Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4326 del 23/02/2010

Cassazione civile sez. III, 23/02/2010, (ud. 09/12/2009, dep. 23/02/2010), n.4326

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VARRONE Michele – Presidente –

Dott. FEDERICO Giovanni – Consigliere –

Dott. CALABRESE Donato – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 19460/2005 proposto da:

PUBLIONDA SRL (OMISSIS) in persona del Presidente del Consiglio

di Amministrazione Signora A.N.M. e

dell’Amministratore Delegato Sig. S.A., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA F. CONFALONIERI 5, presso lo studio 2009

dell’avvocato MANZI Andrea, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato LARUFFA FRANCESCO giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI MILANO;

– intimato –

sul ricorso 24884/2005 proposto da:

COMUNE DI MILANO (OMISSIS) in persona del Sindaco pro tempore Dr.

A.G., considerato domiciliato “ex lege” in ROMA,

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dagli avvocati SURANO MARIA RITA, FRASCHINI ANTONELLA,

RAFFAELE RIZZO giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

PUBLIONDA SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1064/2005 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

Sezione Seconda Civile, emessa il 9/3/2005, depositata il 21/04/2005,

R.G.N. 1402/2002;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

09/12/2009 dal Consigliere Dott. ROBERTA VIVALDI;

udito l’Avvocato ANDREA MANZI;

udito l’Avvocato FRANCESCO LARUFFA;

udito il P.M., in persona dell’Avvocato Generale Dott. IANNELLI

Domenico, che ha concluso previa riunione il rigetto del ricorso

principale e l’assorbimento del ricorso incidentale.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La società Publionda srl conveniva, davanti al tribunale di Milano, il Comune di Milano chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti a seguito del diniego di autorizzazione ad affissione pubblicitaria, consistente in un cartellone pubblicitario del marchio Coca Cola su di un palazzo sito in (OMISSIS), e, più precisamente, sul lato prospiciente la (OMISSIS).

Assumeva che il diniego era stato annullato dal Tar Lombardia per illegittimità con sentenza passata in giudicato.

Esponeva, inoltre, che i danni consistevano, sia in danni emergenti per le spese sostenute in conseguenza della conclusione di un contratto con la Coca Cola, poi risolto per i fatti di causa, sia nel lucro cessante derivatole dal mancato guadagno.

Si costituiva il convenuto che contestava la fondatezza della domanda.

Con sentenza del 6.12.2001, il tribunale condannava il Comune di Milano al risarcimento dei danni come quantificati in sentenza.

A diversa conclusione perveniva la Corte di Appello che, in accoglimento dell’impugnazione proposta dal Comune di Milano, con sentenza del 21.4.2005, rigettava la domanda proposta da Publionda srl.

Quest’ultima ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi.

Resiste con controricorso il Comune di Milano che ha anche proposto ricorso incidentale condizionato affidato ad un motivo.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente i ricorsi – principale ed incidentale condizionato – vanno riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

Ricorso principale.

Con il primo motivo il ricorrente principale denuncia la omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti o rilevatile d’ufficio;

violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2043 c.c.; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c.; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c.; violazione e/o falsa applicazione dell’ art. 2697 c.c.; violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto.

Con il secondo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. e dell’art. 345 c.p.c., in relazione all’evento dannoso.

Con il terzo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. e dell’art. 345 c.p.c. in relazione all’ingiustizia del danno.

Con il quarto motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2043 c.c., dell’art. 1221 c.c. e dell’art. 345 c.p.c. in relazione al nesso di causalità.

Con il quinto motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. e dell’art. 345 c.p.c.. Carenza di motivazione in relazione all’imputabilità dell’evento dannoso a responsabilità del Comune di Milano (dolo o colpa).

Con il sesto motivo denuncia la omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione; violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, in relazione all’appello incidentale proposto, in ordine alla quantificazione del danno con riferimento alla danno all’immagine ed alla liquidazione delle spese legali.

I motivi, per l’evidente connessione delle censure con gli stessi proposte, possono essere esaminati congiuntamente.

Essi non sono fondati.

Deve, in primo luogo, rilevarsi che oggetto della impugnazione in questa sede è la sentenza emessa dalla Corte d’Appello; ne consegue che i molteplici riferimenti alla sentenza di primo grado contenuti negli scritti difensivi si presentano del tutto ininfluenti.

II punto focale della questione posta all’attenzione di questa Corte di legittimità è se l’interesse pretensivo vantato dalla Publionda era tale da determinare un oggettivo affidamento alla concessione del richiesto provvedimento.

Per rispondere al quesito è necessario ribadire alcuni fondamentali principii in materia.

La normativa sulla responsabilità aquiliana ex art. 2043 cod. civ. ha la funzione di consentire il risarcimento del danno ingiusto.

S’intende come tale il danno arrecato non iure, il danno, cioè, provocato in assenza di una causa giustificativa, che si risolve nella lesione di un interesse rilevante per l’ordinamento, a prescindere dalla sua qualificazione formale, ed, in particolare, senza che assuma rilievo la qualificazione dello stesso in termini di diritto soggettivo.

Peraltro, per il carattere atipico del fatto illecito delineato dall’art. 2043 c.c., non è possibile individuare, in via preventiva, gli interessi meritevoli di tutela: spetta, pertanto, al giudice, attraverso un giudizio dì comparazione tra gli interessi in conflitto, accertare se, e con quale intensità, l’ordinamento appresta tutela risarcitoria all’interesse del danneggiato, ovvero comunque lo prende in considerazione sotto altri profili, manifestando, in tal modo, una esigenza dì protezione.

La tutela risarcitoria del privato, quindi, dipende – ed è garantita – dall’ingiustizia del danno conseguente alla lesione di interessi giuridicamente riconosciuti.

In tema di interessi legittimi, poi, la tecnica di accertamento della lesione varia a seconda della natura dell’interesse legittimo; vale a dire se l’interesse è oppositivo, occorre accertare che l’illegittima attività dell’Amministrazione abbia leso l’interesse alla conservazione di un bene o dì una situazione di vantaggio;

mentre, se l’interesse è pretensivo, concretandosi la sua lesione nel diniego o nella ritardata assunzione di un provvedimento amministrativo, occorre valutare a mezzo di un giudizio prognostico, da condurre in base alla normativa applicabile, la fondatezza o meno della richiesta di parte, al fine di stabilire se la medesima fosse titolare di una mera aspettativa, come tale non tutelabile, o di una situazione che, secondo un criterio di normalità, era destinata ad un esito favorevole (v. fra le varie Cass. 8.2.2007 n. 2771; da ultimo Cass. 30.1.2009 n. 2529).

Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con la sentenza 22 luglio 1999, n. 500 – alla quale esplicitamente si ispira la sentenza impugnata – hanno dettato al giudice del merito il percorso da seguire per accertare la fondatezza di una domanda risarcitoria proposta ex art. 2043 c.c., nei confronti della P.A. per illegittimo esercizio di una funzione pubblica.

In particolare, egli deve procedere, in ordine successivo, alle seguenti indagini: a) in primo luogo, deve accertare la sussistenza di un evento dannoso; b) deve, poi, stabilire se l’accertato danno sia qualificabile come ingiusto, in relazione alla sua incidenza su di un interesse rilevante per l’ordinamento (a prescindere, come, si è detto, dalla qualificazione formale di esso come diritto soggettivo); c) deve, inoltre, accertare, sotto il profilo causale, facendo applicazione dei criteri generali, se l’evento dannoso sia riferibile ad una condotta della P.A.; d) deve accertare, infine, se detto evento dannoso sia imputabile a responsabilità della P.A. Imputazione, questa, che non può avvenire sulla base del mero dato obiettivo della illegittimità del provvedimento amministrativo, essendo necessaria, invece, una più penetrante indagine in ordine alla valutazione della colpa, che, unitamente al dolo, costituisce requisito essenziale della responsabilità aquiliana (v. anche Cass. 27.5.2009 n. 12282).

La sussistenza di tale elemento sarà riferita non al funzionario agente, ma alla P.A. come apparato, e sarà configurabile qualora l’atto amministrativo sia stato adottato ed eseguito in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione alle quali deve ispirarsi l’esercizio della funzione amministrativa, e che il giudice ordinario ha il potere di valutare, in quanto limiti esterni alla discrezionalità amministrativa.

La sentenza impugnata si pone in sintonia con i principii affermati.

Trattandosi di interesse pretensivo al conseguimento di un’autorizzazione amministrativa, la relativa lesione deve essere valutata a mezzo del giudizio prognostico circa la fondatezza o meno dell’istanza di parte, condotto in relazione alla normativa applicabile, così da pervenire all’accertamento che l’istanza stessa, nella normalità dei casi, sarebbe stata accolta.

La Corte di merito ha escluso un comportamento colposo o doloso del Comune di Milano per disparità di trattamento, ed un oggettivo affidamento, da parte dell’odierna ricorrente, al fine di ottenere l’autorizzazione alla installazione dell’impianto pubblicitario in (OMISSIS); al che consegue, ovviamente, l’insussistenza dell’elemento della ingistizia dell’eventuale danno subito.

Ha, a tal fine, ritenuto che le autorizzazioni concesse in precedenza attenevano alla installazione di nuove insegne, allineate alle altre già esistenti, su di uno stabile in cattivo stato di manutenzione, rilasciate temporaneamente, fino alla sistemazione definitiva della piazza.

Ha, quindi, rilevato che la situazione dei due immobili era diversa, posto che lo stabile in oggetto, sebbene non vincolato, era stato completamente ristrutturato e l’affissione di cartelli pubblicitari non era in linea con l’avvenuta ristrutturazione.

Ha anche aggiunto – ed il rilievo non è di poco conto – che “quand’anche si potessero ritenere sussistenti all’epoca della proposizione della domanda, elementi tali da giustificare un oggettivo affidamento alla concessione del provvedimento autorizzativo, occorre tener conto di altre circostanze che appaiono a questo Collegio particolarmente significative”; in particolare, la circostanza che la domanda della Publionda srl fu presentata il 29.4.1992 e protocollata il 4.5.1992; il parere negativo della Soprintendenza per i Beni Culturali ed Ambientali intervenne il 29.4.1992 e fu notificato il 5.6.1992, ed il contratto con la Coca Cola fu concluso il 30.7.1992, desumendo, dal coacervo di tali elementi, che “il rifiuto del nulla osta da parte della Soprintendenza avrebbe dovuto tuttavia sconsigliare la società Publionda dal procedere alla conclusione di un contratto così impegnativo con la Coca Cola, tenuto conto anche della pattuizione, prevista in detto contratto, riguardante la sua risoluzione ipso iure nel caso in cui “si dovessero verificare situazioni di fatto e di diritto, di diniego o di revoca delle autorizzazioni…. che rendano oggettivamente impossibile l’esecuzione o la permanenza dell’impianto pubblicitario”, concludendo che “la condotta incauta della Publionda srl che non ha adeguatamente valutato la situazione intervenuta successivamente alla sua istanza e non ha dì conseguenza agito con la dovuta prudenza, comporta che i danni lamentati dalla stessa non possono ritenersi conseguenti al provvedimento di diniego da parte della Pubblica Amministrazione, non essendo più prospettabile una situazione caratterizzata dalla aspettativa qualificata, cioè tale da determinare un oggettivo affidamento alla concessione del provvedimento”.

Gli elementi di fatto presi in considerazione dalla Corte di merito, sono, quindi i seguenti: a) l’obiettiva diversità dei due stabili (l’uno, sebbene non vincolato, totalmente ristrutturato, l’altro in cattivo stato di manutenzione); b) i tempi di proposizione della domanda di autorizzazione ed il successivo iter procedimentale; c) il parere negativo espresso dalla Soprintendenza per i Beni Culturali ed Ambientali, d) la data di conclusione del contratto fra Publionda srl e la Coca Cola e le pattuizioni contenute; e) il provvedimento di diniego da parte del Comune.

Risulta altresì – e la sentenza ne da atto – che, in sede di appello, è stata acquisita la documentazione relativa ai pareri espressi dalla Soprintendenza, con riferimento ad altre posizioni che sono state ritenute dall’odierna ricorrente comparabili con quella che ha dato luogo al presente giudizio.

Tale documentazione – la cui produzione si è palesata a quel momento necessaria, a seguito delle conclusioni adottate dal primo giudice ed è stata consentita perchè ritenuta indispensabile ai fini della decisione – non pare, poi, abbia costituito, elemento di rilievo della stessa decisione in questa sede impugnata; al che consegue l’ininfluenza dell’eccezione proposta dall’attuale ricorrente.

La Corte di merito ha fondato, infatti, il suo convincimento, precipuamente, sulla circostanza che, una volta intervenuto il parere negativo della sopraintendenza, questo avrebbe dovuto sconsigliare la successiva conclusione del contratto, non sussistendo più, a quel momento, una situazione caratterizzata dalla aspettativa qualificata, tale da comportare un oggettivo affidamento nel conseguimento del risultato richiesto.

In questa fase, pertanto, difettava – nè risulta essere stato dalla ricorrente diversamente provato – che la stessa potesse vantare una situazione soggettiva destinata, secondo un criterio di normalità, ad un esito favorevole.

Il diniego, poi, opposto dal Comune – se tale era la situazione di fatto esistente – non può quindi configurare alcuna ipotesi di colpa grave, necessario presupposto per l’accoglimento della pretesa risarcitoria.

Nè la responsabilità della P.A. poteva discendere tout-court dall’annullamento dell’atto di diniego in sede giurisdizionale, come avvenuto nella specie.

L’imputazione della responsabilità per lesione d’interesse legittimo, infatti, deve avvenire, non in base al mero dato oggettivo dell’illegittimità dell’azione amministrativa, ma con una più penetrante indagine estesa anche alla valutazione della colpa, non del funzionario agente, ma della Pubblica Amministrazione intesa come apparato.

E questa si configura ogni volta che l’adozione e l’esecuzione dell’atto lesivo dell’interesse del danneggiato avviene in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione, alle quali l’esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi, e che il giudice ordinario può valutare, in quanto si pongono come limiti esterni alla discrezionalità.

Ora, – come risulta dalla sentenza impugnata – il giudice amministrativo ha annullato il diniego di autorizzazione alla installazione del richiesto mezzo pubblicitario “ove non ostino ulteriori diversi motivi”.

L’annullamento impone, non l’adozione consequenziale del provvedimento richiesto, ma la rinnovazione, da parte della Pubblica Amministrazione, del procedimento autorizzativo cui consegue, pertanto, un nuovo esercizio del potere discrezionale; esercizio che deve tenere conto, in ogni caso, della normativa medio tempore intervenuta (CdS, sez. 5^, 16.10.1997 n. 1145; nello stesso senso CdS, sez. 5^, 8.7.1995 n. 1034, 13.7.1994 n. 750, 31.3.1994 n. 242 e 30.3.1994 n. 194).

L’annullamento del diniego, quindi, non attribuisce direttamente il bene della vita che s’intende conseguire – vale a dire non vincola l’Amministrazione all’adozione del provvedimento -, ma impone una nuova attività, nell’ambito della quale alla Pubblica Amministrazione spetta l’esercizio di un ulteriore potere discrezionale, al fine dell’adozione o meno del provvedimento normativo ampliativo richiesto.

E su questa base, in ottemperanza agli ulteriori provvedimenti nel frangente intervenuti, alla luce di un nuova valutazione di compatibilità, il Comune ha reiterato il diniego.

Sostiene, a tal fine, la ricorrente che la situazione giuridica in base alla quale la stessa ha convenuto in giudizio il Comune chiedendone la condanna al risarcimento dei danni attiene all’illegittimo comportamento di quest’ultimo che non ha rilasciato la richiesta autorizzazione in ordine alla prima istanza formulata quella del 4.5.1992 – e non con riferimento alla successiva.

In sostanza la responsabilità del Comune – secondo la tesi della ricorrente – è postulata con riferimento all’illegittimo primo diniego nel maggio 1992, e non a quello emesso nel dicembre 1994.

Anche a volere seguire tale tesi, nella condotta del Comune nel periodo citato non è ravvisabile – così come ha ritenuto la Corte di merito – alcuna condotta dolosa o colposa, foriera di un danno ingiusto per il privato.

Il Comune, infatti, si è limitato, nell’ambito del suo potere discrezionale, ed in aderenza al parere negativo espresso dalla Soprintendenza, ad adottare un provvedimento negativo sulla richiesta inoltrata, sulla base di un carcervo di inoppugnabili dati di fatto riscontrati dalla Corte di merito: la diversità dei due stabili, la temporaneità delle altre autorizzazioni concesse, l’obiettivo differente posizionamento delle insegne pubblicitarie.

Nè può convenirsi con la ricorrente su di una supposta disparità di trattamento della due situazioni soggettive in esame – quella oggetto del presente esame e quella relativa all’altro immobile situato nella stessa piazza, sul quale erano posizionate insegne pubblicitarie – posto che, come ha accertato la Corte di merito, – la cui valutazione in ordine al materiale probatorio, a fronte di una corretta motivazione, come nella specie, non è censurabile in questa sede – le pregresse autorizzazioni furono concesse “fino alla sistemazione definitiva della piazza”, su parere espresso anche dalla Soprintendenza.

Diversamente nella specie, in cui la richiesta non era temporanea.

Anche sotto questo aspetto, pertanto, si trattava di situazioni non omogenee, e come tali non comparabili.

Quanto, poi, all'”oggettivo affidamento “sul quale poteva contare l’odierna ricorrente ed all’evento dannoso” verificatosi deve, più in particolare, rilevarsi quanto segue.

Sono dati incontestati i seguenti: la domanda della Publionda srl fu presentata il 29.4.1992 e protocollata il 4.5.1992; il parere negativo della Soprintendenza per i Beni Culturali ed Ambientali intervenne il 29.4.1992 e fu notificato il 5.6.1992, il contratto con la Coca Cola fu concluso il 30.7.1992.

Al momento in cui concluse il contratto con la Coca Cola, quindi, la Publionda era perfettamente a conoscenza del parere negativo espresso dalla Soprintendenza – e ciò – diversamente da quel che sostiene la ricorrente – non è irrilevante, c.d. è stato sottolineato dalla Corte di merito.

Infatti, qualora fosse anche solo ipotizzabile – ma sembra più corretto supporre che siano state le stesse parti a non valutare correttamente quale incidenza avrebbe avuto il parere negativo sulla concessione della richiesta autorizzazione – che, fino al momento in cui venne a conoscenza di detto parere negativo, la Publionda potesse vantare un oggettivo affidamento nella concessione della richiesta autorizzazione, da quel momento in poi, l’attività successiva posta in essere dalla stessa, nell’ambito della propria autonomia contrattuale, deve ritenersi svolta a suo rischio e, come tale, non può incidere sulla responsabilità a carico del Comune per un evento dannoso che non è riconducibile a comportamento colposo o doloso di questo per l’emesso provvedimento di diniego, ma che è esclusivamente conseguenza dell’accettazione di un rischio fondatamente ipotizzabile.

Nè rileva, in questa ottica, che le parti, pur a seguito del parere negativo, abbiano continuato le trattative pervenendo alla conclusione del contratto.

Anche in questo caso, infatti, l’obiettiva situazione era tale da consigliare, quantomeno, un’attesa nella ripresa della trattative, in funzione della conclusione del contratto; nè il diverso loro comportamento riveste alcuna incidenza causale ai fini che qui interessano.

D’altra parte – come ha, anche in questo caso, evidenziato la Corte di merito – la situazione dì obiettiva incertezza delineatasi determinò le parti ad inserire nel contratto la pattuizione di sua risoluzione ipso iure nell’ipotesi in cui “si dovessero verificare situazioni di fatto o di diritto, di diniego o di revoca delle autorizzazioni…. che rendano oggettivamente impossibile l’esecuzione o la permanenza dell’impianto pubblicitario”.

In questo modo la Publionda si era già tutelata in sede contrattuale per l’eventualità di un diniego della richiesta inoltrata, ricavandosi, anche per questa via ed anche se solo presuntivamente, che la stessa riteneva già compromesso l’esito della sua richiesta di autorizzazione.

A questo punto nessun giudizio prognostico favorevole poteva essere formulato e gli eventuali danni – quali danno emergente, lucro cessante ed all’immagine – subiti dall’odierna ricorrente non possono, quindi, ritenersi come correttamente individuato in sede di merito conseguenza del provvedimento di diniego da parte della Pubblica Amministrazione.

Deve, da ultimo ed a questo fine, anche sottolinearsi che – come indicato dal resistente nel controricorso e non contestato – la Publionda non ha inteso neppure fruire del provvedimento emesso dal Comune che, in esecuzione dell’ordinanza del giudice amministrativo che aveva sospeso il secondo diniego, aveva rilasciato a Publionda un’autorizzazione condizionata all’esito del giudizio davanti al Consiglio di Stato, che consentiva l’installazione pubblicitaria, secondo le diposizioni regolamentari in vigore fino al 31.12.1995.

Con ciò dovendosi ritenere l’insussistenza, anche sotto questo ulteriore profilo, della fondatezza di una pretesa risarcitoria (v.

anche Cass. 10.11.2009 n. 23734; Cass. 25.9.2009 n. 20684; Cass. 20.8.2009 n. 18544).

Per i medesimi motivi nessun danno da ritardo è ipotizzabile.

Quanto alla comparazione degli interessi in gioco sotto il profilo di un loro equilibrio costituzionale – deve evidenziarsi che se alla Publionda deve riconoscersi il diritto al libero esercizio dell’attività economica, a fronte di questo sta un ulteriore diritto, anch’esso costituzionalmente garantito, quello relativo alla tutela ambientale e paesaggistica ed alla tutela e rispetto del patrimonio architettonico, artistico e storico (v. anche Cass. 19.7.2002 n. 10542; Cass. 26.11.2004 n. 22339).

Pertanto, è con riferimento a tali interessi che deve essere misurato l’esercizio della iniziativa economica spettante ai privati e, nell’eventualità di un loro conflitto, essere valutata la preminenza di quello pubblico rispetto al privato, con il sacrificio di quest’ultimo, purchè, però, l’azione amministrativa sia conforme ai principii di legalità e di buona amministrazione.

Principii che, nel caso in esame, per le ragioni evidenziate, sono stati rispettati.

Alla Corte di merito, non sono imputabili, quindi, nè le violazioni, ne i vizi di motivazione contestati, essendosi la stessa attenuta ai principii esposti, adottando una motivazione priva di vizi logici o giuridici.

Il ricorso principale va, conseguentemente, rigettato.

Ricorso incidentale condizionato Con unico motivo il ricorrente incidentale condizionato denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3).

L’esame del ricorso incidentale condizionato resta assorbito dalle conclusioni raggiunte in ordine al principale.

Conclusivamente il ricorso principale va rigettato; quello incidentale condizionato va dichiarato assorbito.

La complessità delle questioni trattate giustifica la compensazione, fra le parti, delle spese giudiziali.

PQM

La Corte riunisce i ricorsi. Rigetta il ricorso principale. Dichiara assorbito l’incidentale condizionato. Compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 9 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2010

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