Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4326 del 20/02/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 20/02/2017, (ud. 29/11/2016, dep.20/02/2017),  n. 4326

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13646/2012 proposto da:

A.P., C.F. (OMISSIS), già titolare e legale rappresentante

della ditta individuale “SIGNAL PRESS di P.A.”,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI VILLA SACCHETTI 9, presso

lo studio dell’avvocato GIUSEPPE MARINI, che lo rappresenta e

difende unitamente agli avvocati GIAN FRANCO TOPPINO, DIEGO

DIRUTIGLIANO, ERNESTINA POLLAROLO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

avvocati ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO, LELIO MARITATO, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1167/2011 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 24/11/2011 r.g.n. 161/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/11/2016 dal Consigliere Dott. ADRIANA DORONZO;

udito l’Avvocato POLLAROLO ERNESTINA;

udito l’Avvocato Avvocato CHITI PILADE MARIO per delega Avvocato

MARINI GIUSEPPE;

udito l’Avvocato SGROI ANTONINO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La corte d’appello di Torino, con sentenza pubblicata il 24/11/2011, accoglieva l’appello proposto dall’Inps contro la sentenza resa dal tribunale di prime cure e, riformando la sentenza, rigettava la domanda proposta da A.P. con due separati ricorsi (riuniti dal tribunale), volta ad ottenere la condanna dell’Inps alla restituzione di una somma pari al 90% dei contributi versati nel triennio 1995-1997, ai sensi del combinato disposto della L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17 – L. n. 350 del 2003, art. 4, comma 90 e L. n. 17 del 2007, art. 3 quater.

2. La Corte territoriale, per quanto qui ancora interessa, riteneva che la parte ricorrente fosse decaduta dal diritto di pretendere la restituzione dei contributi e dei premi versati avendo presentato la domanda di rimborso oltre il termine del 31/7/2007 previsto del D.L. n. 300 del 2006, art. 3 quater, convertito in L. n. 17 del 2007. Riteneva infatti che tale termine andasse qualificato come termine di decadenza tanto per i soggetti alluvionati che chiedevano di definire la propria posizione versando il 10% dei contributi dei premi dovuti tanto per i soggetti alluvionati che avevano già provveduto al pagamento del dovuto e che pretendevano la restituzione del 90%.

3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la originaria parte ricorrente articolando plurimi motivi. Resiste l’Istituto con controricorso. Il ricorrente deposita memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 112 e 99 c.p.c., assumendo che la proposizione dell’impugnazione con un unico atto da parte dell’Inps avverso una “doppia statuizione emanata nel corso di un procedimento reso unitario solo per effetto di riunione” violava le regole processuali indicate e che l’impossibilità di distinguere contro quali sentenze l’appello fosse stato proposto comportava il passaggio in giudicato della sentenza non investita chiaramente da alcuna censura.

2. Con il secondo motivo denuncia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione agli artt. 332, 324 e 327 c.p.c. e ribadisce quanto già osservato nel primo motivo di ricorso e su cui la corte non aveva adeguatamente motivato.

3. Il terzo motivo è fondato sulla violazione del D.L. n. 300 del 2006, art. 3-quater, comma 1 (conv. con L. n. 17 del 2007), in combinato disposto con la L. n. 350 del 2003, art. 4, comma 90, L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, nonchè sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 2033 c.c.. Il ricorrente assume che ai sensi delle norme citate il pagamento dei contributi e dei premi costituisce un indebito oggettivo, che va disciplinato ai sensi dell’art. 2033 c.c. e per il quale l’ordinamento non prevede alcun termine di decadenza. Diversa era invece la posizione delle imprese che non avevano versato i contributi e per le quali soltanto era prevista la possibilità di definire in maniera automatica la loro posizione, versando entro una certa data l’ammontare dovuto.

4. I primi due motivi d’impugnazione, che si affrontano congiuntamente in quanto connessi, sono palesemente infondati. La riunione dei processi è stata già disposta dal giudice di primo grado; al termine del giudizio è stata correttamente emessa un’unica sentenza; altrettanto correttamente la parte soccombente ha proposto un unico atto di appello, non essendo consentito alla parte frazionare l’impugnazione in più segmenti, come si desume dall’intero sistema processuale (artt. 331 c.p.c. e segg.), volto ad evitare, in sintonia col principio dell’unità processuale anche in sede di gravame, che il processo si divida e si frazioni in sede di impugnazione in numerosi procedimenti. La corte territoriale ha fatto propri questi principi, motivando adeguatamente sul punto.

5. Il terzo motivo è infondato, alla luce dei precedenti di questa Corte ai quali si intende dare continuità (v. Cass., n. 25558/2016; n. 25198/2016).

Questa Corte di legittimità ha già avuto modo di chiarire che la definizione automatica della posizione previdenziale può avvenire, per chi non ha ancora pagato, mediante il pagamento del solo 10% del dovuto e, per chi ha già pagato, attraverso il rimborso del 90% di quanto versato, dovendo ritenersi, nel silenzio del legislatore circa la posizione di coloro che, all’entrata in vigore della normativa recante il beneficio, avevano già ottemperato al pagamento dell’obbligazione contributiva, che un’interpretazione che escluda costoro dalla possibilità di richiedere la restituzione di quanto versato in eccesso si porrebbe in contrasto con la costante giurisprudenza della Corte costituzionale circa l’irragionevolezza di disposizioni legislative che sopprimano o riducano la prestazione dovuta per obbligazioni pubbliche già perfezionatesi, prevedendo al contempo l’irripetibilità delle somme già versate in esecuzione del rapporto obbligatorio siccome conformato in precedenza (Cass. n. 11247 del 2010, cit.).

6. Così ricostruita la portata oggettiva e soggettiva del beneficio in questione, del tutto correttamente la Corte di merito, una volta accertato che la domanda di rimborso era stata presentata dopo la suddetta data, ha ritenuto che parte ricorrente ne fosse decaduta: il termine del 31.7.2007, risultante per la presentazione delle domande di regolarizzazione L. n. 350 del 2003, ex art. 4, comma 90, a seguito della proroga dell’originario termine del 31.7.2004 da parte del D.L. n. 300 del 2006, art. 3-quater, comma 1 (conv. con L. n. 17 del 2007), si applica infatti anche alle imprese abbiano già versato i contributi previdenziali, dovendosi ritenere irragionevole una distinzione tra coloro che non abbiano corrisposto i contributi e coloro che, invece, abbiano già effettuato il pagamento, in quanto la locuzione “regolarizzare la posizione”, di cui all’art. 4, comma 90, cit., include tanto l’ipotesi in cui la definizione della posizione previdenziale intervenga mediante il pagamento del 10% del dovuto, quanto quella in cui avvenga mediante il rimborso del 90% del versato (Cass. n. 12603 del 2016).

7. Escluso pertanto che l’applicazione del termine a quest’ultimo caso sia frutto di un’interpretazione analogica della L. n. 350 del 2003, art. 4, comma 90, deve piuttosto aggiungersi che non meno correttamente la Corte di merito ha ritenuto che il termine in questione, benchè non espressamente qualificato dal legislatore come perentorio, costituisse un termine di decadenza: non trattandosi di termine di natura processuale, per i quali vige la regola di cui all’art. 152 c.p.c., spetta infatti all’interprete di individuarne la portata ordinatoria o perentoria in relazione allo scopo che esso persegue, cioè agli interessi che intende tutelare, e non v’ha dubbio che la natura pubblica dell’interesse alla certezza delle determinazioni concernenti l’erogazione di spese gravanti sui bilanci degli enti previdenziali, che a sua volta è correlato ai vincoli di carattere sovranazionale cui il bilancio pubblico è assoggettato in forza dei Trattati europei e dei criteri politico-economici e tecnici adottati dagli organi dell’Unione europea per controllarne l’osservanza (come sottolineato da Corte Cost. n. 425 del 2004), depone univocamente in tal senso, non vertendosi in ipotesi di ristoro per un pregiudizio ascrivibile ad un fatto obiettivo e incolpevole da cui la collettività abbia tratto vantaggio e dovendo pertanto il principio solidaristico di cui agli artt. 2 e 3 Cost., trovare adeguato bilanciamento rispetto ad altri interessi e beni di pari rilievo costituzionale (cfr. in tal senso Corte Cost. n. 118 del 1996).

8. Per contro, l’acclarata struttura unitaria del beneficio della regolarizzazione L. n. 350 del 2003, ex art. 4, comma 90, esclude che possano trovare in specie applicazione le disposizioni concernenti la prescrizione dell’azione di ripetizione dell’indebito oggettivo di cui all’art. 2033 c.c., giacchè in mancanza di (tempestiva) domanda di rimborso non può logicamente configurarsi alcun pagamento indebito, essendo la domanda amministrativa condizione necessaria per lo stesso sorgere del diritto al beneficio (cfr. in tal senso Cass. n. 732 del 2007 e, più recentemente, Cass. n. 5318 del 2016).

9. Resta da dire che a diverse conclusioni non può pervenirsi nemmeno considerando la L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 665.

10. Premesso che la disposizione citata ha previsto che “i soggetti colpiti dal sisma del 13 e 16 dicembre 1990, che ha interessato le province di Catania, Ragusa e Siracusa, individuati ai sensi dell’art. 3 dell’ordinanza del Ministro per il coordinamento della protezione civile 21 dicembre 1990, (…) che hanno versato imposte per il triennio 1990-1992 per un importo superiore al 10 per cento previsto dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 9, comma 17 e successive modificazioni, hanno diritto, con esclusione di quelli che svolgono attività d’impresa, per i quali l’applicazione dell’agevolazione è sospesa nelle more della verifica della compatibilità del beneficio con l’ordinamento dell’Unione europea, al rimborso di quanto indebitamente versato, a condizione che abbiano presentato l’istanza di rimborso ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 21, comma 2 e successive modificazioni”, e ha aggiunto, per quanto qui interessa, che “il termine di due anni per la presentazione della suddetta istanza è calcolato a decorrere dalla data di entrata in vigore della L. 28 febbraio 2008, n. 31, di conversione del D.L. 31 dicembre 2007, n. 248”.

Ora, benchè in alcuni obiter dicta di questa Corte si sia affermato, argomentando dall’assimilazione introdotta in forma generale dalla L. n. 350 del 2003, art. 4, comma 90, che la disposizione in esame rileverebbe anche per le domande di rimborso presentate dai soggetti colpiti dall’alluvione piemontese del 1994 (cfr. in tal senso specialmente Cass. nn. 6685 e 6686 del 2015), ritiene il Collegio che tanto non possa sostenersi in considerazione del fatto che il D.L. n. 300 del 2006, art. 3-quater, ha distinto inequivocabilmente i termini di presentazione delle domande di regolarizzazione per i soggetti colpiti dall’alluvione piemontese e per i soggetti colpiti dal sisma siciliano, prevedendo per i primi, al comma 1, che “il termine di presentazione delle domande di cui alla L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 4, comma 90, è differito al 31 luglio 2007”, e disponendo per i secondi, al comma 2, che “i termini di cui alla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 9, comma 17, sono differiti al 31 dicembre 2007”. E poichè è precisamente (e soltanto) la disposizione di cui al secondo comma ad essere stata interessata dalla modifica apportata dal D.L. n. 248 del 2007, art. 36-bis (il quale, sotto la rubrica “Proroga di termini per la definizione di somme dovute da soggetti residenti nelle province di Catania, Ragusa e Siracusa”, ha disposto, per quanto qui interessa, che “del D.L. 28 dicembre 2006, n. 300, art. 3-quater, comma 2, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 febbraio 2007, n. 17, le parole: 31 dicembre 2007” fossero sostituite “dalle seguenti: 31 marzo 2008”), ritiene il Collegio che la previsione di cui alla L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 665, nel riaprire i termini per la presentazione delle domande di rimborso da parte dei soggetti colpiti dal sisma della Sicilia calcolandoli “a decorrere dalla data di entrata in vigore della L. 28 febbraio 2008, n. 31, di conversione del D.L. 31 dicembre 2007, n. 248”, abbia presupposto e, quel che più conta, mantenuto inalterata la distinzione tra le due categorie dei destinatari del beneficio della regolarizzazione automatica per ciò che concerne il termine di presentazione delle domande, con consequenziale inapplicabilità ai beneficiari della regolarizzazione L. n. 350 del 2003, ex art. 4, comma 90, della proroga introdotta per i beneficiari della regolarizzazione L. n. 289 del 2002, ex art. 9, comma 17. E’ poi appena il caso di soggiungere che codesta differenziazione non appare prima facie sospettabile di introdurre disparità di trattamento rilevanti ex art. 3 Cost., comma 1, sol che si pensi alla diversità della platea dei destinatari dei due benefici, alle diverse conseguenze che ne discendono in termini di oneri per il bilancio pubblico e all’impossibilità di prendere in considerazione, agli effetti di un ipotetico contrasto con il canone dell’eguaglianza, “qualsiasi incoerenza, disarmonia o contraddittorietà che una determinata previsione normativa possa, sotto alcuni profili o per talune conseguenze, lasciar trasparire” (così Corte Cost. n. 5 del 2000).

11. Il ricorso, pertanto, va conclusivamente rigettato. La novità e straordinaria complessità della disciplina consentono di ravvisare gravi ed eccezionali ragioni per disporre la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 29 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2017

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