Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4325 del 23/02/2010

Cassazione civile sez. III, 23/02/2010, (ud. 02/12/2009, dep. 23/02/2010), n.4325

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NANNI Luigi Francesco – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – rel. Consigliere –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. FRASCA Bruno – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 6758/2005 proposto da:

C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEI TRE OROLOGI 14-A, presso lo studio dell’avvocato

GAMBINO Agostino, che lo rappresenta e difende unitamente agli

avvocati MORBIDELLI GIUSEPPE, RANIERI MASSIMO, COPPI FRANCO giusta

delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

O.P. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, LUNGOTEVERE DELLE NAVI 30, presso lo studio dell’avvocato

SORRENTINO Federico, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato LUCIANI MASSIMO giusta delega a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4024/2004 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

Sezione Seconda Civile, emessa il 7/7/2004, depositata il 23/09/2004,

R.G.N. 5382/2001;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

02/12/2009 dal Consigliere Dott. CAMILLO FILADORO;

udito l’Avvocato AGOSTINO GAMBINO; udito l’Avvocato FEDERICO

SORRENTINO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MARINELLI Vincenzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’ex presidente della Repubblica, Sen. C.F., è stato condannato, come privato cittadino, a versare L. 90 milioni a titolo di risarcimento per danni morali, al senatore della sinistra indipendente O.P.L. che nel (OMISSIS), quando il Sen. C. era ancora capo dello Stato, era stato oggetto di tre “esternazioni”. La decisione è della prima sezione civile del Tribunale di Roma che ha accolto le istanze dell’attore Sen. O..

Sono state respinte le tesi difensive del Sen. C., il quale aveva sostenuto che per quelle dichiarazioni nei confronti del Sen. O. non poteva essere chiamato in giudizio, in quanto fatte in veste di presidente della Repubblica.

Il tribunale, invece, ha ritenuto che alla questione non fossero applicabili i principi stabiliti dall’art. 90 Cost..

Secondo il Tribunale, nell’esternazione fatta il 15 marzo 1991 dal Senatore C., in occasione della sua audizione da parte del Comitato parlamentare sui servizi per la informazione e la sicurezza dello Stato e nell’intervista rilasciata al (OMISSIS) il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) successivi, a margine di un convegno sulla enciclica “Rerum novarum” era ravvisabile una “concreta capacità offensiva”.

La sentenza del Tribunale di Roma è stata riformata dalla Corte d’appello di Roma, la quale accoglieva le tesi del convenuto, dichiarando la improponibilità della domanda del Sen. O..

I giudici di appello osservavano che le espressioni usate dal Presidente C. il (OMISSIS) “avevano indubbiamente una portata offensiva dell’onore e del decoro dell’appellato, ma che tuttavia le stesse erano riconducibili alla carica di Presidente della Repubblica e che quindi si versasse della immunità, prevista dall’art. 90 Cost.”.

Precisava ancora la Corte territoriale che, per quanto il Sen. C. fosse stato sentito dal Comitato parlamentare sui servizi per l’informazione e la sicurezza dello Stato come ministro e come capo del governo, per le vicende della “(OMISSIS)”, tuttavia all’epoca della sua audizione egli era Capo dello Stato ed in tale qualità aveva fatto l’esternazione.

Per quanto riguardava invece i due successivi episodi del (OMISSIS), gli stessi non avevano contenuto diffamatorio, in quanto nel primo il Senatore C. aveva avuto cura di non esprimere alcun giudizio nei confronti del Senatore O., mentre nel secondo, pur manifestando una aperta disistima verso quest’ultimo senatore, egli non aveva usato espressioni denigratorie.

Questa Corte, con sentenza 8734 del 27 giugno 2000, accoglieva per quanto di ragione il ricorso principale del Sen. O. e quello incidentale del Sen. C., formulando i seguenti principi di diritto:

– ai sensi dell’art. 90 Cost., comma 1, l’immunità del Presidente della Repubblica (che attiene sia alla responsabilità penale che civile o amministrativa) copre solo gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni e non quelli extrafunzionali;

– tra le funzioni del Presidente della Repubblica, coperte dalla immunità, può annoverarsi anche la “autodifesa” dell’organo costituzionale, ma solo allorchè l’ordinamento non assegni detta difesa alle funzioni di altri organi, ovvero nei casi in cui oggettive circostanze concrete impongano la immediatezza della autodifesa;

– la autorità giudiziaria ha il potere di accertare se l’atto compiuto sia funzionale o extrafunzionale, salva la facoltà per il Presidente della Repubblica di sollevare il conflitto di attribuzione per menomazione:

– pur non essendo il Presidente della Repubblica vincolato ad esprimersi solo con messaggi formali, controfirmati ai sensi dell’art. 89 Cost., il suo c.d. “potere di esternazione” che non è equiparabile alla manifestazione del pensiero di cui all’art. 21 Cost., non integra di per sè una funzione, per cui è necessario che la esternazione sia strumentale o accessoria ad una funzione presidenziale, perchè possa beneficiare della immunità;

– le ingiurie o le diffamazioni commesse nel corso di una esternazione presidenziale beneficiano della immunità solo se commesse “a causa” della funzione e cioè se commesse come estrinsecazione modale della stessa, non essendo sufficiente la mera contestualità cronologica, che da luogo solo ad un atto arbitrario concomitante;

– il legittimo esercizio della critica politica, riconosciuto ad ogni cittadino, pur potendo sopportare toni aspri e di disapprovazione, non può trasmodare nell’attacco personale e nella pura contumelia, con lesione del diritto altrui alla integrità morale.

Con sentenza n. 154 del 1994 la Corte Costituzionale si pronunciava sul conflitto di attribuzione nel giudizio promosso dal Sen. C., dichiarando che competeva all’autorità giudiziaria – investita della controversia sulla responsabilità del Presidente della Repubblica – accertare se le dichiarazioni rese durante il mandato costituiscano esercizio delle funzioni proprie del Capo dello Stato ovvero sono strumentali ed accessorie ad una funzione presidenziale.

Con sentenza 7 luglio – 23 settembre 2004, la Corte di appello di Roma accoglieva in parte l’appello del Sen. C., confermando la decisione del Tribunale, limitatamente alla pronuncia di condanna del medesimo al pagamento della somma di Euro 15.493,70 in favore del Dott. O.P..

Rilevava il giudice di rinvio, che – a seguito della decisione di quella Corte del 1997 – si era formato il giudicato in ordine alla inesistenza della natura diffamatoria delle dichiarazioni rese dal Presidente C. in occasione degli episodi del (OMISSIS).

Pertanto, l’unico episodio ancora in contestazione consisteva nelle dichiarazioni formulate dal Presidente C. il (OMISSIS) dinanzi al Comitato parlamentare sui servizi per la informazione e per la sicurezza dello Stato.

La Corte di appello sottolineava che la Corte Costituzionale, nella sentenza del 2004, aveva confermato i principi espressi da questa Corte di Cassazione in ordine alla portata dell’art. 90 Cost., ed al potere di esternazione del Capo dello Stato, ed alla conclusione che le attività o dichiarazioni volte a difendere la istituzione non potevano comportare la automatica estensione della immunità ad atti o dichiarazioni extrafunzionali, per il solo fatto che gli stessi erano diretti a difendere la persona fisica, titolare della carica, o si prospettavano come idonei ad influire sul prestigio o la sulla legittimazione politica dello stesso.

Da ciò derivava il potere della autorità giudiziaria ordinaria di procedere all’accertamento in concreto della natura funzionale – o meno – delle dichiarazioni del Presidente C., delle quali si doleva l’attore.

In occasione dell’episodio del (OMISSIS) il Sen. O. era stato severamente redarguito dal Presidente C. per il solo fatto di avere, all’epoca, espresso la sua opposizione alla (OMISSIS), in assenza di un qualsivoglia legame politico- istituzionale tra la partecipazione della Italia alla rete (OMISSIS) fondata sulla alleanza NATO e la partecipazione militare della (OMISSIS) alla (OMISSIS), soltanto questa ultima disapprovata in quel periodo dal Sen. O..

Con la conseguenza che non era configurabile in ordine alle affermazioni del Capo dello Stato una qualsivoglia attività riconducibile a tipiche funzionali presidenziali ex art. 89 Cost., e neppure a quelle legittimate dalla prassi ex art. 87 Cost. (c.d.

potere di esternazione) tra le quali la rappresentanza della unità nazionale, che avrebbero suggerito gli apprezzamenti in questione sulla personalità, onorabilità e reputazione del Sen. O., a tutela della partecipazione della Italia alla (OMISSIS).

Doveva dunque ritenersi la impossibilità di configurare. gli elementi propri della esternazione presidenziale protetta dalla garanzia della immunità di cui all’art. 90 Cost., con la conseguenza che, in riferimento ad un mero atto extrafunzionale, estraneo alle funzioni costituzionali di cui agli artt. 89 e 87 Cost., ed altresì non integrante neppure una estrinsecazione modale delle funzioni dell’Ufficio presidenziale, doveva essere esclusa la tutela in esame potendo la irresponsabilità del Capo dello Stato operare alla stregua dell’ordinamento soltanto in modo strumentale alla superiore esigenza di indipendenza della nazione.

Doveva anche escludersi nel comportamento del Sen. O. una provocazione offensiva volta a attaccare l’Ufficio presidenziale o la persona del Presidente, in riferimento alla partecipazione italiana alla (OMISSIS), sicchè mancava anche l’elemento della ingiustificata aggressione verso un atto compiuto dal Presidente in rappresentanza della unità nazionale a tutela della istituzione, che ne legittimasse la tempestiva autodifesa.

Per quanto riguardava poi la possibilità di equiparare il potere di esternazione alla libera manifestazione del pensiero, garantita dalla Costituzione (art. 21), i giudici di appello osservavano che tale diritto inerisce alla libera manifestazione del pensiero di privati (e non a quelle di privati che invece operino nell’ambito delle competenze proprie di una pubblica funzione, dovendo questi ultimi provvedere al relativo esercizio in attuazione dei fini della istituzione rappresentata e pur sempre nel rispetto degli interessi della collettività).

Le affermazioni del Presidente C., non collegate da un rapporto di strumentalità o accessorietà con la funzione all’epoca esercitata, non rientrava nemmeno sotto questo profilo, nella immunità di cui all’art. 90 Cost..

Non poteva, poi, dubitarsi della portata denigratoria ed offensiva delle affermazioni del Presidente, che aveva apostrofato il Senatore O. con acri e brucianti contumelie ed epiteti infamanti, per il solo fatto di avere espresso la sua opinione pacifista attraverso la firma di un appello contro la (OMISSIS), nel difetto di ogni spunto provocatorio che giustificasse lo sferzante e violento attacco mosso dall’interlocutore nei suoi confronti.

L’esimente relativa all’esercizio della critica politica impone pur sempre un ragionevole, avveduto equilibrio tra l’interesse del singolo all’onore ed alla reputazione ed il pubblico e sociale interesse, proprio della critica politica, la quale pur potendo essere di parte, e non obiettiva, deve comunque essere diretta a contrastare le azioni o i programmi dell’avversario, sempre in ogni caso nel rispetto della dignità della persona, delle sue idee e del suo indirizzo politico.

L’ O., invece, era stato fatto oggetto di apprezzamenti nefandi, avendo il Presidente C. affermato, nell’assenza di qualsivoglia finalità di pubblico interesse, la idoneità dello stesso a compiere atti illeciti nell’esercizio della sua professione di magistrato – anche attraverso l’uso di sostanze dirette ad esplicare azione inibente sui centri nervosi degli inquisiti – ed il di lui fanatismo ribelle, l’estremismo partigiano e turbolento, degni della generale disapprovazione ed, in particolare, di quella dei conterranei sardi.

Ed, alla replica del Sen. O., che dichiarava di non avere lo stesso concetto dello Stato e della Patria e di non considerarsi un traditore, il Presidente C. aveva opposto la assenza di qualsivoglia concezione della controparte al riguardo, così ponendo in risalto una sua intrinseca indegnità privata e pubblica e la sua inidoneità a ricoprire il mandato presidenziale e ad esplicare la funzione giudiziaria.

Concludeva la Corte territoriale che “l’attacco personale, ingiustificato ed arbitrario del Presidente e la mera contumelia sconfinante nell’addebito di incapacità professionale e politica si prospettano di tutta evidenza, eccedenti la pura critica politica ed integranti piuttosto la ingiusta lesione della integrità morale e della reputazione dell’avversario, volta ad offendere lo stesso nelfla consapevolezza di ferirne e sminuirne la personalità, il valore morale e intellettivo, nonchè la di lui figura politica. E ciò comportava la legittimità della declaratoria del Tribunale in ordine alla responsabilità del Senatore C. a fronte di un illecito produttivo del danno morale, risarcibile per equivalente monetario.

Ritenuto che l’importo riconosciuto dal primo giudice era in tutto rispondente alla intrinseca potenzialità lesiva dell’aggressione verbale, i giudici di appello condannavano il Senatore C. al pagamento della somma di L. 30 milioni (pari ad Euro 15.493,70) operando una riduzione proporzionale della condanna operata dal Tribunale, in considerazione del fatto che era stato ritenuto illecito solo uno dei tre episodi in origine denunciati.

Ai fini di detta valutazione, occorreva precisare che i fatti in questione risalivano all’epoca in cui il Presidente C. ricopriva altre cariche (di Presidente del Consiglio dei Ministri e Sottosegretario del Ministero della Difesa) e che l’audizione del Presidente C. aveva avuto luogo presso la sede del Quirinale, in applicazione del principio indicato dall’art. 205 c.p.p..

La natura funzionale della affermazioni non poteva essere ravvisata in riferimento al potere di autotutela dell’Ufficio Presidenziale e dell’Organo rappresentativo della unità nazionale, invocato dal Sen. C., sul rilievo del nesso tra la vicenda (OMISSIS) (oggetto del dibattito e della audizione del Presidente) e la Guerra del Golfo, in riferimento alle dichiarazioni del Sen. O. riportate nell’intervista pubblicata il (OMISSIS). Infatti, mentre la partecipazione (OMISSIS) alla rete (OMISSIS) trovava la sua causa nella appartenenza alla NATO, la partecipazione militare alla (OMISSIS) era stata deliberata dall’Italia a seguito della distinta e diversa risoluzione n. 678 del 1990 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU ai fini della liberazione del (OMISSIS) dall’invasione da parte delle milizie di S.H..

Dall’esame della intervista emergeva come la opposizione del Senatore O. riguardasse solo questa ultima delibera, avendo egli contestato unicamente la legittimità internazionale di detta risoluzione e la opportunità del relativo intervento militare dell’Italia, sicchè era di tutta evidenza che la opinione dell’appellato non poteva automaticamente estendersi, come sostenuto da controparte, alla opinione che il medesimo aveva al tempo sulla operazione (OMISSIS).

Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione il Senatore C. con due motivi.

Resiste il Sen. O. con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione degli artt. 87, 89 e 90 Cost., violazione da parte del giudice di rinvio dei principi fissati dalla Suprema Corte (art. 384 c.p.c.), insufficienza e contraddittorietà della motivazione.

Il giudice di rinvio, dopo avere esattamente richiamato i principi di diritto formulati da questa Corte con la sentenza n. 8734 del 2000, li aveva completamente disattesi, affermando che le frasi pronunciate dal Capo dello Stato in occasione della audizione relativa alla vicenda “(OMISSIS)” era del tutto priva di collegamento con le funzioni presidenziali, e che gli epiteti infamanti rivolti contro il Sen. O. erano motivati con “il solo fatto della sua opinione pacifista espressa attraverso la firma di un appello contro la (OMISSIS), nel difetto di ogni spunto provocatorio che giustificasse lo sferzante e violento attacco mosso dall’interlocutore nei suoi confronti”.

Alla luce dei principi di diritto fissati da questa Corte, invece, appariva del tutto chiaro il collegamento della esternazione alle funzioni presidenziali di stimolo e di impulso alla attuazione della Carta fondamentale.

Il Capo dello Stato non aveva alcuna ragione personale per attaccare il Sen. O..

La ragione dello scambio di aspre battute tra il Presidente C. ed il Senatore O. nel corso della audizione del (OMISSIS) trovava la sua unica spiegazione nello scontro sul tema della (OMISSIS).

Non si poteva, pertanto, negare il carattere strumentale della esternazione alla funzione istituzionale del Presidente di rappresentante della unità nazionale e di interprete dei fondamentali principi della comunità civile, a tutela dei superiori interessi e valori nazionali garantiti dalla Costituzione.

Il ricorrente sottolinea che con precedenti, plurimi, interventi, e con lettere indirizzate tra l’altro al Ministro di Grazia e Giustizia, aveva manifestato la propria preoccupazione per il fatto che tra i firmatari dell’appello pacifista pubblicato da un quotidiano il (OMISSIS) ed il (OMISSIS), figurassero anche magistrati in servizio, esprimendo la propria convinzione che talune espressioni, contenute nel documento, contenessero affermazioni critiche nei confronti delle istituzioni non in linea con il giuramento dagli stessi prestato al momento della assunzione in servizio.

Anche a voler ritenere, comunque, che vi fosse un collegamento tra il precedente attacco del Senatore O. e la vicenda “(OMISSIS)” si sarebbe dovuto comunque riconoscere la natura funzionale della esternazione, con conseguente irresponsabilità del Presidente della Repubblica, stante la natura politico-istituzionale dell’intervento del Capo delle Stato e la natura pubblica della materia dello scontro tra lo stesso ed il Senatore O..

Le parole che il Presidente C. aveva rivolto a quest’ultimo costituivano anche la legittima reazione all’attacco politico che il Senatore O., unitamente ad altri parlamentari, aveva iniziato a sferrare nei confronti del Presidente della Repubblica, in relazione a fatti risalenti, ma con l’evidente intento, attuale in quel momento, di indebolire la massima carica dello Stato.

La Corte territoriale, in sede di rinvio, non aveva considerato che il Presidente C. si era rivolto – e dunque aveva pronunciato le parole in contestazione al Senatore O. – al Comitato parlamentare nella pienezza del suo ufficio di Capo dello Stato e che egli era ben consapevole di quale fosse la posizione del Sen. O. e di come lo stesso, all’epoca della audizione del (OMISSIS), avesse già avviato un attacco al Presidente della Repubblica.

Era difficile negare che il giudizio politico sulla rete “(OMISSIS)” e la decisione se partecipare o ritirarsi dalla (OMISSIS) coinvolgevano la medesima scelta di campo in ordine alla posizione atlantica del nostro Paese ed, in particolare, circa i rapporti con gli (OMISSIS).

Pertanto era del tutto logico che il Capo dello Stato, interpretando il sentimento di larga parte della Nazione, avesse considerato legittima ed opportuna la collocazione atlantica dell'(OMISSIS).

E aveva conseguentemente ritenuto di dover intervenire per difenderla da quanti, come il Sen. O., ne facevano oggetto di aperta contestazione.

La sentenza della Corte di appello non aveva colto il collegamento tra le due vicende ed il senso della critica politica mossa dal Capo dello Stato al Sen. O. ed al suo “stare dall’altra parte” ovvero dalla parte di chi era contro il tradizionale sistema di alleanze del nostro Paese.

La sentenza della Corte di appello aveva anche violato i principi di diritto fissati da questa stessa Corte negando che ricorressero i presupposti per un intervento del Capo dello Stato, garantito dall’art. 90 Cost., a tutela dell’istituzione presidenziale.

Il principio di “autodifesa” del Presidente della Repubblica era stato espressamente confermato dalla decisione n. 8734 del 2000 di questa Corte, con la precisazione che questo principio “riguarda o la particolare ipotesi in cui la difesa del Presidente della Repubblica non rientri nei compiti funzionali di altro organo istituzionale ovvero i casi in cui esigenze oggettive impongano di rispondere con immediatezza ed urgenza ad attacchi diretti all’organo presidenziale, per riaffermare le sue competenze ovvero per respingere offese attuali al decoro ed al prestigio della istituzione”.

Se il rispetto delle forze politiche nei confronti dell’organo presidenziale viene meno e la ricostruzione di avvenimenti di storia recente (o meno recente, come la vicenda “(OMISSIS)” risalente ad alcuni addietro) può diventare motivo di un violento scontro politico, tutto ciò ha – e non può non avere – ripercussioni sulla figura e sul ruolo presidenziale.

In buona sostanza, conclude il ricorrente, le frasi pronunciate dal Presidente C. nei confronti del Senatore O., costituivano la reazione della massima carica dello Stato alle posizioni espresse dal parlamentare con riferimento a vicende di straordinaria valenza istituzionale ed al gravissimo attacco portato dal Senatore O. alla massima carica dello Stato, destinata a sfociare nella richiesta di messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica per attentato alla Costituzione.

Non era dunque aderente ai principi di diritto assegnati da questa Corte al giudice di rinvio sostenere che nel comportamento del Sen. O. non fosse ravvisabile neppure la offensiva provocazione volta ad attaccare l’Ufficio presidenziale o la persona del Presidente.

Osserva il Collegio:

In caso di ricorso per cassazione avverso la sentenza del giudice di rinvio fondato sulla deduzione della infedele esecuzione dei compiti affidatigli con la precedente pronuncia di annullamento, il sindacato della S.C. si risolve nel controllo dei poteri propri del suddetto giudice di rinvio, per effetto di tale affidamento e dell’osservanza dei relativi limiti, la cui estensione varia a seconda che l’annullamento stesso sia avvenuto per violazione di norme di diritto ovvero per vizi della motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, in quanto, nella prima ipotesi, egli è tenuto soltanto ad uniformarsi al principio di diritto enunciato nella sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti, già acquisiti al processo, mentre, nel secondo caso, la sentenza rescindente – indicando i punti specifici di carenza o di contraddittorietà della motivazione – non limita il potere del giudice di rinvio all’esame dei soli punti indicati, da considerarsi come isolati dal restante materiale probatorio, ma conserva al giudice stesso tutte le facoltà che gli competevano originariamente quale giudice di merito, relative ai poteri di indagine e di valutazione della prova, nell’ambito dello specifico capo della sentenza di annullamento.

In quest’ultima ipotesi, poi, il giudice di rinvio, nel rinnovare il giudizio, è tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema esplicitamente od implicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, in sede di esame della coerenza del discorso giustificativo, evitando di fondare la decisione sugli stessi elementi del provvedimento annullato, ritenuti illogici, e con necessità, a seconda dei casi, di eliminare le contraddizioni e sopperire ai difetti argomentativi riscontrati. (Cass. 13719 del 2006, Cass. 9690 del 2003, 18087 del 2007).

Nel caso di specie deve, innanzi tutto escludersi che la sentenza di questa Corte abbia preso posizione sulla natura funzionale od extrafunzionale delle c.d. “esternazioni” del Presidente C., poichè la stessa ha demandato tale compito al giudice di rinvio. La Corte Costituzionale con la sentenza n. 154 del 2004, ha riconosciuto che la decisione di questa Corte n. 8734 del 2000 (e con quella n. 8733 relativa alla causa F. c. C.) non aveva affatto affermato in concreto la responsabilità del Sen. C., nè aveva escluso, in concreto, che le dichiarazioni a lui addebitate potessero, in tutto o in parte, risultare coperte dalla immunità alla stregua dei criteri indicati. Le due sentenze di questa Corte si erano, infatti, limitate a fissare i principi di diritto ai quali doveva attenersi il giudice di merito in sede di rinvio.

Con la sentenza n. 154 del 2004, già richiamata, la Cor Costituzionale ha confermato che spetta alla autorità giudiziaria, investita di controversie sulla responsabilità del Presidente della Repubblica in relazione a dichiarazioni da questi rese durante il suo mandato, accertare se le dichiarazioni medesime costituiscano esercizio delle funzioni, o siano strumentali ed accessorie ad una funzione presidenziale, e solo in caso di accertamento positivo, ritenerle coperte dalla immunità del Presidente della Repubblica, di cui all’art. 90 Cost..

In particolare, con la sentenza n. 8734 del 2000, questa Corte ha enunciato i seguenti principi di diritto:

– la irresponsabilità presidenziale è collegata pur sempre ad atti funzionali e non a quelli extrafunzionali;

– il Presidente della Repubblica non può decidere in astratto quali siano le sue funzioni: esse, infatti, sono esclusivamente quelle previste dalle norme costituzionali, sia pure integrate dalle prassi applicative ad esse conformi;

– erroneamente, dunque, la sentenza della Corte d’appello romana del 12 marzo-21 aprile 1997, aveva ritenuto che “per il solo fatto della continuità del munus del Presidente della Repubblica, ogni manifestazione i pensiero della persona fisica sia anche manifestazione di pensiero del titolare dell’organo e quindi sia esercizio di funzioni, beneficiando della immunità di cui all’art. 90 Cost., comma 1”.

Il giudice di rinvio, dopo aver preso correttamente atto dei principi di diritto indicati da questa Corte, ha osservato che non rilevava, ai fini dell’accertamento della natura funzionale o extrafunzionale delle dichiarazioni del Presidente C., la circostanza della audizione dello stesso sulla vicenda (OMISSIS) nella sede del Quirinale.

1. La Corte di appello ha sottolineato che i fatti in questione risalivano all’epoca in cui il Presidente C. aveva ricoperto altre cariche (Presidente del Consiglio dei Ministri, Sottosegretario del Ministero della Difesa), pertanto il Comitato parlamentare del quale faceva parte il Sen. O. aveva ritenuto semplicemente di fare applicazione della norma di cui all’art. 205 c.p.p., secondo la quale: “La testimonianza del Presidente della Repubblica è assunta nella sede in cui egli esercita la funzione di Capo dello Stato”.

2. Non era configurabile – in ordine alle dichiarazioni rivolte al Sen. O. dal Presidente C. in occasione dell’episodio del (OMISSIS) – una qualsivoglia attività riconducibile a tipiche funzioni presidenziali ex art. 89 Cost. e neppure a quelle legittimate dalla prassi ex art. 87 (c.d. potere di esternazione).

3. Il potere di esternazione, ancorchè ulteriore rispetto alle tipiche funzioni presidenziali, perchè possa essere assistito dalla garanzia della immunità ex art. 90 Cost., deve pur presentare carattere strumentale alla attività presidenziale di stimolo o di impulso alla attuazione della Carta fondamentale, coprendo la irresponsabilità del Capo dello Stato solo gli atti, le attività e le dichiarazioni rese a causa delle funzioni o per un fine proprio delle stesse.

4. Nel caso di specie, ha sottolineato la Corte di appello, mancava – invece – qualsiasi collegamento causale e temporale tra le dichiarazioni e l’alta carica coperta dal Presidente C., considerato che la vicenda (OMISSIS) risaliva al tempo in cui quest’ultimo aveva ricoperto cariche diverse.

5. Tra l’altro, dal verbale della riunione del Comitato parlamentare per i procedimenti di accusa del Capo dello Stato del 4 gennaio 1991, non vi era traccia dell’adesione, da parte del Sen. O., alla messa in stato di accusa del Presidente C..

6. Solo il successivo (OMISSIS) (e dunque a diversi mesi di distanza dall’episodio del (OMISSIS)) il Sen. O. aveva chiesto indagini suppletive ed il (OMISSIS), infine, la messa in stato di accusa del Presidente C. per l’Operazione (OMISSIS).

7. Doveva dunque concludersi che il (OMISSIS) il Sen. O. era stato severamente redarguito dal Presidente C. “per il solo fatto di avere – all’epoca espresso la sua opposizione alla (OMISSIS), nell’assenza di un qualsivoglia legame politico- istituzionale tra la partecipazione dell'(OMISSIS) alla rete (OMISSIS) fondata sulla alleanza atlantica (NATO) e la partecipazione militare alla (OMISSIS), soltanto questa ultima disapprovata in quel periodo dal Sen. O.”.

8. Con la conseguenza che era nella stessa natura delle cose la impossibilità di configurare gli elementi propri della esternazione presidenziale, protetta dalla garanzia della immunità di cui all’art. 90 Cost., potendo la irresponsabilità del Capo dello Stato operare alla stregua dell’ordinamento solo in modo strumentale alla superiore esigenza della indipendenza della funzione.

La conclusione cui è pervenuta sul punto la Corte di appello romana sfugge a qualsiasi censura.

Esaminando, poi, la tesi subordinata della “autodifesa” del Capo dello Stato di fronte ad una offensiva provocazione del Sen. O., volta ad attaccare l’ufficio presidenziale o la persona del presidente, il giudice di rinvio ha osservato che nel comportamento tenuto dal Presidente C. il (OMISSIS) mancava anche l’elemento della “ingiustificata aggressione verso un atto compiuto dal Presidente in rappresentanza della unità nazionale a tutela della Istituzione, che ne legittimasse la tempestiva autodifesa”.

E ciò, sia perchè questa è ammessa dall’ordinamento soltanto nel caso di oggettive circostanze che ne giustifichino la immediatezza, sia perchè neppure potrebbe parlarsi di difesa non assegnata dalla Carta Costituzionale alle funzioni di altri organi”.

Anche questo accertamento sfugge a qualsiasi censura, essendo esente da vizi logici ed errori giuridici. Lo stesso risulta rispettare in pieno i principi di diritto formulati dalla decisione di questa Corte del 2000.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 21 Cost., nonchè delle norme e dei principi in tema di diritto di critica politica, violazione da parte del giudice di rinvio del principio di diritto fissato dalla Suprema Corte (art. 384 c.p.c.), insufficiente e contraddittoria motivazione.

La sentenza di questa Corte del 2000 aveva accolto il ricorso incidentale del Presidente C., ritenendo inadeguata la motivazione con la quale i giudici di appello avevano ritenuto la illiceità delle dichiarazioni rese dal Capo dello Stato, salvo poi riconoscere la irresponsabilità di quest’ultimo, ai sensi dell’art. 90 Cost..

In via del tutto subordinata, il ricorrente censura le statuizioni della sentenza di rinvio che gli avevano negato quel diritto di critica politica che spetta a qualsiasi cittadino.

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, precisa il ricorrente, la critica politica può assumere toni ben più pungenti rispetto a quelli interpersonali tra privati, può essere di parte, non deve necessariamente essere obiettiva.

Il motivo è privo di fondamento.

Ciò che determina l’abuso del diritto di critica politica è solo il palese travalicamento dei limiti della civile convivenza, mediante espressioni gratuite, non pertinenti ai temi in discussione, e quindi senza alcuna finalità di pubblico interesse, con l’uso di argomenti che, lungi dal criticare i programmi e le azioni dell’avversario, mirano soltanto ad insultarlo o ad evocarne una pretesa indegnità personale.

Il legittimo esercizio della critica politica, inteso come esimente rilevante anche ai fini della responsabilità1 civile da ingiuria e/o diffamazione, pur potendo contemplare toni aspri e di disapprovazione più pungenti ed incisivi rispetto a quelli comunemente adoperati nei rapporti interpersonali fra privati cittadini, comunque non deve trasmodare nell’attacco personale e nella pura contumelia e non deve ledere il diritto altrui all’integrità morale (Cass. n. 8734 del 2000).

Tenendo conto dei principi di diritto formulati da questa Corte nella sentenza del 2000, il giudice di rinvio ha proceduto a nuovo esame concludendo che la esternazione del 15 marzo 1991 del Presidente della Repubblica era consistita in un attacco personale nei confronti del Sen. O., gravemente ingiurioso e del tutto ingiustificato.

Si tratta di valutazione di merito, incensurabile in questa sede, in quanto ampiamente e logicamente motivata.

Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato. Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese del giudizio.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso.

Compensa le spese di questo giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2010

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