Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4332 del 24/02/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 4332 Anno 2014
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: FERNANDES GIULIO

SENTENZA

sul ricorso 22982-2009 proposto da:
SIRIO – SICUREZZA INDUSTRIALE S.C.P.A., già SIRIO CONSORZIO PER LA SICUREZZA INDUSTRIALE C.F.
05325740016, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA
CAVOUR 19, presso lo STUDIO dell’avvocato DE LUCA
2013
3430

TAMAJO RAFFAELE (STUDIO TOFFOLETTO-DE LUCA TAMAJO),
che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati
BONAMICO FRANCO e ROPOLO LUCA, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

Data pubblicazione: 24/02/2014

ZAPPAVIGNA ANTONIO ZPPNTN72C20L219Q, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA 195, presso lo
studio dell’avvocato VACIRCA SERGIO, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato NAPOLI
MARIAGRAZIA, giusta delega in atti;

avverso la sentenza n. 998/2008 della CORTE D’APPELLO
di TORINO, depositata il 15/10/2008 r.g.n. 320/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 27/11/2013 dal Consigliere Dott. GIULIO
FERNANDES;
udito l’Avvocato SALIMBENI MARIA TERESA per delega DE
LUCA TAMAJO RAFFAELE;
udito l’Avvocato VACIRCA SERGIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO CELENTANO, che ha concluso per:
in via principale inammissibile in subordine
infondatezza.

– controricorrente

FATTO
Con sentenza del 15 ottobre 2008, la Corte di Appello di Torino accoglieva
solo in parte il gravame proposto dalla Sino — Sicurezza Industriale s.c.p.a.
avverso la sentenza di prime cure che aveva accolto il ricorso proposto da
Zappavigna Antonio per il risarcimento del danno connesso
all’inadempimento della società per avere la stessa agito in violazione
dell’accordo stipulato in data 11.4.2000 tra il consorzio Sino e le

organizzazioni sindacali FIM- FIOM- UILM-FISMIC, non garantendo al
lavoratore un sostitutivo del pasto ogniqualvolta il servizio mensa non fosse
operativo, limitando l’ammontare del quantum dovuto a titolo di danno.
Rilevava la Corte del merito che la interpretazione data dal Tribunale
all’Accordo aziendale dell’11.4.2000, anche avuto riguardo alla premessa
dello stesso, era condivisibile perché fondata su una ermeneusi letterale
del chiaro disposto del testo contrattuale secondo cui, da una parte, il
Consorzio si era obbligato a favorire l’accesso dei propri dipendenti ai
servizi di ristorazione esistenti presso le società committenti e, dall’altra, si
era obbligato a fornire ai propri dipendenti, in tutti i casi di impossibilità di
accesso al servizio mensa, un sostitutivo del pasto, indipendentemente
dall’orario di lavoro osservato e senza eccezione di sorta. Infatti, nel testo
dell’accordo, l’impossibilità di accedere al servizio di ristorazione era del
tutto svincolata dall’esistenza o meno di una mensa aziendale nello
stabilimento presso il quale il sorvegliante prestava l’attività lavorativa ed, al
contrario, risultava per tabulas che l’impossibilità per il dipendente di fruire
di un servizio di ristorazione aziendale, per inesistenza della struttura o a
causa del mancato funzionamento della stessa in determinati giorni od
orari, era la condizione necessaria e sufficiente perché sorgesse, in capo al
dipendente, il diritto al sostitutivo del pasto. L’unica interpretazione era,
quindi, quella di riconoscere la sussistenza del diritto al sostitutivo del pasto
in natura o ad un controvalore in denaro e la esigenza avvertita dalle parti
sociali era soltanto quella di rendere omogenea la condizione dei
sorveglianti dipendenti del consorzio, i quali, provenendo da esperienze
lavorative presso le diverse società del gruppo FIAT, avevano trattamenti
diversi in relazione ad alcuni istituti, mentre era del tutto estranea alle parti
stipulanti l’asserito intento di omogeneizzare il trattamento dei dipendenti
SIRIO con quello dei dipendenti delle varie società del gruppo (Fiat Auto,
IVECO) presso i cui stabilimenti i dipendenti Sirio si trovassero di volta in
volta a svolgere il servizio di sorveglianza. Le previsioni dell’accordo
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risultavano, poi, confermate indirettamente dall’accordo aziendale del
27.11.2003, nel quale le convenzioni con i pubblici esercizi venivano
espressamente riconosciute come una idonea alternativa al concetto di
sostitutivo del pasto, senza alcun limite.
Per la cassazione di tale decisione propone ricorso la Sino affidato ad un
unico motivo illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c..
Resiste, con controricorso, lo Zappavigna.

DIRITTO
La società denunzia, ai sensi dell’ad. 360, n. 3, c.p.c., violazione e falsa
applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1371 c. c., riportando stralci
dell’accordo dell’al 1 aprile 2000 ed osservando che l’intendimento dello
stesso era quello di omogeneizzare le situazioni di fatto preesistenti nelle
società di provenienza del personale confluito nel consorzio. In particolare,
evidenzia che, a mente del criterio letterale di interpretazione, l’intento delle
parti era quello di favorire l’accesso ai servizi di ristorazione esistenti
presso le aziende ove veniva espletato il servizio anche dopo la cessione
del contratto, mantenendo ferme le condizioni preesistenti per i dipendenti
di provenienza delle società FIAT confluiti nella SIRIO.
Non è possibile, per la società, inferire che, qualora la situazione di fatto
preesistente non fosse stata tale da permettere al lavoratore di fruire del
servizio di ristorazione, le parti stipulanti avessero inteso comunque
assicurare ai lavoratori, una volta dipendenti SIRIO, una situazione di fatto
migliorativa rispetto a quella preesistente, e, pertanto, avevano errato i
giudici torinesi nel ritenere che la comune intenzione delle parti fosse stata
quella di istituire un vantaggio prima inesistente, quand’anche nella
situazione preesistente il lavoratore non fruisse del servizio di ristorazione
aziendale perché, in ipotesi, inesistente.
Sostiene la ricorrente che la lettura data della clausola riguardante la
mensa era disgiunta dalla premessa, nonché dai periodi in cui quest’ultima
si articolava e che, al contrario, l’intendimento delle parti dell’accordo era
quello di far sì che i sorveglianti Sino fossero considerati alla stregua dei
dipendenti delle società operanti nei siti ove veniva reso il servizio
garantendo loro il medesimo trattamento riservato ai sorveglianti prima di
divenire, per effetto dell’esternalizzazione, dipendenti Sirio, nella logica di
assicurare un trattamento omogeneo rispetto a quello che i sorveglianti
stessi avrebbero avuto nelle imprese di origine laddove avessero
continuato ad operare per le rispettive società di provenienza.

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Argomenta la Sirio che non è, invece, possibile leggere in tale seconda
locuzione l’impegno della società ad assicurare, sempre e comunque, ai
propri sorveglianti, in qualsivoglia realtà presso cui fossero eventualmente
chiamati a prestare servizio ed in qualsiasi turno, il servizio mensa, ovvero
il sostitutivo del pasto, in quanto, peraltro, tale particolare forma di
trattamento non era mai stata prevista in nessuna società di provenienza
dei sorveglianti poi divenuti Sino e non poteva, pertanto, costituire un
minimo comune denominatore da “omogeneizzare”, comportando

un’innovazione, ossia la costituzione di un diritto prima inesistente.
L’accordo, quindi, doveva essere letto nel suo significato complessivo,
considerando il comportamento dell’azienda anche successivamente
all’aprile 2000 ed, in particolare, il richiamo, quale clausola di salvaguardia,
alle situazioni in atto presso il gruppo FIAT, che non contemplavano la
sussistenza generalizzata di consimili obblighi. L’intento era quello
dichiarato in premessa, ossia l’omogeneizzazione di situazioni preesistenti
alla luce della natura consortile della Sino, ma non la negoziazione di
benefici e privilegi aggiuntivi, ulteriori e diversi rispetto alle situazioni in atto
nel gruppo Fiat e riconosciute di spettanza ai dipendenti. Anche il
comportamento successivo delle parti era stato conforme a tale
interpretazione e proprio l’intesa del 27.11.2003, nel riferirsi alla estensione
delle convenzioni con i pubblici servizi quale valida alternativa al concetto
sostitutivo del pasto “così’ come in atto nel Gruppo Fiat con invarianza di
costi e senza oneri successivi”, confortava la tesi interpretativa esposta,
evidenziando che il paradigma di riferimento era la situazione esistente
nelle diverse realtà operative delle società del Gruppo Fiat, che
identificavano il limite minimo ed il tetto cui i sorveglianti Sino avevano
diritto di accedere e beneficiare sotto il profilo del diritto al servizio mensa.
La situazione non può, in conclusione – secondo la ricorrente – essere
peggiore rispetto a quella degli altri dipendenti Fiat che operavano in quei
siti, ma neppure migliore, il che si deduce anche dal riferimento alla
previsione della invarianza dei costi con riferimento alla possibilità di
convenzioni con i pubblici servizi.
Il mezzo si conclude con la formulazione del quesito di diritto.
Il motivo è inammissibile.
È stato più volte affermato in giurisprudenza che, in materia di
contrattazione collettiva, la comune volontà delle parti contrattuali non
sempre è agevolmente ricostruibile attraverso il mero riferimento al senso
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letterale delle parole, atteso che la natura di detta contrattazione, sovente
articolata su diversi livelli (nazionale, provinciale, aziendale ecc.), la vastità
e la complessità della materia trattata in ragione della interdipendenza dei
molteplici profili della posizione lavorativa (che spesso consigliano alle parti
sociali il ricorso a strumenti sconosciuti alle negoziazione tra le parti
private, come preamboli, note a verbale, ecc), il particolare linguaggio
usato nel settore delle relazioni industriali non necessariamente coincidente
con quello comune e, da ultimo, il carattere vincolante che non di rado

assumono nell’azienda l’uso e la prassi, costituiscono elementi tutti che
rendono indispensabile una utilizzazione dei generali criteri ermeneutici,
che di detta specificità tenga conto, con conseguente assegnazione di un
preminente rilievo al canone interpretativo dell’ad. 1363 c.c. ( Cass. 6 luglio
2006 n. 15393, che richiama Cass. 6 maggio 1998 n. 4592, e, ex plurimis,
Cass. 21.3.2006, n. 6462, Cass. 9 maggio 2002 n. 6656, Cass. 9 agosto
2000 n. 10500).
Peraltro, va ribadito quanto in modo del tutto condivisibile evidenziato
successivamente da questa Corte in relazione alla interpretazione
dell’accordo aziendale, riservata al giudice di merito in ragione della sua
efficacia limitata, diversa da quella propria degli accordi collettivi nazionali
oggetto di esegesi diretta da parte di questa Corte ai sensi dell’ad. 360
c.p.c., n. 3, come modificato dal d.Lgs. n. 40 del 2006 (cfr. Cass. 4 febbraio
2010 n. 2625, cui sono conformi Cass. 8 febbraio 2010 n. 2742 e Cass. 15
febbraio 2010 n. 3459). Proprio in ragione di quanto sancito da tale
orientamento giurisprudenziale, osserva il Collegio che le osservazioni
critiche svolte in ricorso sono indirizzate, sostanzialmente, a sostenere un
diverso risultato interpretativo dell’accordo predetto, considerato preferibile
a quello accolto nella sentenza censurata. Una censura siffatta e’, quindi,
inammissibile alla stregua della funzione del giudizio di legittimita’, limitata,
per accordi del tipo in esame, al controllo della motivazione e alla verifica
dell’impiego corretto dei canoni ermeneutici secondo le censure proposte
dal ricorrente (v. Cass. 2625/2010 cit.).
D’altra parte, la prospettazione di una diversa ricostruzione storica della
clausola e dei suoi intenti finalizzati alla “omogeneizzazione” dei trattamenti
contrattuali dei lavoratori, non potrebbe comportare – alla luce delle
considerazioni sopra premesse – un diretto esame del diverso risultato
interpretativo da contrapporre a quello raggiunto dal giudice di merito con
riguardo alla natura e alla funzione del negozio.
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Nel caso di specie la impugnata sentenza, con una interpretazione logicosistematica rispettosa della menzionata regola dell’art. 1363 c.c., ha
evidenziato come l’unica interpretazione desumibile dagli accordi di
contrattazione collettiva aziendale era quella di riconoscere la sussistenza
del diritto del lavoratore a vedersi corrispondere, per il servizio prestato nei
siti o nelle fasce orarie in cui non era assicurato il servizio mensa, un
sostitutivo del pasto in natura o un controvalore in denaro.

innegabile che l’accordo dell’i 1/4/2000 era stato stipulato in considerazione
di un’esigenza di “omogeneizzazione” del trattamento contrattuale dei
lavoratori, era, altresì, evidente che “l’unica reale esigenza, avvertita dalla
parti collettive, era quella di rendere omogenea la condizione dei
sorveglianti dipendenti del Consorzio Sirio, i quali, provenendo da
esperienze lavorative presso le diverse società del gruppo FIAT avevano
trattamenti diversi in relazione ad alcuni istituti, mentre era del tutto
estranea alle parti stipulanti — oltreché a qualsiasi logica — l’asserita
necessità di omogeneizzare il trattamento dei dipendenti Sino con il
trattamento dei dipendenti delle varie società del gruppo presso i cui
stabilimenti i dipendenti Sirio si fossero trovati di volta in volta a svolgere il
servizio di sorveglianza”
La validità della tesi interpretativa viene desunta anche dal
comportamento complessivo delle parti successivo alla stipulazione del
contratto, in conformità al criterio interpretativo previsto dall’art. 1362,
seconda parte c.c., essendo stato evidenziato come nell’accordo aziendale
Sirio — R.S.U. del 27.11.2003, le convenzioni con i pubblici esercizi erano
state espressamente riconosciute come una idonea alternativa al concetto
di sostitutivo del pasto, con ciò ribadendosi la necessità di garantire ai

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dipendenti Sino il pasto presso le mense aziendali ovvero un sostitutivo del
pasto, sostitutivo che può anche consistere o nelle convenzioni stipulate
con i pubblici esercizio o in altre forme.
In conclusione, una lettura non formalistica ma contenutistica dell’accordo
aziendale non può che confortare l’assunto del giudice d’appello, che ha
escluso – con argomentazioni ineccepibili sul versante logico-giuridico – che
possa sostenersi che le parti sindacali abbiano voluto garantire il
mantenimento della situazione preesistente (possibilità di accesso o meno
del lavoratore, prima di divenire dipendente del Consorzio Sino, al servizio

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Seguendo tale solco interpretativo la stessa Corte ha aggiunto che se era

di ristorazione) anche successivamente al passaggio di titolarità del
rapporto di lavoro in capo alla società ricorrente.
Nè appare condivisibile quanto sostenuto dalla ricorrente in merito
all’asserito carattere innovativo od aggiuntivo del dato rappresentato dalla
clausola che contemplava “il sostitutivo del pasto” in luogo del servizio di
ristorazione, posto che la stessa norma aziendale richiamata lo prevedeva
espressamente, per cui ancora una volta si ha la conferma che si è in

dalla difesa della società rispetto a quella svolta dai giudici d’appello nel
rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, sia logico-sistematica
che letterale.
Il ricorso deve essere dichiarato, per le esposte considerazioni,
inammissibile.
La complessità delle questioni, che attengono all’ interpretazione di
clausole di accordo aziendale, giustifica l’integrale compensazione tra le
parti delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, compensa tra le parti le spese
del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 27 novembre 2013.

presenza di una mera contrapposizione valutativa dell’accordo operata

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