Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4324 del 23/02/2010

Cassazione civile sez. III, 23/02/2010, (ud. 25/11/2009, dep. 23/02/2010), n.4324

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NANNI Luigi Francesco – Presidente –

Dott. PETTI Giovanni Battista – Consigliere –

Dott. UCCELLA Fulvio – rel. Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 14489/2005 proposto da:

C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, CIRCONVALLAZIONE CLODIA 29, presso lo studio dell’avvocato

CASAMASSIMA GIULIA, rappresentato e difeso dagli avvocati ARMENIO

Donato, TRACQUILIO GIOVANNI con studio in 70121 BARI VIA IMBRIANI,

121;

– ricorrente –

contro

B.P. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 19, presso lo studio dell’avvocato LANIA

Aldo Lucio, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

MATARRESE FRANCESCO PAOLO con delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1147/2004 della CORTE D’APPELLO di BARI,

Sezione Seconda Civile, emessa il 26/11/2004; depositata il

22/12/2004; R.G.N. 1147/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

25/11/2009 dal Consigliere Dott. FULVIO UCCELLA;

udito l’Avvocato ALDO LUCIO LANIA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MARINELLI Vincenzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con sentenza del 20 aprile 2001 il Tribunale di Bari accoglieva parzialmente l’opposizione proposta da C.F. avverso il decreto ingiuntivo richiesto ed emesso a favore della Ditta B.P. per l’ammontare di L. 47.123.411, oltre accessori di legge per fornitura di merci effettuate dal 9 ottobre 1986 al 3 febbraio 1993.

2. – Avverso questa decisione proponeva appello il B., cui resisteva il C. e, per l’effetto, la Corte di appello riformava la sentenza di primo grado.

Contro la sentenza di appello insorge il C. con un ricorso affidato a quattro motivi.

Resiste con controricorso il B..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, che il resistente ritiene inammissibile per inottemperanza dell’art. 366 c.p.c., n. 4, in quanto difetterebbe delle ragioni per le quali vi siano violazione di legge, ed intitolato – violazione e falsa applicazione di norme di diritto – art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 1193 c.c., comma 2 – il ricorrente lamenta che l’importo di L. 161.229.351 dei crediti in contestazione erano coperti da parziale prescrizione.

Infatti, l’originario credito doveva considerarsi in parte estinto per effetto di acconti versati per L. 114.105.940 e in parte per intervenuta prescrizione.

Invece, avendo il giudice dell’appello effettuato la imputazione in base al criterio cronologico (credito più antico), si è avuta riconosciuta la prescrizione solo ai pagamenti per complessive L. 141.105.940 e non anche alla prescrizione estintiva, il tutto con illegittima lievitazione dell’importo del debito residuo insoddisfatto e, quindi, con la condanna del C. (p. 5 ricorso).

Ed, inoltre, erronea sarebbe la decisione impugnata sul punto, allorchè il giudice dell’appello ha considerato che “in forza del principio di cui all’art. 1193 c.c., comma 2, in difetto di una specifica e diversa imputazione mai fatta dall’odierno appellante – n.d.r. il B. – gli acconti in parola debbono imputarsi debiti più antichi, a decorrere da quello di cui alla ricognizione di debito, ed in quanto tali assurgono a piena dignità di comportamenti incompatibili con la volontà di disconoscere la pretesa della controparte, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2944 c.c. del vigente codice sostanziale” (p. 5 sentenza impugnata e p. 4 ricorso che ne trascrive l’argomentazione).

2. – Con il secondo motivo (omessa o insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti e rilevabile di ufficio – art. 360 c.p.c., n. 5) il ricorrente si duole che la sentenza impugnata non avrebbe esaminato i “crediti più onerosi”, onde effettuare l’imputazione dei pagamenti.

3. – Con il terzo motivo, inoltre, (violazione e falsa applicazione di norme di diritto – art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 1193 c.c., comma 2 – o quanto meno omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia – art. 360 c.p.c., n. 5) il ricorrente assume che una parte degli acconti era insuscettibile di imputazione ad almeno una parte delle forniture (p. 8 ricorso).

4. – Questi tre motivi vanno esaminati congiuntamente per la loro stretta interconnessione.

In sintesi, le censure attengono alla sentenza impugnata nella parte in cui essa ha fatto applicazione dell’art. 1193 c.c. e vanno disattese.

5. – Premesso che il primo motivo non è inammissibile, come si ricava da quanto sopra, il Collegio osserva quanto segue.

La decisione impugnata si fonda sulle seguenti ragioni:

a) la prova del credito stava nella dichiarazione di debito del 9 ottobre 1986 di oltre L. sedici milioni;

b) il versamento degli acconti per oltre L. 141 milioni non aveva interrotto la prescrizione, perchè fatto prima della dichiarazione di debito;

c) gli acconti versati si riferivano ai debiti più antichi a partire dalla data della ricognizione, così escludendo la rilevanza dell’eccezione di prescrizione del credito.

Nella specie, infatti, si trattava di stabilire se il versamento dei 141 milioni, fatto dal C., si poteva configurare come atto interruttivo della prescrizione.

In questo contesto il richiamo fatto dalla sentenza impugnata ai criteri legali di imputazione di cui all’art. 1193 c.c., è un più della motivazione.

Di vero, il ricorso ai criteri (legali) della imputazione dei pagamenti servono a riferire i singoli pagamenti al debito e questo non era richiesto di accertare.

La Corte di appello, invece, doveva risolvere il diverso problema dell’interruzione della prescrizione, che il debitore dichiarava essere avvenuta attraverso il versamento degli acconti.

Per fare ciò, la Corte di appello ha richiamato correttamente il principio che il pagamento parziale interrompe la prescrizione se fatto prima della dichiarazione di debito, essendo incompatibile con la volontà di disconoscere la pretesa del soggetto creditore (Cass. n. 4666/92; Cass. n. 6700/86).

In altri termini, non era necessario riferirsi ai vari criteri di imputazione, che inutilmente il ricorrente ha denunciato come errati, ma si doveva stabilire soltanto se i pagamenti parziali erano avvenuti prima o dopo il riconoscimento del debito fatto con la dichiarazione del 19 ottobre 1986.

Il giudice dell’appello ha accertato che il versamento era stato fatto dopo e, quindi, non interrompeva la prescrizione del debito precedente.

Infatti, il C., come era suo onere, non ha dimostrato che gli acconti erano stati versati prima della dichiarazione di debito e di questo non pare vi sia contestazione nemmeno nel ricorso (p. 5-6 ricorso).

Orbene, se è vero che l’accertamento della sussistenza del riconoscimento dell’altrui diritto, al quale l’art. 2944 c.c. ricollega l’effetto interruttivo della prescrizione, non deve concretarsi in uno strumento negoziale, cioè in una dichiarazione di volontà corrispondente diretta all’intento pratico di riconoscere il credito e può, quindi, anche essere tacito e concretarsi in un comportamento obbiettivamente incompatibile con la volontà di disconoscere la pretesa de creditore, tuttavia, non può identificarsi nel pagamento parziale che non sia accompagnato dalla precisazione della sua effettuazione in acconto (Cass. n. 11808/93).

Nel caso in esame, la dichiarazione del C. del 9 ottobre 1986, per come trascrive la sentenza impugnata – “in effetti il saldo da me dovuto al sig. B.P. in data odierna è di L. 16.371.751 giusto conteggio riportato da quaderno in mio possesso”: p. 3-4 sentenza impugnata – ha cristallizzato, per così dire, la situazione a prima del 1986, come deduce correttamente e logicamente il giudice dell’appello, che, tra più crediti onerosi, ha imputato il pagamento a quelli più antichi, prendendo atto dei documenti esibiti dal creditore (dichiarazione a firma del C. del 9 ottobre 1986 ), dai quali, diversamente da quanto attestato nella fattura n. (OMISSIS) del 1 ottobre 1986, risultava che non vi era stato il saldo del suo debito a quella data, essendo egli in realtà ancora debitore della predetta somma (p. 3 sentenza impugnata).

In sintesi, il giudice dell’appello ha ricostruito un fatto non ulteriormente sindacabile in cassazione.

Peraltro, la valutazione che il pagamento parziale implichi il riconoscimento del diritto dell’intera prestazione è rimessa al giudice di merito, senza che sia richiesta inderogabilmente l’espressa precisazione, da parte del debitore, che il pagamento è stato effettuato in acconto, potendo assumere rilievo altre circostanze anche in relazione al contesto in cui avviene il pagamento e al tipo di parzialità riscontrabile (Cass. n. 3115/03), come è accaduto nel caso in esame, ove il C. ha sempre sostenuto che “il rapporto con il B. integrava una vera e propria somministrazione di merce con acclaramento periodico dei conti e correlativo pagamento” (p. 4 sentenza impugnata) Questo principio fa sì che l’eccezione di prescrizione ex art. 2948 c.c., n. 4, non andava accolta e poichè il C., appellato- debitore, non aveva dichiarato una specifica e diversa imputazione, magari anche attraversi fatti concludenti (Cass. n. 1342/72), gli acconti andavano imputati ai crediti più antichi, a decorrere da quelli della menzionata dichiarazione.

Infatti, in tal caso, trovano applicazione i criteri legali all’uopo predisposti dall’art. 1193 c.c., comma 2, perchè scopo della norma è quello di evitare, con l’incertezza altrimenti gravante sulla sorte di tutti i rapporti debitori inter partes, che ad ogni attività di pagamento non segua puntualmente l’effetto solutorio (totale o parziale) di una ben determinata obbligazione (Cass. n. 474/75).

Ne consegue, quindi, il rigetto dei primi tre motivi e l’assorbimento del quarto (violazione e falsa applicazione di norme di diritto-art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 2948 c.c., n. 4, e all’art. 2944 c.c. e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia – art. 360 c.p.c., n. 5).

Conclusivamente il ricorso va respinto, con la condanna del ricorrente alle spese del presente giudizio di cassazione, che si liquidano, come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori, come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2010

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