Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4326 del 21/02/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 4326 Anno 2013
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: BANDINI GIANFRANCO

SENTENZA
sul ricorso 18376-2009 proposto da:
ISTITUTO NAZIONALE DI PREVIDENZA DEI GIORNALISTI
ITALIANI “GIOVANNI AMENDOLA” – I.N.P.G.I. 02430700589,
elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA COLA DI
RIENZO 69, presso lo studio dell’avvocato BOER PAOLO,
che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
214

contro

GRUPPO EDITORIALE L’ESPRESSO, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA, VIALE GIUSEPPE MAllINI 126, presso lo studio

Data pubblicazione: 21/02/2013

dell’avvocato

MARIA

CRISTINA

PUJATTI,

che

lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FAVALLI
GIACINTO, giusta delega in atti;

controricorrente

avverso la sentenza non definitiva n. 3777/06 della

5435/04,
avverso la sentenza definitiva n. 5658/2007 della
CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 07/08/2008
R.G.N. 5435/04;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 23/01/2013 dal Consigliere Dott.
GIANFRANCO BANDINI;
udito L’Avvocato PAOLO BOER;
udito l’Avvocato ZUCCHINALI PAOLO per delega GIACINTO
EAVALLI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

CORTE D’APPELLO DI ROMA, depositata il 24/03/09 r.g.n.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza non definitiva del 4.5.2006 – 24.3.2009 e sentenza
definitiva del 12.7.2007 – 7.8.2008, la Corte d’Appello di Roma rigettò

Giornalisti Italiani “Giovanni Amendola”- nei confronti del Gruppo
Editoriale L’Espresso spa ) avverso la pronuncia di prime cure, che
aveva respinto le domande dell’Inpgi dirette all’assoggettamento a
contribuzione degli importi dei buoni pasto erogati dalla Società
editrice al personale giornalistico relativamente alle divisioni
“L’Espresso” e “La Repubblica”.
A sostegno del decisum la Corte territoriale osservò quanto segue.
In ordine alle pretese relative alla divisione “L’Espresso” (sentenza
non definitiva):
– l’Inpgi aveva erroneamente ritenuto che il verbale redatto dai
propri funzionari fosse assistito da fede privilegiata o, comunque, da
particolare attendibilità, superabile dall’appellata soltanto a seguito di
espletamento di un’apposita prova contraria;
– al contrario, tale verbale non solo non era idoneo a provare
alcunché, ma risultava altresì generico ed insufficiente, atteso che
rappresentava l’espressione di valutazioni, giudizi ed apprezzamenti
personali dei verbalizzanti tratti a seguito di alcune dichiarazioni rese
dai lavoratori;
– ciò, pertanto, non era sufficiente a fondare l’assolvimento di un
principio di prova, tale da comportare un’inversione dell’onere
probatorio;

3

il gravame proposto dall’Inpgi – Istituto Nazionale di Previdenza dei

- sulla base delle risultanze istruttorie e, in particolare, delle
testimonianze acquisite, era risultato che, in base ad un accordo
sindacale, era stata prevista l’erogazione di buoni pasto in numero

risultato di una forfetizzazione effettuata a seguito di una rilevazione
della media delle presenze effettive dei giornalisti ricavata
esaminando un periodo di due tre anni; l’ispettore non aveva peraltro
verificato la corrispondenza fra la erogazione del buono pasto e la
effettiva presenza in redazione dei giornalisti;
– le previsioni dall’accordo non erano censurabili e non violavano
alcuna norma, atteso che la finalità perseguita non era quella,
rimasta indinriostrata, dell’evasione contributiva, ma quella di
utilizzare un metodo, sia pure forfetario stante le comprovate
obiettive difficoltà di misurazione, legato pur sempre alla presenza in
azienda dei giornalisti.
In ordine alle pretese relative alla divisione “La Repubblica”
(sentenza definitiva):

secondo l’assunto dell’Istituto i buoni pasti erogati sarebbero stati

due al giorno a giornalista, ciascuno del valore di lire 7.000, e non
avrebbe potuto ammettersi in detrazione il valore eccedente un
buono pasto (pari a lire 10.240);

per il periodo anteriore al 31.12.1997, in base al combinato

disposto dell’art. 17 dl.vo n. 503/92 e del dm 3.3.1994, punto 3,
nessuna contribuzione poteva essere rivendicata, atteso che i buoni

4

massimo di 20 giornate lavorative per mese e che tale numero era il

pasto corrisposti erano inferiori al tetto massimo di lire 9.000 a pasto
e non sussisteva alcun obbligo di un solo pasto;
per il periodo dal 1°.1.1998 era risultato dal verbale ispettivo che

pasto giornalieri del valore di lire 7.000 ciascuno e la Società aveva
dedotto che i buoni pasti erano due poiché la presenza del
giornalista in redazione si sviluppava in un arco di dodici ore, che
comprendevano quindi due pasti al giorno;
– la pretesa dell’Inpgi avrebbe presupposto la prova a suo onere
che non sussisteva alcun prolungamento dell’orario di lavoro, ma
nessun teste o ispettore aveva affermato ciò.
Avverso le anzidette sentenze della Corte territoriale l’Inpgi ha
proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi e illustrato
con memoria.
La Gruppo Editoriale L’Espresso spa ha resistito con controricorso,
illustrato con memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo articolato motivo, afferente alla posizione della
divisione “L’Espresso”, l’Istituto ricorrente denuncia violazione di
plurime norme di diritto, nonché vizio di motivazione (art. 360,
comma 1, nn. 3 e 5, cpc), deducendo che:
– la Corte territoriale aveva travisato la tesi difensiva di esso
ricorrente, che aveva inteso far discendere direttamente dal verbale
ispettivo che l’erogazione indistintamente a tutti i dipendenti, fino al
1998, di buoni pasto in maniera forfetizzata, comportava l’assenza

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l’importo di lire 14.000 veniva corrisposto sotto forma di due buoni

del riscontro della presenza in servizio dei dipendenti e del
conseguente collegamento tra tale presenza e la corresponsione del
buono pasto;
erroneamente la Corte territoriale aveva addebitato ad esso

ricorrente il mancato assolvimento dell’onere probatorio, spettando
per contro alla datrice di lavoro dimostrare la ricorrenza nella
fattispecie delle condizioni che escludevano l’erogazione dalla base
imponibile;

erroneamente la Corte territoriale, con motivazione insufficiente e

contraddittoria, aveva ritenuto la legittimità del meccanismo di
calcolo forfetario dei buoni pasto, posto che la relativa erogazione
non avrebbe potuto essere scollegata dalla effettiva presenza in
servizio dei dipendenti.
Con il secondo articolato motivo, afferente alla posizione della
divisione “La Repubblica”, l’Istituto ricorrente denuncia violazione di
plurime norme di diritto, nonché vizio di motivazione (art. 360,
comma 1, nn. 3 e 5, cpc), deducendo che:

la Corte d’Appello aveva disatteso la tesi di esso ricorrente

secondo cui la parte datoriale, nel periodo contestato, aveva erogato
ad ogni giornalista due buoni pasto (ognuno del valore di lire 7.000),
operando illegittimamente l’esenzione contributiva su entrambi per
un totale decontribuito di lire 14.000 al giorno a giornalista, anziché
sul valore massimo convenzionale di lire 10.420, previsto a tal fine
dalla legge;

6

- erroneamente la Corte territoriale aveva addebitato ad esso
ricorrente il mancato assolvimento dell’onere probatorio, avendo
l’Istituto provato l’avvenuta erogazione a ciascun dipendente di buoni

pasto per un valore giornaliero di lire 14.000 (peraltro eccedente la
quota di lire 10.240 esente da contribuzione) e spettando per contro
alla datrice di lavoro dimostrare la ricorrenza nella fattispecie delle
condizioni che escludevano l’erogazione dalla base imponibile;
– non poteva ritenersi la legittimità dell’erogazione di più buoni
pasto in presenza di un turno lavorativo non conforme all’orario
contrattuale di lavoro e in violazione delle norme di legge in ordine
all’orario massimo di lavoro consentito;
la sentenza impugnata era censurabile anche per l’omessa
motivazione circa la sussistenza per ciascun dipendente delle
condizioni (prolungamento dell’orario contrattuale di lavoro e
fruizione della seconda pausa mensa) che, secondo la tesi della
parte datoriale, avrebbero legittimato l’applicazione dell’esenzione
contributiva ai buoni pasto;
– con uno dei quesiti di diritto formulati il ricorrente chiede inoltre
“se accertata l’ammissibilità dell’erogazione di un secondo buono
pasto in relazione al prolungamento dell’orario di lavoro giornaliero,
l’esenzione contributiva dei due buoni operi comunque
cumulativamente per entrambi, entro il limite massimo convenzionale
giornaliero (di L. 10.240) stabilito dalla legge”.
2. Osserva preliminarmente la Corte che l’art. 366

bis cpc è

applicabile ai ricorsi per cassazione proposti avverso i provvedimenti

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f:/\

pubblicati dopo l’entrata in vigore (2.3.2006) del dl.vo 2 febbraio
2006, n. 40 (cfr, art. 27, comma 2, dl.vo n. 40/06) e anteriormente al
4.7.2009 (data di entrata in vigore della legge n. 68 del 2009) e,

pubblicate entrambe nell’ambito di tale intervallo temporale.
In base alla norma suddetta, nei casi previsti dall’articolo 360, primo
comma, numeri 1), 2), 3) e 4), cpc, l’illustrazione di ciascun motivo si
deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un
quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’articolo 360, primo
comma, n. 5), cpc, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere,
sempre a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto
controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o
contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza
della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.
Secondo l’orientamento di questa Corte il principio di diritto previsto
dall’art. 366 bis cpc, deve consistere in una chiara sintesi logicogiuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità,
formulata in termini tali per cui dalla risposta – negativa od
affermativa – che ad esso si dia, discenda in modo univoco
l’accoglimento od il rigetto del gravame (cfr, ex plurimis, Cass., SU,
n. 20360/2007), mentre la censura concernente l’omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione deve contenere un
momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva
puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in

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quindi, anche al presente ricorso, atteso che le sentenze sono state

sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua
ammissibilità (cfr, ex plurimis, Cass., SU, n. 20603/2007).
In particolare deve considerarsi che il quesito di diritto imposto
bis

cpc, rispondendo all’esigenza di soddisfare

l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella
cui è pervenuta la sentenza impugnata, ed al tempo stesso, con una
più ampia valenza, di enucleare, collaborando alla funzione
nomofilattica della Suprema Corte di Cassazione, il principio di diritto
applicabile alla fattispecie, costituisce il punto di congiunzione tra la
risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio generale,
e non può consistere in una mera richiesta di accoglimento del
motivo o nell’interpello della Corte di legittimità in ordine alla
fondatezza della censura così come illustrata nello svolgimento dello
stesso motivo, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni
esposte e porre la Corte in condizione di rispondere ad esso con
l’enunciazione di una regola iuris che sia, in quanto tale, suscettibile
di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto
all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata (cfr,
ex plurimis, Cass., nn. 11535/2008; 19892/2007).
Conseguentemente è inammissibile non solo il ricorso nel quale il
suddetto quesito manchi, ma anche quello nel quale sia formulato in
modo inconferente rispetto alla illustrazione dei motivi
d’impugnazione; ovvero sia formulato in modo implicito, sì da dovere
essere ricavato per via di interpretazione dal giudice; od ancora sia
formulato in modo tale da richiedere alla Corte un inammissibile

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dall’ad. 366

accertamento di fatto; od, infine, sia formulato in modo del tutto
generico (cfr, ex plurimis, Cass., SU, 20360/2007, cit.).
3. Nel caso che ne occupa con entrambi i motivi di ricorso sono stati

contiene tuttavia i pertinenti momenti di sintesi diretti a circoscrivere i
limiti delle censure inerenti ai lamentati vizi motivazionali; dal che
discende l’inammissibilità di tali profili di doglianza.
4. In ordine al primo motivo di ricorso, deve poi rilevarsi che la Corte
territoriale ha accertato in fatto, alla stregua della esperita istruttoria
testimoniale, che l’erogazione dei buoni pasto era stata fissata
contrattualmente sulla base di una forfetizzazione effettuata a
seguito di una rilevazione della media delle presenze effettive dei
giornalisti ricavata esaminando un periodo di due tre anni; ne
consegue la rilevata sussistenza di una correlazione tra l’erogazione
della prestazione e l’effettività della presenza dei lavoratori e, con ciò
stesso, dell’avvenuto assolvimento da parte della Società dell’onere
probatorio inerente al presupposto per la riconducibilità della
corresponsione in parola alle ipotesi di esenzione contributiva dei
relativi importi.
Donde l’infondatezza, per quanto ammissibili, delle doglianze svolte
con il motivo all’esame.
5. In ordine al secondo motivo di ricorso, va rilevato che il ricorrente
non indica, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso
per cassazione, quando e in che termini sarebbe stato ritualmente
contestato che l’erogazione dei buoni pasto era avvenuta in difetto di

10

denunciati anche pretesi vizi di motivazione, ma il ricorso non

un’effettiva presenza dei lavoratori interessati, né, al contempo,
indica alcun elemento di giudizio atto a confutare l’assunto della
Corte territoriale secondo cui nessuna prova era stata addotta sulla

escludersi la dedotta violazione dei criteri di ripartizione dell’onere
probatorio.
5.1La doglianza relativa alla non conformità dei turni lavorativi
all’orario contrattuale di lavoro e all’orario massimo giornaliero
legalmente consentito, con conseguente illegittimità dell’attribuzione
di più buoni pasto, introduce una questione non trattata nella
sentenza impugnata e in relazione alla quale il ricorrente non indica
quando e in che termini la stessa sarebbe stata sottoposta al Giudice
del gravame.
Al tempo stesso il ricorrente, in violazione del principio di
autosufficienza del ricorso per cassazione, non indica (né, tanto
meno, ne riproduce il contenuto) le emergenze probatorie da cui
dovrebbe risultare la durata dell’orario contrattuale e il suo avvenuto
superamento, posto che la sentenza impugnata si limita a dare atto
che la parte datoriale aveva dedotto che la presenza del giornalista
si sviluppava in un arco di dodici ore, il che, evidentemente, non sta
a significare che il giornalista stesso lavorasse dodici ore al giorno.
Anche in disparte dalle suddette assorbenti ragioni di inammissibilità
del profilo di doglianza all’esame, deve comunque rilevarsi che
l’assunto del ricorrente è privo di supporto normativo, poiché
l’esenzione contributiva, nel caso di specie, è legislativamente

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insussistenza di un prolungamento dell’orario di lavoro; deve dunque

collegata alla sussistenza delle ragioni che in concreto la giustificano
(somministrazione del vitto, diretta o indiretta, da parte del datore di
lavoro o sua prestazione o indennità sostitutiva) e non già

inerenti all’orario lavorativo.
5.2Secondo quanto esposto nello storico di lite, la Corte territoriale
ha diffusamente spiegato le ragioni per le quali, per ciò che riguarda
il periodo di tempo anteriore al 31.12.1997, doveva escludersi, sulla
base della normativa in allora applicabile (art. 17 dl.vo n. 503 e dm
3.3.1994, punto 3), l’assoggettabilità a contribuzione dei buoni pasto.
Il ricorrente, pur denunciando violazione delle suddette fonti
normative, non svolge alcuna argomentazione critica avverso le
ragioni in diritto esposte dalla Corte territoriale, facendo anzi
riferimento ad un valore massimo convenzionale in vigore per il
periodo successivo al 10 gennaio 1998.
Dal che discende l’inammissibilità della doglianza, per difetto di
specificità, in relazione al ridetto periodo di tempo anteriore al
31.12.1997.
5.21n base al combinato disposto degli artt. 48, comma 2, lettera c),
dpr n. 917/86 (come sostituito dall’art. 3 dl.vo n. 314/97) e 12,
comma 2, legge n. 153/69 (come sostituito dall’art. 6 dl.vo n. 314/97)
non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente, anche per il
calcolo dei contributi di previdenza e assistenza sociale,

“le

somministrazioni di vitto da parte del datore di lavoro, nonché quelle
in mense organizzate direttamente dal datore di lavoro o gestite da

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all’avvenuto rispetto o meno delle normative contrattuali e legali

terzi, o, fino all’importo complessivo giornaliero di lire 10.240, le
prestazioni e le indennità sostitutive” (le aggiunte introdotte con l’art.
4 dl.vo n. 56/98 essendo irrilevanti nella presente controversia).

n. 314/97) e, pertanto, non è applicabile, come già accennato, alle
contribuzioni anteriori a tale data.
Anche per il periodo successivo al 1° gennaio 1998 la Corte
territoriale, dando atto che l’importo di lire 14.000 veniva corrisposto
ai giornalisti sotto forma di due buoni pasto giornalieri del valore di
lire 7.000 ciascuno, ha implicitamente disatteso la tesi dell’Istituto
secondo cui non poteva essere ammesso in detrazione il valore
eccedente la misura di un buono pasto pari a lire 10.240.
La doglianza formulata al riguardo deve ritenersi ammissibile ai sensi
dell’art. 366 bis cpc, posto che il quesito formulato (quale già indicato
nello storico di lite) consente l’enunciazione di una regula iuris
suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello
sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza
impugnata, senza postulare la necessità di ulteriori ed inammissibili
accertamenti fattuali.
Premesso che, secondo quanto già esposto, neppure risulta indicato
quando e in che termini sarebbe stato ritualmente contestato che
l’erogazione dei buoni pasto fosse avvenuta in difetto di un’effettiva
presenza dei lavoratori interessati, onde, stante la sussistenza del
collegamento causale tra l’erogazione dei buoni pasti e il lavoro
prestato, deve escludersi l’applicabilità dei principi enunciati da

Tale normativa è entrata in vigore il 10 gennaio 1998 (cfr art. 9 di.vo

questa Corte nell’opposta ipotesi, conducente a ritenere il valore dei
pasti fruiti dal lavoratore nella mensa aziendale quale agevolazione
di carattere assistenziale (cfr, Cass., nn. 11212/2003; 14835/2009),

legislativo, pur non escludendo la possibilità di una pluralità
giornaliera di somministrazioni o prestazioni sostitutive, individua
chiaramente il limite del relativo “importo complessivo giornaliero” in
ragione di lire 10.420; limite che, sulla base dei già rilevati (e sul
punto pacifici) accertamenti fattuali svolti dai Giudici del merito, deve
convenirsi essere stato superato ogni qual volta al singolo giornalista
siano stati erogati, nello stesso giorno, due buoni pasto del valore di
lire 7.000 cadauno.
Può quindi enunciarsi il seguente principio di diritto: “Relativamente
alle obbligazioni contribufive dedotte in causa in relazione alla
divisione “La Repubblica” e per il periodo successivo al 10 gennaio
1998, ai sensi degli artt. 48, comma 2, lettera c), dpr n. 917/86
(come sostituito dall’art. 3 dl.vo n. 314/97) e 12, comma 2, legge n.
153/69 (come sostituito dall’art. 6 dl.vo n. 314/97), l’importo
complessivo giornaliero di lire 10.420 dei buoni pasto, fino
all’ammontare del quale è prevista l’esclusione dal reddito di lavoro
dipendente, anche per il calcolo dei contributi di previdenza e
assistenza sociale, è riferibile, per ciascun dipendente e in caso di
plurime erogazioni giornaliere di buoni pasto, al coacervo del loro
ammontare”.

14

la doglianza deve altresì ritenersi fondata, poiché il dettato

Essendosi la sentenza definitiva impugnata discostatasi da tale
principio, il profilo di censura all’esame risulta fondato.
6. Non possono essere oggetto di disamina in questa sede le

perdita del beneficio della fiscalizzazione degli oneri sociali, non
esaminate dalla Corte territoriale perché assorbite dalla decisione
assunta.
Il ricorso merita dunque accoglimento nei limiti sopra indicati e, per
l’effetto, la sentenza definitiva impugnata va cassata in relazione alla
censura accolta, con rinvio al Giudice designato in dispositivo, che
procederà a nuovo esame conformandosi all’indicato principio di
diritto e provvederà altresì sulle spese del giudizio di cassazione.
P. Q. M.
La Corte accoglie parzialmente il secondo motivo di ricorso, rigetta
ogni altra doglianza, cassa la sentenza definitiva impugnata in
relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le spese, alla Corte
d’Appello di Roma in diversa composizione.
Così deciso in Roma il 23 gennaio 2013.

domande ed eccezioni, ivi compresa la richiesta di declaratoria della

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