Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4337 del 20/02/2020

Cassazione civile sez. I, 20/02/2020, (ud. 13/11/2019, dep. 20/02/2020), n.4337

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25129/2014 proposto da:

Agos Ducato S.p.a., (già Logos Finanziaria), di seguito in breve

“Agos”, in persona del suo Procuratore Speciale pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Piazza Giovine Italia n. 7,

presso lo studio dell’avvocato Carnevali Riccardo che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato Milanini Pier Andrea, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

L. S.p.a., in Amministrazione Straordinaria (già L.

s.p.a.), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via Salaria n. 259, presso lo

studio dell’avvocato Bonelli Erede Pappalardo, rappresentata e

difesa dagli avvocati Negri Antonella e Passalacqua Marco, giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di LIVORNO, del 15/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/11/2019 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con decreto depositato il 15 settembre2014, il Tribunale di Livorno ha rigettato l’opposizione L. Fall., ex art. 98, proposta da Agos Ducato s.p.a. (già Logos Finanziaria s.p.a.) avverso il provvedimento con cui il G.D. dello stesso Tribunale aveva rigettato la sua domanda di ammissione con riserva allo stato passivo della procedura di Amministrazione Straordinaria di L. s.p.a. del credito, per quote mensili di stipendio e per T.F.R, cedutole dal dipendente dell’impresa in A.S. S.S. a garanzia della restituzione di un finanziamento ricevuto.

Il Tribunale ha osservato che: L. s.p.a. in A.S., autorizzata dal G.D. a continuare l’esercizio dell’impresa ed a pagare i dipendenti in prededuzione, non aveva mai mancato di versare ad Agos mese per mese, contestualmente al maturare del diritto di S.S. a percepire la retribuzione, la quota della stessa che il lavoratore le aveva ceduto; che dunque la domanda di ammissione aveva ad oggetto unicamente crediti futuri, ovvero non ancora venuti ad esistenza alla data di emanazione del decreto di esecutività dello stato passivo, che sarebbero sorti nei mesi a venire, con il sorgere del diritto del cedente al pagamento dello stipendio mensile o, relativamente al TFR, alla data di cessazione del rapporto di lavoro.

Agos Ducato ha proposto ricorso per la cassazione del decreto, affidandolo a tre motivi.

L’Amministrazione Straordinaria di L. s.p.a. ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 380 bis1. c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 96.

Agos sostiene che il credito per TFR cedutole, in quanto condizionato all’effettivo verificarsi dell’evento della cessazione del rapporto lavorativo del cedente, avrebbe dovuto essere ammesso al passivo con riserva ai sensi del comma 1 dell’articolo in questione.

2. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1260,1264 c.c. e D.P.R. n. 180 del 1950, art. 43.

La ricorrente – evidenziato che nei contratti di cessione del credito l’effetto traslativo si perfeziona in forza del solo consenso legittimamente manifestato dal cedente e dal cessionario e che, quanto al TFR, anche in caso di prosecuzione del rapporto di lavoro, la cessione diventa efficace e vincolante nei confronti del debitore ceduto dal momento in cui gli viene notificata – assume che, contrariamente a quanto affermato dal giudice del merito, il credito per TFR insinuato era già esistente, certo e liquido, in quanto quantificato nel suo ammontare nel certificato di stipendio e nell’atto di benestare sottoscritto da L..

3. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2120 c.c..

Agos contesta l’affermazione del giudice a quo secondo cui l’accantonamento della quota annuale del TFR disposto da L. in A.S. in favore del cedente costituiva mera modalità di calcolo dell’ammontare dell’indennità, non comportante il diritto alla sua percezione, che è unico e matura solo all’atto della cessazione del rapporto di lavoro. La ricorrente deduce, in contrario, che il credito per TFR di S.S. di Euro 15.202,00 era già stato ammesso allo stato passivo della procedura: sostiene, pertanto, che essendo essa, quale cessionaria, l’effettiva titolare del credito in questione, la già disposta ammissione avrebbe dovuto essere revocata ed il tribunale avrebbe dovuto accogliere la sua opposizione, ammettendola con riserva per il medesimo importo, fino al verificarsi della condizione della cessazione del rapporto di lavoro del dipendente. Infine, evidenzia il timore che, ove la procedura dovesse risultare incapiente, il suo diritto a richiedere le somme presso il Fondo di Garanzia dell’INPS verrebbe pregiudicato dalla mancata ammissione con riserva.

4. Devono essere preliminarmente rigettate le eccezioni di inammissibilità del ricorso sollevate dalla controricorrente.

Infondata è in primo luogo l’eccezione di carenza di autosufficienza (rectius: specificità) dell’intero ricorso: nella specie l’eccezione (che, come chiarito dalle SS.UU. di questa Corte con la sentenza 16887/013, va valutata rispetto ad ogni singolo motivo di impugnazione) non può certamente porsi rispetto ai primi due motivi di censura, i quali, sulla scorta di dati fattuali incontroversi fra le parti e comunque accertati dal giudice del merito (la qualità di Agos di cessionaria dei crediti di lavoro di S.S. e l’opponibilità della cessione all’A.S. di L.) pongono una questione di puro diritto.

Parimenti infondata è l’eccezione di inammissibilità del ricorso ex art. 360 bis c.p.c., atteso che, se è pur vero che v’è un orientamento consolidato di questa Corte in tema di maturazione del diritto alla percezione del TFR e di individuazione del momento traslativo del diritto di credito ceduto nella vendita di cose future, non vi sono precedenti specifici in ordine alla questione dell’ammissibilità con riserva, allo stato passivo di una procedura concorsuale, di un credito per TFR ceduto.

5. I primi due motivi del ricorso, che, vertendo su questioni strettamente collegate, vanno esaminati unitariamente, sono infondati.

Questa Corte ha più volte affermato che la L. Fall., art. 55, comma 3, nel prevedere la partecipazione al concorso con riserva (a norma degli artt. 96 e 113 della stessa Legge) dei crediti condizionali, è norma eccezionale, che devia dal principio generale della cristallizzazione operata dalla dichiarazione di fallimento sulla situazione del passivo dell’imprenditore, e come tale non è suscettibile di applicazione analogica a diritti i cui elementi costitutivi non si siano integralmente realizzati anteriormente alla detta dichiarazione, in tal caso versandosi in ipotesi non già di mera inesigibilità della pretesa, ma di credito non ancora sorto ed eventuale (Cass. n. 8765/2011; Cass. n. 11953/2003).

Il credito per TFR di cui si controverte in giudizio, ceduto dal dipendente ad Agos Ducato s.p.a. a garanzia della restituzione del finanziamento, rientra proprio tra i crediti non ancora sorti, ed è dunque solo futuro ed eventuale.

Infatti, in primo luogo, secondo quanto accertato dal giudice del merito e non contestato dalla ricorrente, questa, al momento dell’emanazione del decreto impugnato, continuava a percepire mensilmente da L. s.p.a. in A.S. – autorizzata a proseguire l’attività ed a pagare i propri dipendenti in prededuzione – la quota del quinto dello stipendio cedutale da S.S.: pertanto, non essendo dato sapere quando il rapporto di lavoro di quest’ultimo con l’impresa in A.S. verrà a cessare, non può escludersi l’eventualità che il debito del medesimo verso Agos si estingua attraverso la corresponsione unicamente di tali quote, senza intaccare il trattamento di fine rapporto.

Ne consegue che, al momento della presentazione della domanda di insinuazione allo stato passivo, non v’era alcuna certezza che la società finanziaria fosse destinata a soddisfarsi anche sul TFR.

Peraltro (ed è ciò che maggiormente rileva) il Tribunale di Livorno ha correttamente affermato che il lavoratore, nel cedere a garanzia della restituzione del finanziamento il proprio TFR, ha ceduto un credito solo futuro e non attuale, essendo il suo rapporto di lavoro con la procedura controricorrente ancora in atto.

E’, infatti, orientamento consolidato di questa Corte che “il diritto al trattamento di fine rapporto sorge, a norma dell’art. 2120 c.c., al momento della cessazione del rapporto ed in conseguenza di essa, essendo irrilevante, al fine di ipotizzare una diversa decorrenza, l’accantonamento annuale della quota del trattamento, che costituisce una mera modalità di calcolo dell’unico diritto che matura nel momento anzidetto, ovvero l’anticipazione sul trattamento medesimo, che è corresponsione di somme provvisoriamente quantificate e prive del requisito della certezza, atteso che il diritto all’integrale prestazione matura, per l’appunto, solo alla fine del rapporto lavorativo” (Cass. n. 3894 del 18/02/2010; vedi recentemente Cass. n. 14510/2019; n. 2827/2018; n. 23087/2015).

D’altro canto, con riferimento alla cessione di crediti futuri, l’immediato perfezionamento del contratto per effetto del consenso manifestato da cedente e cessionario non determina l’immediato effetto traslativo del credito.

Infatti, analogamente a quanto già statuito da questa Corte in tema di credito derivante dalla vendita di cose future (cfr. Cass. n. 551/2012), in caso di cessione di crediti futuri il trasferimento della titolarità del credito si verifica soltanto nel momento in cui il medesimo viene ad esistenza, mentre, anteriormente, il contratto, pur essendo perfetto, esplica una mera efficacia obbligatoria.

In conclusione, gli elementi costitutivi del credito, futuro ed eventuale, acquistato dalla società ricorrente non si erano integralmente realizzati prima dell’ammissione di L. s.p.a. alla procedura di Amministrazione Straordinaria: il credito, pertanto, non poteva essere ammesso allo stato passivo della procedura neppure con riserva, a norma della L. Fall., art. 96.

6. Il terzo motivo del ricorso è inammissibile.

E’ principio consolidato di questa Corte che i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel thema decidendum del precedente grado del giudizio, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass., 17/01/2018, n. 907; Cass., 09/07/2013, n. 17041).

Ne consegue che, ove nel ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di specificità del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, nonchè il luogo e modo di deduzione, onde consentire alla S.C. di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass., 13/06/2018, n. 15430).

I principi appena enunciati trovano applicazione nel caso di specie, posto che dalla lettura del decreto impugnato non emerge traccia della questione concernente l’avvenuta ammissione al passivo del credito per TFR maturato dal dipendente S. (e del conseguente diritto di Agos, previa revoca di detta ammissione, ad insinuarsi per il medesimo importo) e che la ricorrente non ha adempiuto al proprio onere di allegazione sul punto, specificando se, e con quali modalità, la questione (comportante accertamenti in fatto) sia stata sottoposta all’esame del giudice del merito.

Il rigetto del ricorso comporta la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali che si liquidano come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello del ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2020

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