cui la parte chiede che la decisione sia cassata, va formulato un distinto motivo di ricorso.

Per quanto riguarda, in particolare, il quesito di diritto, e’ ormai jus receptum (Cass. n. 19892 del 2007; confronta, anche, Cass. S.U. n. 3519 del 2008 e la piu’ recente Cass. S.U. n. 7433 del 2009) che e’ inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, il ricorso per Cassazione nel quale esso si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo.

Infatti la novella del 2006 ha lo scopo di innestare un circolo selettivo e “virtuoso” nella preparazione delle impugnazioni in sede di legittimita’, imponendo al patrocinante in cassazione l’obbligo di sottoporre alla Corte la propria finale, conclusiva, valutazione dell’avvenuta violazione della legge processuale o sostanziale, riconducendo ad una sintesi logico – giuridica le precedenti affermazioni della lamentata violazione.

In altri termini, la formulazione corretta del quesito di diritto esige che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione.

Quanto al vizio di motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena d’inammissibilita’, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione; la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilita’ (Cass. Sez. Unite, n. 20603 del 2007; confronta anche la recente Cass. n. 4556 del 2009).

Il D.Lgs n. 40 del 2006 ha anche modificato – con l’art. 6 – l’art. 366 c.p.c., tra l’altro aggiungendo, al comma primo, il n. 6, il quale introduce, tra gli elementi che il ricorso deve contenere a pena d’inammissibilita’, “la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”.

E’ orientamento costante (confronta, tra le altre, le recenti Cass. Sez. Un. n. 28547 del 2008; Cass. Sez. 3^ n. 22302 del 2008) che, in tema di ricorso per Cassazione, a seguito della riforma ad opera del D.Lgs. n. 40 del 2006, il novellato art. 366 c.p.c., comma 6, oltre a richiedere la “specifica” indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur individuato in ricorso, risulti prodotto. Tale specifica indicazione, quando riguardi un documento prodotto in giudizio, postula che si individui dove sia stato prodotto nelle fasi di merito, e, in ragione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, anche che esso sia prodotto in sede di legittimita’.

In altri termini, il ricorrente per Cassazione, ove intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere – imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, – di produrlo agli atti e di indicarne il contenuto. Il primo onere va adempiuto indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale e in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione; il secondo deve essere adempiuto trascrivendo o riassumendo nel ricorso il contenuto del documento. La violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il ricorso inammissibile.

Il ricorso va, dunque, esaminato alla stregua delle norme e dei principi sopra menzionati, certamente applicabili poiche’ la sentenza impugnata e’ stata depositata il 26 aprile 2007, epoca in cui vigeva la norma indicata.

Infatti non incide l’abrogazione dell’art. 366 bis c.p.c. ad opera della L. 19 giugno 2009, n. 69, art. 47 poiche’, in virtu’ del successivo art. 58, esso rimane applicabile ai ricorsi avverso le sentenze e i provvedimenti depositati prima del 4 luglio 2009, data di entrata in vigore della legge succitata.

Ne’ da tale abrogazione possono essere dedotti criteri interpretativi dal momento che la legge in esame ha completamente modificato la materia relativa all’approccio al giudizio di legittimita’, come dimostra l’introduzione del nuovo art. 360 bis c.p.c..

Con il primo motivo la ricorrente lamenta omessa e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5; violazione e falsa applicazione delle norme sull’interpretazione dei contratti di cui all’art. 1362 c.c. e segg. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; vizio e illogicita’ del ragionamento e della motivazione.

Il motivo in esame tratta congiuntamente censure ontologicamente e strutturalmente diverse, quali sono la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (che peraltro, non essendo sinonimi, debbono essere specificate) e i vizi di motivazione.

La stessa ricorrente afferma che con il primo motivo e tre successivi intende impugnare i capi 3^, 4^, 5^.1, 6^.2, 7^A) della sentenza della Corte torinese.

Un modus censurandi siffatto non rispetta la specificita’ dei motivi richiesta dall’art. 366 c.p.c., n. 4.

Inoltre la censura in esame, che si sviluppa per oltre quindici pagine, non contiene un momento di sintesi formulato con i criteri sopra enunciati e necessario per circoscrivere il fatto controverso e per specificare con percettibilita’ immediata e senza costringere la Corte ad un’approfondita attivita’ interpretativa quali capi della sentenza e per quali ragioni presentino, rispettivamente, motivazione omessa o insufficiente ovvero illogica.

Le argomentazioni a sostegno, che presentano ampie citazioni delle risultanze processuali, si concludono con un quesito di diritto che si rivela irrimediabilmente astratto in quanto svincolato dai necessari riferimenti al caso concreto e alla motivazione della sentenza impugnata.

Con esso la ricorrente chiede alla Corte di affermare che l’interpretazione del contratto deve essere effettuata non limitandosi alla ricognizione del tenore letterale delle parole, ma deve estendersi agli altri elementi testuali ed extratestuali. Ma in tal modo prescinde dalla motivazione della sentenza impugnata, non indica gli “ulteriori” elementi che la Corte territoriale avrebbe dovuto considerare, non spiega a quali diversi risultati e per quali ragioni essa sarebbe dovuta pervenite ove li avesse correttamente interpretati e valutati.

Anche recentemente questa Corte (Cass. n. 8463 del 2009) ha ribadito che la funzione propria del quesito di diritto, da formularsi a pena d’inammissibilita’ del motivo proposto, e’ di far comprendere alla Corte di legittimita’, dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico – giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare.

Il quesito de quo non indica neppure quale sia la diversa regola juris applicata dalla Corte territoriale rispetto a quella postulata.

Le medesime caratteristiche negative si riscontrano nel secondo e terzo motivo, che lamentano i medesimi vizi con riferimento ad altri capi della sentenza, e nel quarto motivo, che denuncia violazione e falsa applicazione delle norme sull’interpretazione dei contratti di cui agli artt. 1362 e 1363 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

In particolare, il secondo e il terzo motivo si concludono con quesiti identici al primo, ad ulteriore dimostrazione della rilevata astrattezza, poiche’ e’ contro la ratio dell’art. 366 bis c.p.c. che un medesimo quesito possa avere efficacia polivalente, ponendosi a conclusione e suggello di censure diverse. Proprio al fine di evitare che cio’ possa avvenire l’elaborazione giurisprudenziale pretende che il quesito contenga i riferimenti al caso concreto necessari per individuare l’eventuale erroneita’ della sentenza impugnata ed enunciare il corretto principio di diritto cui il giudice di rinvio dovra’ dare corretta attuazione.

Il quesito relativo al quarto motivo e’ formulato in relazione all’art. 1363 c.c. ma si rivela astratto come i precedenti. Infatti si chiede di affermare che, ai sensi della norma indicata, le singole clausole contrattuali vanno correlate tra loro e valutate alla luce delle esigenze che sono destinate a soddisfare e al fine di individuare la comune intenzione delle parti. Ma non vengono specificate ne’ la diversa regola applicata dalla Corte territoriale, ne’ le ragioni della violazione del principio astratto di cui si chiede l’affermazione.

In conclusione, la valutazione globale dei primi quattro motivi, in definitiva prefigurata e sollecitata dalla stessa ricorrente, induce a rilevare che essi postulano in ammissibilmente una diversa interpretazione dei dati contrattuali, laddove e’ orientamento giurisprudenziale costante (confronta, per tutte, Cass. 4849 del 2006; Cass. n. 15381 del 2004) che, in tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volonta’ delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in un’indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimita’ nella sola ipotesi di motivazione inadeguata ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui all’art. 1362 c.c. e segg.. Nell’ipotesi in cui il ricorrente lamenti espressamente tale violazione, egli ha l’onere di indicare, in modo specifico, i criteri in concreto non osservati dal giudice di merito e, soprattutto, il modo in cui questi si sia da essi discostato, non essendo, all’uopo, sufficiente una semplice critica della decisione sfavorevole, formulata attraverso la mera prospettazione di una diversa (e piu’ favorevole) interpretazione rispetto a quella adottata dal giudicante.

La ricorrente postula un’interpretazione delle risultanze processuali difforme da quella accolta dalla sentenza impugnata, ma le sue argomentazioni implicano esame delle medesime e apprezzamenti di fatto, non consentiti al giudice di legittimita’ e non risultanti dai quesiti sottoposti all’esame della Corte.

Con il quinto motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 112, 345 c.p.c., dell’art. 2907 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.

Il quesito finale postula l’enunciazione di principi di diritto basati soltanto sull’art. 345 c.p.c. (il giudice deve decidere nel merito solo le domande formulate in primo grado e riproposte in sede di impugnazione; e’ inammissibile, in quanto domanda nuova, anche quella che aggiunga una ulteriore causa petendi autonoma rispetto a quella gia’ formulata per ottenere il risarcimento del danno).

Anche in questo caso esso si rivela astratto poiche’ svincolato dal caso specifico e dalla motivazione addotta dalla Corte d’Appello.

Infatti non specifica quale fosse la “ulteriore causa petendi autonoma” che asserisce essere stata aggiunta a quella gia’ formulata con riferimento alla pronuncia di risarcimento danni e non considera che dalla parte espositiva della sentenza impugnata risulta che la resistente aveva sempre chiesto il risarcimento dei danni e che, in particolare (vedi pagg. 17 e 18 della sentenza) con l’atto di citazione autonomo aveva chiesto, al punto 3, che fosse dichiarato illegittimo sia l’utilizzo della banca dati successivamente alla scadenza del rapporto, sia il trasferimento in altro computer, con condanna della controparte alla consegna della banca dati nella sua interezza e con ordine di distruzione di ogni copia posseduta od effettuata e degli archivi magnetici e, al punto 5), che la controparte venisse condannata al risarcimento dei danni, indicata in L. 15.000.000.000 o nella misura meglio ritenuta. Non appare, dunque, denunciata correttamente, ne’ d’altra parte ravvisabile, la denunciata extrapetizione.

Con il sesto motivo viene denunciata omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Il motivo viene riferito a tre capi (V.2, C, D) della sentenza e, quindi, per cio’ solo si connota di aspecificita’.

Infatti (Cass. S.U. n. 5624 del 2009) in caso di proposizione di motivi di ricorso per Cassazione formalmente unici, ma in effetti articolati in profili autonomi e differenziati di violazioni di legge diverse (o di vizi di motivazione riferiti a questioni diverse), sostanziandosi tale prospettazione nella proposizione cumulativa di piu’ motivi, affinche’ non risulti elusa la “ratio” dell’art. 366 bis c.p.c., deve ritenersi che tali motivi cumulativi debbano concludersi con la formulazione di tanti quesiti per quanti sono i profili fra loro autonomi e differenziati in realta’ avanzati, con la conseguenza che, ove il quesito o i quesiti formulati rispecchino solo parzialmente le censure proposte, devono qualificarsi come ammissibili solo quelle che abbiano trovato idoneo riscontro nel quesito o nei quesiti prospettati, dovendo la decisione della Corte di Cassazione essere limitata all’oggetto del quesito o dei quesiti idoneamente formulati, rispetto ai quali il motivo costituisce l’illustrazione.

La censura, che si sviluppa con ampi riferimento al merito, non contiene il prescritto momento di sintesi, ma si limita a eccepire assenza di motivazione su un punto decisivo e controverso, non analiticamente specificato.

A questo proposito giova ribadire (confronta la recente Cass. n. 4556 del 2009) che, ove venga in rilievo il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (il cui oggetto riguarda il solo “iter” argomentativo della decisione impugnata), e’ richiesta un’illustrazione che, pur libera da rigidita’ formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione.

Considerazioni identiche valgono per il settimo e per l’ottavo motivo, strutturati nello stesso modo e contenenti ripetuti riferimenti alla C.T.U..

A tale riguardo – ma l’osservazione che qui assume rilievo decisivo riguarda l’intero ricorso – si rivela palese la violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, sotto il profilo riferito nella premessa.

La ricorrente non ha ottemperato agli oneri processuali sopra evidenziati in quanto non ha prodotto la relazione del C.T.U. ne’ ha specificamente riferito il contenuto del documento.

Inoltre, confrontando il motivo in esame con il dettato dell’art. 366 bis c.p.c., e’ agevole rilevare la totale assenza del momento di sintesi necessario per circoscrivere i limiti della censura mossa in tema di consulenza tecnica e per specificare le ragioni degli addotti vizi motivazionali.

Con il nono motivo la ricorrente ipotizza violazione e falsa applicazione degli artt. 2696 e 1226 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 3; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5.

Anche questa censura si conclude con un duplice quesito, ma non contiene in nessuna sua parte il momento di sintesi necessario per indicare chiaramente il fatto controverso e, per quanto riguarda il quesito di diritto, contesta il ricorso della Corte d’Appello alla liquidazione equitativa, ma prescinde dal caso concreto e dalla motivazione addotta dalla sentenza impugnata.

Infatti postula l’enunciazione dei principi secondo cui la liquidazione equitativa del danno presuppone l’esistenza ontologica del pregiudizio, l’assolvimento dell’onere probatorio che grava su chi si dichiara danneggiato e la precisa indicazione del processo logico attraverso il quale il criterio equitativo e’ stato espresso e quantificato. Trattasi – come del resto quelle relative ad altri motivi di ricorso – di affermazioni di principio condivisibili in via generale, ma connotate da genericita’ e astrattezza poiche’ rimangono avulse dal caso concreto, cioe’ dalla peculiarita’ del fatti all’origine della controversia e dall’assetto giuridico e motivazionale loro attribuito dalla Corte d’Appello.

Il decimo motivo rappresenta violazione e falsa applicazione dell’art. 346 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.

Esso e’ inammissibile per due ordini di ragioni. In primo luogo, poiche’ si conclude con un quesito di diritto (al fine di evitarne il passaggio in giudicato, la domanda respinta deve essere censurata mediante proposizione di appello principale o incidentale) ancora una volta del tutto svincolato dal caso concreto e dalla motivazione della sentenza impugnata (che si era pronunciata per l’assorbimento della domanda) e, quindi, assolutamente astratto.

In secondo luogo, in quanto la ricorrente non ha indicato il pregiudizio arrecatole dal dichiarato dalla Corte territoriale assorbimento, nel rigetto di una delle domande avanzate dalla Sitav, dell’accertamento negativo richiesto per cui difetta l’interesse processuale alla censura.

Con l’undicesimo motivo la Gestione Straordinaria denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.

Con riferimento ad essa valgono le stesse considerazioni espresse per la precedente. Il quesito (la parte che propone domanda di accertamento negativo ha interesse ex art. 100 c.p.c. ad ottenere al relativa pronuncia anche in caso di rigetto della contrapposta domanda di condanna formulata dalla controparte) si rivela del tutto astratto e non specifica quale fosse l’interesse processuale ad ottenere l’accoglimento della propria domanda di accertamento negativo malgrado il rigetto dell’avversa domanda avente il medesimo oggetto.

L’enunciata specificazione era necessaria poiche’ e’ orientamento giurisprudenziale costante (confronta, per tutte, Cass. n. 13373 del 2008) che l’interesse all’impugnazione, il quale costituisce manifestazione del generale principio dell’interesse ad agire – sancito, quanto alla proposizione della domanda e alla contraddizione alla stessa, dall’art. 100 c.p.c. – va apprezzato in relazione all’utilita’ concreta derivabile alla parte dall’eventuale accoglimento del gravame e non puo’ consistere in un mero interesse astratto ad una piu’ corretta soluzione di una questione giuridica, non avente riflessi sulla decisione adottata.

Con il dodicesimo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.

Il quesito di diritto (il successore a titolo universale che interviene nel giudizio di primo grado e’ assoggettato a tutte le norme che ne regolano il procedimento per cui se intende proporre appello deve assumere la veste di appellante o di appellato e non puo’ limitarsi a intervenire adesivamente nel giudizio di appello) presenta le medesime caratteristiche di astrattezza (la Corte territoriale aveva affermato che la SAV era gia’ intervenuta in primo grado quale successore della SITAV ex art. 111 c.p.c., comma 3 ed era legittimata a costituirsi nell’udienza fissata per la prima comparizione nel giudizio d’appello facendo propri i motivi gia’ presentati dalla dante causa) che hanno connotato i precedenti e, dunque, gia’ per questo ne segue la sorte.

Inoltre la denunciata violazione dell’art. 345 c.p.c., il quale disciplina il divieto di domande ed eccezioni nuove in appello, risulta incongrua rispetto alla doglianza, che concerne la circostanza che nel giudizio d’appello la Saav si fosse limitata a fare propri i motivi gia’ presentati dalla Sitav (cui era succeduta a titolo universale) anziche’ proporre appello incidentale.

Le considerazioni che precedono determinano l’inammissibilita’ del ricorso. Le spese del giudizio di cassazione seguono il criterio della soccombenza e vengono liquidate in complessive Euro 15.200,00, cui si perviene da una base di onorari di Euro 12.500,00 aumentati del 20% essendo congiunta la difesa delle sue resistenti (rappresentate e difese dal medesimo avvocato), cui vanno aggiunte le spese.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate, per la congiunta difesa, in complessivi Euro 15.200,00, di cui Euro 15.000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2010

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