Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4333 del 21/02/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 4333 Anno 2013
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: SCALISI ANTONINO

SENTENZA

sul ricorso 16649-2006 proposto da:
CORACI

VITO

CRCVTI32C24A176N,

MANZELLA

ROSA

MNZRS035T59A176P, elettivamente domiciliati in ROMA,
VIA GUIDO RENI 2, presso lo studio dell’avvocato DE
GREGORIO

MADDALENA,

rappresentati

e

difesi /

dall’avvocato SEMINARA FILIPPO NERI;
– ricorrenti –

2012
2574

contro

RUFFINO VINCENZO, MESSINA FRANCESCA;
– intimati

avverso la sentenza n. 83/2006 della CORTE D’APPELLO
di PALERMO, depositata il 02/02/2006;

Data pubblicazione: 21/02/2013

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 12/12/2012 dal Consigliere Dott. ANTONINO
SCALISI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO che ha concluso

per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
Ruffino Vincenzo e Messina Francesca, con atto di citazione del 16 novembre
1993, convenivano in giudizio, davanti al Tribunale di Trapani, Coraci Vito e
Manzella Rosa ed esponendo di essere proprietari pro indiviso di un
fabbricato con spiazzo antistante e con appezzamento di terreno attiguo sito in

Alcamo confinante a sud con la proprietà dei convenuti, a loro volta
proprietari di una casa con spiazzo antistante e terreno pertinente posto ad est,
attraversato da una stradella di accesso al fondo degli attori, che i coniugi
convenuti, intorno al 1981 al confine nord del proprio fondo avevano
costruito un muretto- parapetto alto circa un metro, così realizzando una
comoda veduta sul tondo degli attori e, all’interno della casa, un bagno in
aderenza al muro divisorio con la casa degli attori e collocando i relativi tubi
dei servizi a meno di un metro dal confine, ed altresì, collocavano sul terrazzo
un serbatoio d’acqua il cui tubo di adduzione veniva collocato sulla faccia
esteina del mulo di unitine e, quindi, nell’alta di ploplietà &gli diluii ed il
tubo di deflusso sul confine st-e&se, ~lizze-ride, amore, une

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dispersione vicino al confine; tutte ciò premesso c – • -,sz.. , ; – : che venisse
dichiarato che il loro fondo non era assoggettato a servitù di veduta esercitata
dai convenuti attraverso il muretto da essi costruito che i tubi e le fosse di
latrina erano

collocati ad una dictan7a inferiore dal confine

da quella prevista

dalla legge e, pertanto, che i convenuti venissero condannati _ad eliminare le

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opere de quibus.

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Si costituivano i convenuti eccependo che le opere descritte in citazione già
esistevano nello stato descritto dagli attori da oltre venti anni e che, in
particolare, la fossa —latrina esisteva da oltre cinquanta anni.
Il Tribunale di Trapani accoglieva la domanda attorea e condannava i
i

convenuti a spostare i tubi di adduzione e di deflusso relativo al serbatoio

d’acqua posto sul terrazzo della casa di proprietà dei medesimi; di spostare i
tubi del servizio del locale bagno, ad almeno un metro dal confine con il
fondo di proprietà degli attori ,di collocare la fossa latrina ad almeno due
metri dal confine della proprietà degli attori . Il Tribunale specificava che le

opere descritte nell’atto di citazione non erano state contestate dai convenuti i
quali si erano limitati ad eccepire l’avvenuta usucapione senza , però, aver
fornito la prova dell’avvenuta usucapione.
Avverso questa sentenza proponevano appello i coniugi Coraci Manzella
chiedendo la riforma integrale della sentenza di primo grado per diversi
motivi e, soprattutto, per la ragione assorbente che le opere descritte nella
citazione era state compiute dal precedente loro dante causa proprietario a sua
volta anche dei beni oggetto di causa, di proprietà degli attori e che, pertanto,
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le relative servitù eidil0 soite pei destinazione del pale di faniiglia.
Si LustituiV41I0 gli-appaiati, euntegctlidu il fondamento del gut-manie.
La Corte di appello di Palermo con sentenza n. 83 del 2006 confermava la
sentenza del Tribunale di Trapani. Seconde la Certe palermitana nel caseconcreto andava escluso che gli appellanti avessero acquistato i diritti di
servitù di cui si dice per destinazione del padre di famiglia perché le opere
a_Suritivamente destinate all’eserci7in della servitù erano state reali77ate dopo
che il fondo inizialmente unico era_stato diviso tra più ~ari.
La Cassazione di questa sentenza è stata chiesta dai coniugi Coraci Manzella
per tre motivi. I coniugi Ruffino Messina regolarmente intimati, in questa fase
non hanno svolto alcuna attività giudiziale.
Motivi della decisione
1.= Con il primo motivo i coniugi Coraci e Manzella denunciano un error in
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iudicando con omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione per non
aver correttamente valutato i documenti prodotti dai ricorrenti ed attestanti
l’esistenza delle opere destinate all’uso della servitù prima dell’atto di
frazionamento. Secondo i ricorrenti la Corte di merito non avrebbe valutato
correttamente le circostanze istruttorie emerse nel giudizio sia di primo che di
secondo grado. Intanto, chiariscono i ricorrenti, è incontestato il fatto che i

fondi di proprietà Coraci e di proprietà Raffini appartenessero ad un unico
proprietario. Non solo ma i coniugi Coraci non hanno posto in essere alcuna
mutazione del suddetto stato dei luoghi che sono rimasti così come predisposti
dall’unico proprietario. Proprio l’esame delle prove documentali, secondo i
ricorrenti, in particolar modo l’atto di acquisto dei coniugi Coraci e
dell’allegato atto di frazionamento evidenziavano la sussistenza di tutti gli
elementi necessari per ritenere costituita la servitù per destinazione del padre
di

famiglia.
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precedente alla vendita dell’immobile ai coniugi Covaci avvenuta con atto dcl
18 marzo 1-974 mostrava inequivocabilmente la presenza di un vene bagno
adiacente al confine con la proprietà di Tartaro Salvatore dante causa dei
coniugi Ruffino palesandosi così la sussistenza di una situazione di fatto che
inequivocabilmente rivela l’onera efravante su un fondo e rine quello

dei

coniugi Raffino, a vanigggio dell’altra, di proprietà egli odierni ricorrenti La_
presenza di un tale vano adibito a bagno non poteva certo prescindere
dall’esistenza di uno scarico, cioè della fossa latrina e dei relativi tubi di
collegamento. Erroneo, dunque, sarebbe, secondo i ricorrenti, il presupposto
di fatto da muove il decidente ritenendo non provata la circostanza
dell’esistenza delle opere destinate all’esercizio della servitù
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antecedentemente all’atto di frazionamento.

1.1.= Il motivo è inammissibile.
Premessi e ribaditi i principi, più volte affermati dalla giurisprudenza di
questa Corte, secondo i quali il ricorrente per cassazione che intenda dolersi
dell’omessa od erronea valutazione di un documento da parte del giudice di

proc. civ. e dall’art. 369, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ., a pena di
inammissibilità e/o improcedibilità del ricorso – di indicare esattamente nel
ricorso in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il
contenuto, trascnven• o o

e ocumento in questione, e ai in. icarne i

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comunque, nassumene o o ne ricorso, e eve n evarsi c e ne caso in esame, i
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considerato che non si

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attribuisce alcuna rilevanza alla circostanza che i coniu• i Ruffino hanno WZ
sostenuto delle asserzioni e iuttosto contraddittorie sull’e•oca di costruzione
del muretto- sarapetto indicando l’anno 1992 e eoi, con assoluta disinvoltura,
il 1981. E, di più il decidente, secondo i ricorrenti, non ha considerato che
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merito, ha il duplice onere – imposto dall’art. 366, primo comma, n. 6, cod.

l’atto di frazionamento dove era descritto il vano bagno collegato alla

necessaria fossa con la relativa tubatura, costituiva già da sola la prova
dell’avvenuta

usucapione

della

servitù

esercitata.

Infatti

all’atto

di

frazionamento datato il 21 dicembre 1973 è allegato un altro documento dal
quale risulta che il perito Mistretta aveva compilato il predetto atto in data 30

ottobre 1973 in base ai rilievi sul luogo. Tale circostanza, pertanto proverebbe
, secondo i ricorrenti, l’esistenza fin dal 30 ottobre 1973 del vano bagno e
della necessaria fossa prima della presentazione dell’istanza di frazionamento
con conseguente usucapione delle relative servitù, a nulla rilevando la notifica
dell’atto di citazione del procedimento di primo grado del presente giudizio
avvenuto il 15 novembre 1993 e non nel mese di ottobre 1993, come

erroneamente indicato dal giudicante ad istanza dei coniugi Ruffino.
2.1.= Il motivo è infondato.
Premesso e ribadito il piiiicipio, più volte affelinato dalla giulispiudenza di
questa Corte e i ichialliato curdie dalla

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iniptiguata, secondo il quale il

requisite dell’apparenza delle scwitù, necessarie per il loro acquisto per
usucapione e per destinazione del padre di famigl-ia, postula l’esistenza di una
situazione di fatto la quale inequivocabilmente riveli per struttura e
consistenza l’onere gravante su un fondo a vantaggio di un altro, ancorché
l’apparenn non debba estendersi in e e• caso all’opera nel ctio complesso
Pertanto, non è l’entità dell’opera che rileya, ma le opere in quanto segno
obiettivo ed inequivoco, che non può mutuarsi da una prova per testimoni,
della loro destinazione ad una determinata servitù, deve rilevarsi che nel caso
in esame, come evidenzia e chiarisce la Corte palermitana, gli attuali
ricorrenti non hanno dato la prova che le opere di cui si dice rivelassero
inequivocabilmente, per la loro struttura e consistenza l’onere gravante su uno
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fl

dei due fondi a vantaggio dell’altro. Tale ragione di per se era sufficiente ad
escludere correttamente l’asserita intervenuta usucapione. Pertanto, ammesso
pure che fosse decorso il ventennio dalla realizzazione delle opere oggetto
della controversia, al momento della notifica dell’atto di citazione, tuttavia,
l’esistenza di quelle opere non era di per se, o da se sola, sufficiente a

3.= Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano un error in iudicando
con omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione per non aver valutato
la prova testimoniale del sig. Milito. Avrebbe errato la Corte palermitana,
secondo il ricorrente, nell’aver ritenuto non rilevante la prova per teste per
l’accertamento delle opere, in quanto segno obiettivo ed in equivoco

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5.5

causa dei coniugi Coraci come dichiarato dalla stessa in udienza.
3.1.= Il motivo è inammissibile e erché •rivo dei caratteri dell’autosufficienza
atteso che il ricorrente non ha riportato, neppure in sintesi, la deposizione
testimoniale di cui lamenta l’omessa valutazione. Come è orientamento
costante di questa Corte, nel ricorso per cassazione, allorquando viene
denunciata l’omessa valutazione di un elemento di prova, nella specie di
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dimostrare la pretesa avvenuta usucapione.

,
alcune deposizioni testimoniali, è necessario, a pena d’inammissibilità, che il
motivo di impugnazione specifichi oltre che

i nomi dei testi e le relative

deposizioni pretermesse, indichi anche le ragioni del carattere decisivo di
esse, dato che, per il principio di autosufficienza del ricorso, il controllo deve

.

essere consentito alla corte di cassazione sulla base delle deduzioni contenute

In definitiva, il ricorso va rigettato. Non occorre provvedere al regolamento
delle spese considerato che i coniugi Ruffino Messina regolarmente intimati,
in questa fase, non hanno svolto alcuna attività giudiziale.
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La Corte rigetta.

Cosi deciso nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione della Corte

Suprema di cassazione il 12 dicembre 2012.
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nell’atto, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative.

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