Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4342 del 10/02/2022

Cassazione civile sez. I, 10/02/2022, (ud. 02/12/2021, dep. 10/02/2022), n.4342

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. CENICCOLA Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 6061/2017 R.G. proposto da:

(OMISSIS) s.r.l., ((OMISSIS) s.r.l.), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

C. Colombo n. 436, presso lo studio dell’Avvocato Riccardo Riedi,

che la rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) s.r.l. ((OMISSIS) s.r.l.), in persona del

Curatore Dott. F.R., elettivamente domiciliato in Roma,

Via G.G. Belli n. 27, presso lo studio dell’Avvocato Giuseppina

Ivone, che lo rappresenta e difende giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 481/2017 della Corte d’appello di Roma

depositata il 26/1/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

2/12/2021 dal Cons. Dott. Alberto Pazzi;

lette le conclusioni scritte, ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art.

23, comma 8-bis, inserito dalla Legge di Conversone n. 176 del 2020,

del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

NARDECCHIA Giovani Battista, che chiede il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Roma, con sentenza del 17 febbraio 2016, riteneva inammissibile il ricorso presentato da (OMISSIS) s.r.l. per la dichiarazione del proprio stato di insolvenza ai sensi del D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 8, in mancanza del requisito dimensionale previsto dall’art. 2, comma 1, lett. a), del medesimo decreto, e dichiarava il fallimento della medesima compagine, su istanza del P.M..

2. La Corte d’appello di Roma, a seguito del reclamo proposto da (OMISSIS) s.r.l., condivideva la valutazione del primo giudice, ritenendo che ai fini della verifica della sussistenza del requisito dimensionale necessario per l’avvio della procedura di amministrazione straordinaria, finalizzata al risanamento dell’impresa, non potesse essere computata la forza lavoro già trasferita in virtù di un contratto di affitto di azienda, poiché la finalità conservativa perseguita dalla procedura rendeva imprescindibile che la gestione dell’azienda competesse all’impresa che alla stessa veniva ammessa.

3. Per la cassazione della sentenza di rigetto del reclamo, pubblicata in data 26 gennaio 2017, ha proposto ricorso (OMISSIS) s.r.l. prospettando due motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso il fallimento di (OMISSIS) s.r.l..

Questa stessa sezione ha ritenuto che il ricorso, presentando profili di possibile rilievo nomofilattico, dovesse essere rinviato a nuovo ruolo per la trattazione in udienza pubblica.

Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte, sollecitando il rigetto del ricorso.

Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 2, comma 1, lett. a): la Corte d’appello – a dire di parte ricorrente – si è limitata a richiamare un isolato precedente della Corte di legittimità senza riflettere sulle rilevanti differenze esistenti fra cessione e affitto di azienda, in quanto l’effetto traslativo si verifica nel primo caso in maniera definitiva, nel secondo con effetti temporanei, con il conseguente diritto, in quest’ultima ipotesi, tanto dei lavoratori ad essere ricollocati al termine del periodo di affitto nella struttura organizzativa del concedente, quanto del datore di lavoro di riacquisire le maestranze in tutte le sue componenti originarie.

Un simile legame, caratterizzato dal mantenimento in capo al concedente, in costanza di affitto, della titolarità del compendio aziendale e dei rapporti contrattuali che lo compongono, risulta – in tesi – di così peculiare rilievo da indurre a ritenere che le dimensioni strutturali e organizzative dell’impresa rimangano immutate e come tali debbano essere apprezzate ai fini di valutare il ricorrere delle condizioni per l’accesso all’amministrazione straordinaria.

Ne’ è condivisibile – continua il ricorrente – l’assunto della Corte di merito secondo cui il requisito dimensionale implica che l’imprenditore svolga un’attività dinamica e i lavoratori prestino effettivamente un’attività lavorativa subordinata alle sue dipendenze, giacché la norma, includendo nel novero dei rapporti lavorativi rilevanti anche quelli con i dipendenti ammessi al trattamento di integrazione dei guadagni, mostra di voler avere riguardo non tanto all’effettiva fruizione delle prestazioni lavorative delle maestranze aziendali, quanto piuttosto alla sostanziale titolarità dei rapporti lavorativi.

5. Il secondo motivo, nel lamentare la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 2, comma 1, lett. a), nonché l’omesso esame del rapporto contrattuale esistente fra (OMISSIS) e Studium s.r.l. e delle sue peculiarità, sostiene che la Corte di merito non abbia colto ed adeguatamente valorizzato il fatto che il contratto solo all’apparenza aveva natura di affitto di azienda, in quanto, in realtà, era finalizzato a conseguire un temporaneo effetto conservativo del compendio aziendale che ne scongiurasse il dissolvimento allo scopo di consentire l’avvio della procedura di amministrazione straordinaria, il cui commissario giudiziale avrebbe potuto in qualsiasi momento e per qualsiasi motivo recedere ad nutum.

6. I motivi, da esaminarsi congiuntamente, non sono fondati.

6.1 Il D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270, art. 3, prevede espressamente che “se un’impresa avente i requisiti previsti dall’art. 2, si trova in stato di insolvenza, il tribunale del luogo in cui essa ha la sede principale, su ricorso dell’imprenditore, di uno o più creditori, del pubblico ministero, ovvero d’ufficio, dichiara tale stato con sentenza in Camera di consiglio”.

La norma, nel prescrivere che il Tribunale dichiari lo stato di insolvenza rispetto a un’impresa “avente i requisiti previsti dall’art. 2”, impone che l’accertamento si riferisca alle condizioni dell’impresa sussistenti al momento dell’adozione di tale statuizione.

Ai fini della verifica dell’esistenza del requisito dimensionale di cui al D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 2, comma 1, lett. a), il Tribunale deve accertare se, allorquando la declaratoria di insolvenza deve essere pronunciata, l’impresa abbia “un numero di lavoratori subordinati, compresi quelli ammessi al trattamento di integrazione dei guadagni, non inferiore a duecento da almeno un anno”.

Il combinato disposto delle due norme di legge valorizza la titolarità giuridica di un determinato ammontare di rapporti di lavoro che risulti far capo, nello specifico frangente della dichiarazione dello stato di insolvenza, all’imprenditore, a prescindere dal fatto che i dipendenti svolgano la loro normale attività oppure godano, in costanza di rapporto, di un trattamento di integrazione dei guadagni finalizzato a sostenere economicamente il loro salario in ragione della situazione di difficoltà in cui versa l’impresa datrice di lavoro.

6.2 Ai fini della verifica del requisito occupazionale in discorso occorre perciò avere riguardo soltanto a coloro che da almeno un anno siano titolari di un rapporto di lavoro subordinato con l’impresa (vuoi che essi prestino normalmente la loro attività, vuoi che i medesimi siano ammessi al trattamento di integrazione dei guadagni).

Non possono, invece, computarsi i lavoratori delle aziende trasferite in affitto a terzi.

Il disposto dell’art. 2112 c.c., comma 1, prevede, infatti, che “in caso di trasferimento di azienda” – ivi compreso, nel senso previsto dal successivo comma 4, l’affitto di azienda – “il rapporto di lavoro continua con il cessionario”.

Dunque, l’affitto d’azienda, nel momento in cui si conclude e per tutta la sua durata, comporta una successione legale a titolo particolare nel rapporto di lavoro dal lato datoriale (Cass. 12919/2017, Cass. 10701/2002), dovendosi di conseguenza escludere la persistenza di un rapporto contrattuale anche con il concedente e la possibilità di continuare a includere i lavoratori operanti all’interno dell’azienda trasferita nel novero dei lavoratori subordinati alle dipendenze del medesimo trasferente.

Occorre, pertanto, ribadire – dando continuità a quanto già ritenuto dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. 6648/2013) – il seguente principio di diritto:

il D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 3, comma 1, prescrive che il Tribunale accerti lo stato di insolvenza rispetto a un’impresa “avente i requisiti previsti dall’art. 2”, imponendo così che l’accertamento si riferisca alle condizioni dell’impresa sussistenti al momento dell’avvio della procedura; ne discende che ai fini del calcolo del requisito dimensionale di cui al D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 2, comma 1, lett. a), debbono considerarsi dipendenti solo coloro che risultino titolari, da almeno un anno, di un rapporto di lavoro subordinato con l’impresa alla data della dichiarazione dello stato di insolvenza, mentre non possono computarsi tra i dipendenti occupati nell’ultimo anno, in applicazione del disposto dell’art. 2112 c.c., comma 1, quelli che lavorano in aziende trasferite in affitto a terzi.

6.3 La statuizione impugnata ha fatto corretta applicazione del principio appena enunciato, laddove ha escluso dal computo dei dipendenti in forza nell’ultimo anno, ai fini della verifica del requisito dimensionale previsto dal D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270, art. 2, lett. a), i lavoratori occupati in un’azienda ceduta in affitto a terzi.

Non si presta a censure neppure la valutazione di irrilevanza della reversibilità dell’affitto a terzi, in ragione della facoltà di recesso che era stata prevista in contratto, dato che la Corte di merito ha opportunamente – come appena spiegato – ritenuto “necessario che la struttura aziendale richiesta dalla norma sussista al momento del vaglio dell’ammissibilità della procedura” (v. pag. 3 del provvedimento impugnato).

7. In conclusione, per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 6.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2022

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