Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4333 del 20/02/2020
Cassazione civile sez. I, 20/02/2020, (ud. 30/10/2019, dep. 20/02/2020), n.4333
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –
Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 601/2016 proposto da:
C.V., + ALTRI OMESSI; tutti elettivamente domiciliati in
Roma, Corso del Rinascimento n. 11, presso lo studio dell’avvocato
Pellegrino Giovanni, che li rappresenta e difende, giuste procure a
margine del ricorso;
– ricorrenti –
contro
Italfondiario S.p.a. (incorporante la Castello Gestione Crediti
S.r.l.), nella qualità di procuratore della Castello Finance
S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in Roma, Via Luigi Lilio n. 95, presso lo
studio dell’avvocato Carsillo Teodoro, che la rappresenta e difende,
giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 838/2014 della CORTE D’APPELLO di LECCE,
pubblicata il 27/11/2014;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
30/10/2019 dal Cons. Dott. FEDERICO GUIDO.
Fatto
FATTI DI CAUSA
C.V., + ALTRI OMESSI, impugnano, con quattro motivi, la sentenza non definitiva n. 518 del 2010 e quella definitiva n. 838 del 2014 della Corte d’Appello di Lecce le quali, in accoglimento dell’appello proposto da Italfondiario spa, avevano disatteso l’eccezione di estinzione della fideiussione prestata per il Consorzio CIS srl dagli odierni ricorrenti e li aveva condannati in solido al pagamento in favore di Italfondiario di 500.559,44 Euro oltre ad interessi.
Italfondiario resiste con controricorso.
In prossimità dell’odierna adunanza, i ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso denuncia violazione del D.L. n. 149 del 1993, art. 1, comma 1 bis, in relazione alla statuizione della Corte d’Appello che aveva ritenuto che l’effettivo accollo da parte dello Stato delle obbligazioni di garanzia e la conseguente liberazione dei garanti non fosse autonomamente ricollegabile alla L. n. 237 del 1993, ma derivasse da una complessa procedura, il cui esito era condizionato ad una serie di adempimenti e provvedimenti.
Il motivo è fondato.
La Corte d’appello, infatti, non si è conformata al principio affermato da Cass. n. 4014/2013, sostanzialmente confermato da Cass. n. 9670/2013 e 21713/2015, da ultimo ribadito da Cass. 9959/2017, secondo cui l’assunzione, da parte dello Stato, delle garanzie prestate dai soci di cooperative agricole in favore delle cooperative stesse, di cui sia stata previamente accertata l’insolvenza, prevista dal D.L. n. 149 del 1993, art. 1, comma 1-bis (conv., con modif., dalla L. n. 237 del 1993), ha determinato la liberazione dei garanti nei confronti dei terzi creditori, a nulla rilevando che tale effetto liberatorio fosse espressamente previsto soltanto nei decreti attuativi della suddetta legge (D.M. 2 febbraio 1994 e D.M. 2 gennaio 1995), giacchè esso era comunque desumibile, in via di interpretazione, dalla finalità della legge (Cass. 9959/2017). Dalla suddetta liberazione deriva che il creditore del socio garante non è più legittimato ad agire nei confronti di quest’ultimo, che ha perduto la qualità di debitore.
E’ stato pertanto precisato da questa Corte, confermando il principio già espresso dalle Sez. U. di questa Corte con la pronuncia n. 14346/2004, che l’estinzione delle garanzie fideiussorie a seguito dell’assunzione da parte dello Stato delle garanzie prestate dai soci di cooperative agricole in favore delle cooperative stesse, ai sensi della L. 19 luglio 1993, n. 237, art. 1, costituisce un vero e proprio diritto, che non può essere sottoposto a limitazioni. I decreti attuativi, dunque, non possono limitare o circoscrivere il diritto dei fideiussori e non assume rilevanza di per sè, laddove sussistano i presupposti previsti dalla norma, il mancato inserimento degli aventi diritto nell’apposito elenco redatto dall’Amministrazione (Cass. 9670/2013).
L’accoglimento del primo motivo assorbe l’esame dei motivi ulteriori, con i quali si deduce, la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione alla questione della validità delle fideiussioni e della loro estinzione ex art. 1955 c.c. (secondo motivo); la violazione dell’art. 2697 c.c. e art. 191 c.p.c., in relazione alla prova del debito posto a fondamento del decreto ingiuntivo opposto(terzo motivo), l’omesso esame di un fatto decisivo in ordine alle contestazioni sollevate sulla consulenza tecnica contabile (quarto motivo) e la violazione dell’art. 1284 c.c., in relazione al tasso convenzionale di interessi ritenuto applicabile(quinto motivo).
Entrambe le sentenze impugnate vanno dunque cassate e la causa va rinviata alla Corte d’Appello di Lecce, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del presente giudizio.
Si osserva infatti che la cassazione, anche se con rinvio, della sentenza non definitiva, che abbia pronunciato positivamente sull'”an debeatur”, comporta la caducazione della sentenza sul “quantum”, dipendendo quest’ultima totalmente dalla prima, che della sentenza definitiva costituisce il fondamento logico-giuridico (Cass. 21456/2019).
P.Q.M.
La Corte, accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri.
Cassa le sentenze impugnate e rinvia la causa, anche per la regolazione delle spese del presente giudizio, alla Corte d’Appello di Lecce, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 30 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2020