Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4327 del 24/02/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 4327 Anno 2014
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: BERRINO UMBERTO

SENTENZA

sul ricorso 2371-2010 proposto da:
SIRIO – SICUREZZA INDUSTRIALE S.C.P.A., già SIRIO CONSORZIO PER LA SICUREZZA INDUSTRIALE C.F.
05325740016, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA
CAVOUR 19, presso lo STUDIO dell’avvocato DE LUCA
2013
3417

TAMAJO RAFFAELE (STUDIO TOFFOLETTO-DE LUCA TAMAJO),
che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati
BONAMICO FRANCO e ROPOLO LUCA, giusta delega in atti;

I.

– ricorrente contro

Data pubblicazione: 24/02/2014

PUGGIONI MASSIMO C.F. PGGMSM69T19L219C, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA 195, presso lo
studio dell’avvocato VACIRCA SERGIO, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato BONETTO
SERGIO, giusta delega in atti;

avverso la sentenza n. 14/2009 della CORTE D’APPELLO
di TORINO, depositata il 19/01/2009 r.g.n. 686/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 27/11/2013 dal Consigliere Dott. UMBERTO
BERRINO;
udito l’Avvocato SALIMBENI MARIA TERESA per delega DE
LUCA TAMAJO RAFFAELE;
udito l’Avvocato VACIRCA SERGIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO CELENTANO, che ha concluso per
in via principale inammissibilità in subordine
rigetto.

– controricorrente

Svolgimento del processo
Con sentenza del 14/1 — 19/1/2009, la Corte di Appello di Torino accolse il
gravame proposto da Puggioni Massimo avverso la sentenza del giudice del
lavoro del Tribunale dello stesso capoluogo che gli aveva respinto la domanda

risarcimento del danno connesso all’inadempimento di quest’ultima, consistente
nell’avere la stessa agito in violazione dell’accordo stipulato in data 11.4.2000 con
le organizzazioni sindacali FIM- FIOM- UILM-FISMIC, non garantendo al
lavoratore il diritto ad usufruire del servizio mensa alle stesse condizioni
normalmente osservate da parte della società nei confronti dei dipendenti
impiegati presso stabilimenti diversi rispetto a quelli di sua assegnazione.
Il Puggioni aveva, in effetti, chiesto la condanna della Sirio al risarcimento per gli
esborsi sostenuti per la consumazione del pasto dalli 1/4/2000 al 31/12/2006.
La Corte territoriale condannò la predetta società al pagamento in favore del
l’appellante della somma di € 3900,75, oltre agli accessori di legge ed alle spese
del doppio grado di giudizio.
La Corte osservò che la tesi della società — ossia il mantenimento, in favore dei
lavoratori passati alle dipendenze del Consorzio, delle condizioni già in atto presso
le varie società del gruppo FIAT — avrebbe creato conseguenze paradossali, non
potendo essere l’accordo applicabile ai sorveglianti assunti direttamente dal
Consorzio, senza che i medesimi fossero mai transitati presso altre società del
gruppo. Inoltre, poteva verificarsi per i sorveglianti, ai quali era già garantito per
effetto della contrattazione di secondo livello il diritto in questione, una modifica in
pejus delle condizioni contrattuali in atto fino all’11.4.2000, con conseguente

perdita dei diritti già entrati nel loro patrimonio, per cui la sola finalità di
omogeneizzare la loro condizione con quella degli altri colleghi avrebbe
determinato, al contrario, una situazione di evidente disparità di trattamento tra gli
stessi.

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p)

diretta alla condanna della società SIRIO — Sicurezza Industriale S.c.p.A. al

Rilevò, altresì, la Corte che il testo dell’accordo era da interpretare nel senso che,
da una parte, il Consorzio si era obbligato a favorire l’accesso dei propri
dipendenti ai servizi di ristorazione esistenti presso le società committenti e,
dall’altra, si era obbligato a fornire ai propri dipendenti, in tutti i casi di impossibilità

dall’orario di lavoro osservato e senza eccezione di sorta. Infatti, nel testo
dell’accordo, l’impossibilità di accedere al servizio di ristorazione era del tutto
svincolata dall’esistenza o meno di una mensa aziendale nello stabilimento presso
il quale il sorvegliante prestava l’attività lavorativa e, al contrario, risultava per
tabulas che l’impossibilità per il dipendente di fruire di un servizio di ristorazione
aziendale, per inesistenza della struttura o a causa del mancato funzionamento
della stessa in determinati giorni od orari, era la condizione necessaria e
sufficiente perché sorgesse, in capo al dipendente, il diritto al sostitutivo del pasto.
L’unica interpretazione era, quindi, quella di riconoscere la sussistenza del diritto
al sostitutivo del pasto in natura o ad un controvalore in denaro.
Per la cassazione di tale decisione ricorre la Sino con un solo motivo, illustrato con
memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Resiste, con controricorso, il Puggioni.
Motivi della decisione
Con un solo motivo, la società denunzia, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., la
violazione e falsa applicazione degli arti. 1362, 1363, 1366 e 1371 cod. civ.,
riportando il testo integrale dell’accordo dell’I 1 aprile 2000 ed osservando che
l’intendimento delle parti contraenti era quello di omogeneizzare le situazioni di
fatto preesistenti nelle società di provenienza del personale confluito nel
consorzio. In particolare, la stessa evidenzia che, a mente del criterio letterale di
interpretazione, l’intento delle parti era quello di favorire l’accesso ai servizi di
ristorazione esistenti presso le aziende ove veniva espletato il servizio anche dopo

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di accesso al servizio mensa, un sostitutivo del pasto, indipendentemente

la cessione del contratto, mantenendo ferme le condizioni preesistenti per i
dipendenti di provenienza delle società FIAT confluiti nella SIRIO.
Precisa la società che non è sostenibile la tesi per la quale, nel caso di
impossibilità dei lavoratori di fruire del servizio di ristorazione, debba, comunque,

situazione di fatto migliorativa rispetto a quella preesistente, e, pertanto, avrebbero
errato i giudici torinesi nel ritenere che la comune intenzione delle parti fosse
quella di istituire un vantaggio prima inesistente, quand’anche nella situazione
preesistente il lavoratore non fruisse del servizio di ristorazione aziendale perché,
in ipotesi, inesistente.
Sostiene la ricorrente che la lettura data della clausola riguardante la mensa era
disgiunta dalla premessa, nonché dai periodi in cui quest’ultima si articola e che, al
contrario, l’intendimento delle parti dell’accordo era quello di far sì che i
sorveglianti Sirio fossero considerati alla stregua dei dipendenti delle società
operanti nei siti ove veniva reso il servizio, e cioè il medesimo trattamento
riservato ai sorveglianti prima di divenire, per effetto dell’esternalizzazione,
dipendenti Sirio, il tutto nella logica di assicurare un trattamento omogeneo
rispetto a quello che i sorveglianti stessi avevano nelle imprese di origine, laddove
avessero continuato ad operare per le rispettive società di provenienza.
Aggiunge la ricorrente che non è, invece, possibile leggere in tale seconda
locuzione l’impegno della società ad assicurare sempre e comunque ai propri
sorveglianti, in qualsivoglia realtà presso cui fossero eventualmente chiamati a
prestare servizio ed in qualsiasi turno, il servizio mensa, ovvero il sostitutivo del
pasto, in quanto tale particolare forma di trattamento non era mai stata prevista in
nessuna società di provenienza dei sorveglianti poi divenuti Sirio e non poteva,
pertanto, costituire un minimo comune denominatore da “omogeneizzare”,
comportando un’innovazione, ossia la costituzione di un diritto prima inesistente.
L’accordo doveva essere letto nel suo significato complessivo, considerando il

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essere assicurata ai medesimi, una volta passati alle dipendenze della SIRIO, una

comportamento dell’azienda anche successivamente all’aprile 2000 ed, in
particolare, il richiamo, quale clausola di salvaguardia, alle situazioni in atto presso
il gruppo FIAT, che non contemplano la sussistenza generalizzata di consimili
obblighi. L’intento era quello dichiarato in premessa, ossia l’omogeneizzazione di

negoziazione di benefici e privilegi aggiuntivi, ulteriori e diversi rispetto alle
situazioni in atto nel gruppo Fiat e riconosciute di spettanza ai dipendenti. Anche
il comportamento successivo delle parti era stato conforme a tale interpretazione e
proprio l’intesa del 27.11.2003, nel riferirsi alla estensione delle convenzioni con i
pubblici servizi, quale valida alternativa al concetto sostitutivo del pasto “così’
come in atto nel Gruppo Fiat con invarianza di costi e senza oneri successivi”,
confortava la tesi interpretativa esposta, evidenziando che il paradigma di
riferimento era la situazione esistente nelle diverse realtà operative delle società
del Gruppo Fiat, che identificano il limite minimo ed il tetto cui i sorveglianti Sirio
hanno diritto di accedere e beneficiare sotto il profilo del diritto al servizio mensa.
La situazione non può, in conclusione – secondo la ricorrente – essere peggiore
rispetto a quella degli altri dipendenti Fiat che operano in quei siti, ma neppure
migliore, il che si deduce anche dal riferimento alla previsione della invarianza dei
costi con riguardo alla possibilità di convenzioni con i pubblici servizi.
Il ricorso è inammissibile.
È stato più volte affermato in giurisprudenza che, in materia di contrattazione
collettiva, la comune volontà delle parti contraenti non sempre è agevolmente
ricostruibile attraverso il mero riferimento al senso letterale delle parole, atteso che
la natura di detta contrattazione, sovente articolata su diversi livelli (nazionale,
provinciale, aziendale ecc.), la vastità e la complessità della materia trattata in
ragione della interdipendenza dei molteplici profili della posizione lavorativa (che
spesso consigliano alle parti sociali il ricorso a strumenti sconosciuti alle
negoziazione tra le parti private, come preamboli, note a verbale, ecc), il

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fiv?

situazioni preesistenti alla luce della natura consortile della Sirio, ma non la

particolare linguaggio usato nel settore delle relazioni industriali non
necessariamente coincidente con quello comune e, da ultimo, il carattere
vincolante che non di rado assumono nell’azienda l’uso e la prassi, costituiscono
elementi tutti che rendono indispensabile nella materia della contrattazione

tenga conto, con conseguente assegnazione di un preminente rilievo al canone
interpretativo dell’art. 1363 c.c. (così Cass. Sez. lav. n. 6264 del 21 marzo 2006;
Cass. 6 luglio 2006 n. 15393, che richiama Cass. 6 maggio 1998 n. 4592, ed, ex
plurimis, Cass. 9 maggio 2002 n. 6656; Cass. 9 agosto 2000 n. 10500).
Peraltro, va ribadito quanto in modo del tutto condivisibile è stato evidenziato
successivamente da questa Corte, cioè che l’interpretazione dell’accordo
aziendale è riservata al giudice di merito in ragione della sua efficacia limitata,
diversa da quella propria degli accordi collettivi nazionali oggetto di esegesi diretta
in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, come modificato dal D.Lgs. n.
40 del 2006 (cfr. Cass. 4 febbraio 2010 n. 2625, cui sono conformi Cass. 8
febbraio 2010 n. 2742 e Cass. 15 febbraio 2010 n. 3459).
Proprio in ragione di quanto sancito da tale orientamento giurisprudenziale, si
rileva che le osservazioni critiche svolte in ricorso sono indirizzate, in concreto, a
sostenere un diverso risultato interpretativo dell’accordo predetto, considerato
preferibile a quello accolto nella sentenza censurata.
Una censura siffatta e’, quindi, inammissibile alla stregua della funzione del
giudizio di legittimita’, limitata, per accordi del tipo in esame, al controllo della
motivazione e alla verifica dell’impiego corretto dei canoni ermeneutici secondo le
censure proposte dal ricorrente (v. Cass. 2625/2010 cit.).
D’altra parte, la prospettazione di una diversa ricostruzione storica della clausola e
dei suoi intenti finalizzati alla “omogeneizzazione” dei trattamenti contrattuali dei
lavoratori, non potrebbe comportare – alla luce delle considerazioni sopra
premesse – un diretto esame del diverso risultato interpretativo da contrapporre a

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h

collettiva una utilizzazione dei generali criteri ermeneutici, che di detta specificità

quello raggiunto dal giudice di merito con riguardo alla natura e alla funzione del
negozio.
Nel caso di specie nella impugnata sentenza, con una interpretazione logicosistematica rispettosa della menzionata regola dell’art. 1363 c.c., si è evidenziato

aziendale era quella di riconoscere la sussistenza del diritto del lavoratore a
vedersi corrispondere, per il servizio prestato nei siti o nelle fasce orarie in cui non
era assicurato il servizio mensa, un sostitutivo del pasto in natura o un
controvalore in denaro.
Seguendo tale solco interpretativo la stessa Corte territoriale ha aggiunto che se
era innegabile che l’accordo dell’i 1/4/2000 era stato stipulato in considerazione di
un’esigenza di “omogeneizzazione” del trattamento contrattuale dei lavoratori, era,
altresì, evidente che “l’unica reale esigenza, avvertita dalla parti collettive, era
quella di rendere omogenea la condizione dei sorveglianti dipendenti del
Consorzio Sirio, i quali, provenendo da esperienze lavorative presso le diverse
società del gruppo FIAT avevano trattamenti diversi in relazione ad alcuni istituti,
mentre era del tutto estranea alle parti stipulanti — oltreché a qualsiasi logica —
l’asserita necessità di omogeneizzare il trattamento dei dipendenti Sirio con il
trattamento dei dipendenti delle varie società del gruppo presso i cui stabilimenti i
dipendenti Sirio si fossero trovati di volta in volta a svolgere il servizio di
sorveglianza”.
La validità della tesi interpretativa viene desunta anche dal comportamento
complessivo delle parti successivo alla stipulazione del contratto, in conformità al
criterio interpretativo previsto dall’art. 1362, seconda parte cod. civ. Invero, è stato
evidenziato che nell’accordo aziendale Sirio — R.S.U. del 27.11.2003 le
convenzioni con i pubblici esercizi venivano espressamente riconosciute come
una idonea alternativa al concetto di sostitutivo del pasto, con ciò ribadendosi la
necessità di garantire ai dipendenti Sirio il pasto presso le mense aziendali ovvero

come l’unica interpretazione desumibile dagli accordi di contrattazione collettiva

un sostitutivo del pasto, senza alcun limite, né temporale (con riferimento ai turni
di lavoro), né geografico (con riferimento ai siti aziendali). In effetti, tale sostitutivo
poteva anche consistere nelle convenzioni stipulate con i pubblici esercizi o in
altre forme, non rilevando, a tal fine, la circostanza che il Consorzio Sirio mettesse

pasto che agli stessi, peraltro, non veniva affatto fornito dall’azienda.
Nè appare condivisibile quanto sostenuto dalla ricorrente in merito all’asserito
carattere innovativo od aggiuntivo del dato rappresentato dalla clausola che
contemplava ” il sostitutivo del pasto” in luogo del servizio di ristorazione, atteso
che la stessa norma aziendale richiamata lo prevedeva espressamente, per cui
ancora una volta si ha la conferma che si è in presenza di una mera
contrapposizione valutativa dell’accordo operata dalla difesa della società rispetto
all’interpretazione svolta dai giudici d’appello nel rispetto dei canoni legali di
ermeneutica contrattuale, sia logico-sistematica che letterale.
In conclusione, una lettura non formalistica ma contenutistica dell’accordo
aziendale non può che confortare l’assunto del giudice d’appello, che ha escluso con argomentazioni ineccepibili sul versante logico-giuridico – che possa
sostenersi che le parti sindacali abbiano voluto garantire il mantenimento della
situazione preesistente (possibilità di accesso o meno del lavoratore, prima di
divenire dipendente del Consorzio Sirio, al servizio di ristorazione) anche
successivamente al passaggio di titolarità del rapporto di lavoro in capo alla
società ricorrente.
Il ricorso deve essere dichiarato, per le esposte considerazioni, inammissibile.
La complessità delle questioni, che attengono all’ interpretazione di clausole di
accordo aziendale, giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del
presente giudizio.
P.Q.M.

/A’7

a disposizione dei propri dipendenti un locale attrezzato per la consumazione di un

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Compensa tra le parti le spese del
presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 27.11.2013

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