Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4324 del 20/02/2020

Cassazione civile sez. I, 20/02/2020, (ud. 27/06/2019, dep. 20/02/2020), n.4324

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17961/2018 proposto da:

E.J., elettivamente domiciliato in Roma Via Muzio

Clementi 51 presso lo studio dell’avvocato Valerio Santagata che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Paola Urbinati;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei

Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale Dello Stato che lo

rappresenta e difende ex lege;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 1308/2018 del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositato

il 21/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/06/2019 dal Consigliere Dott.ssa Paola GHINOY.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Bologna rigettava la domanda proposta da E.J. volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale.

2. Il Tribunale riferiva che il ricorrente, originario del (OMISSIS), aveva dichiarato di avere lasciato il proprio paese dopo che un giorno nel 2015, mentre svolgeva l’attività di autotrasportatore, si era imbattuto in un gruppo di persone che rubavano petrolio da una condotta, ed in seguito queste stesse persone, sospettando che lui avesse collaborato con la polizia, lo avevano raggiunto a casa e qui, durante una sparatoria, era stato ucciso il padre mentre egli era fuggito ma era stato ferito. In seguito, dopo essere stato aiutato da una donna, aveva lasciato la Nigeria.

3. Riteneva che il racconto non fosse credibile: il richiedente infatti non aveva compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda, anche con riguardo alla riferita aggressione e all’uccisione del padre che si sarebbe verificata un anno prima della sua partenza, e il ricorrente aveva reso più versioni e la narrazione conteneva profili di incoerenza al proprio interno e discrasie tra quanto dichiarato alla Commissione ed anche con le informazioni generali sul paese di origine, dalle quali risulta che i furti di petrolio sarebbero avvenuti nel (OMISSIS) nel 2016, quindi in data successiva ai fatti narrati, riferiti all’aprile 2015. Nè comunque il richiedente aveva dimostrato di essersi rivolto all’autorità del proprio stato (o ad altro organismo idoneo a fornire protezione secondo la previsione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 6) e che tali enti non avessero voluto o saputo fornite adeguata tutela.

4. La scarsa credibilità del richiedente impediva ad avviso del Tribunale di riconoscere sia lo status di rifugiato sia la protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b).

5. In merito alla valutazione richiesta ai fini dell’applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, dell’art. 14, lett. c) argomentava che le informazioni attinte dall’UNHCR del 2017 e EASO del 2018 non consentono di affermare che la zona della Nigeria dalla quale proviene la richiedente, il (OMISSIS), sia interessata da fenomeni di violenza diffusa integrante i profili di un conflitto armato, essendo presente una situazione critica sia sotto il profilo della sicurezza sia sotto quello dell’emergenza umanitaria, limitata tuttavia agli stati di (OMISSIS) e alle regioni limitrofe.

6. Neppure poteva essere riconosciuta la protezione umanitaria, che richiede la sussistenza di una specifica situazione di vulnerabilità, non essendo sufficiente un contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani nel paese di provenienza, sicchè non poteva avere rilievo di per sè la raggiunta integrazione in Italia (studio della lingua italiana e percorso di formazione lavorativa).

7. Per la cassazione del decreto E.J. ha proposto ricorso, affidato a tre motivi, cui il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

8. Con il primo motivo il richiedente deduce la nullità della sentenza per error in procedendo e violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 360 c.p.c., n. 4 per non avere il tribunale pronunciato sull’eccezione d’ inammissibilità della memoria di costituzione del Ministero, che aveva depositato la memoria di costituzione oltre il termine previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 7 di 20 giorni dalla notificazione del ricorso.

9. Come secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 sul dovere di collaborazione del giudice e sulla valutazione di credibilità del richiedente, nonchè sulla coerenza con le fonti esterne. Lamenta che il Tribunale abbia violato le disposizioni citate che impongono al giudice della protezione di svolgere un ruolo attivo dell’istruzione della domanda, disancorato dal principio dispositivo proprio del giudizio civile ordinario mediante l’esercizio di poteri doveri ufficiosi di ampia indagine e acquisizione documentale tenuto conto che il richiedente, aveva fornito dichiarazioni coerenti credibili ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, comma 5. Lamenta inoltre che il Tribunale non abbia valorizzato fonti riferite al 2015, anno al quale attenevano i fatti denunciati.

10. Come terzo motivo deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 in relazione all’obbligo di assumere ufficiosamente le informazioni mancanti ai fini del riconoscimento della sussistenza del grave danno D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14. Lamenta che il Tribunale non abbia valorizzato le informazioni provenienti dai siti internazionali quali il rapporto EASO sulla sicurezza nel (OMISSIS), dai quali risulta che le forze di Polizia sono corruttibili e accusate di violazione dei diritti umani, e dunque incapaci di assicurare protezione.

11. Il primo motivo è inammissibile. Il mancato esame da parte del giudice di una questione puramente processuale (nella specie, la tardività della costituzione in giudizio del Ministero) non è suscettibile di dar luogo al vizio di omissione di pronuncia, il quale si configura esclusivamente nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito, ma può configurare un vizio della decisione per violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c. se, ed in quanto, si riveli erronea e censurabile, oltre che utilmente censurata, la soluzione implicitamente data dal giudice alla problematica prospettata dalla parte (Cass. n. 22952 del 10/11/2015, Cass. n. 321 del 12/01/2016). Nel caso, il ricorrente riferisce che il Tribunale ha dato atto in motivazione del deposito della comparsa di costituzione del Ministero, ma nulla riferisce nè lamenta in merito alle argomentazioni difensive ivi contenute che sarebbero state utilizzate ai fini della decisione. Non risulta quindi che il Tribunale abbia ritenuto ammissibile la memoria tardivamente prodotta.

12. Con riguardo al secondo e terzo motivo, occorre ribadire che la domanda diretta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. n. 19197 del 28/09/2015, n. 27336 del 29/10/2018). Il ricorso al Tribunale costituisce atto introduttivo di un giudizio civile, retto dal principio dispositivo: principio che, se nella materia della protezione internazionale viene derogato dalle speciali regole di cui al cit. D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e al D.Lgs. n. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, che prevedono particolari poteri-doveri istruttori (anche) del giudice, non trova però alcuna deroga quanto alla necessità che la domanda su cui il giudice deve pronunciarsi corrisponda a quella individuabile in base alle allegazioni dell’attore. I fatti costitutivi del diritto alla protezione internazionale devono dunque necessariamente essere indicati dal richiedente, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli in giudizio d’ufficio, secondo la regola generale. In difetto di allegazioni circa la sussistenza di ragioni tali da comportare – alla stregua della normativa sulla protezione internazionale – per il richiedente un pericolo di un grave pregiudizio alla persona, in caso di rientro in Patria, la vicenda narrata deve considerarsi di natura strettamente privata, come tale al di fuori dai presupposti per l’applicazione, sia dello status di rifugiato, sia della protezione sussidiaria, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b) (cfr. Cass. 15/02/2018, n. 3758).

13. Nel caso, il Tribunale ha ritenuto non credibile il racconto del richiedente operando una specifica valutazione basata su plurimi elementi che rivelavano la contraddittorietà e genericità di quanto riferito, privo dei sia dettagli che consentissero di ritenere veritiere le circostanza relative al lavoro svolto e alle subite aggressioni, coerente con gli oneri motivazionali e con i parametri legali di giudizio (D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 3, comma 5).

14. Le circostanze fattuali tali da determinare il pericolo di coinvolgimento in atti di persecuzione nel paese di origine avrebbero dunque dovuto essere dedotte in giudizio dall’attuale ricorrente, che però non vi ha adeguatamente provveduto, come risulta dallo stesso ricorso per cassazione, in cui si allega, al più, la compatibilità del racconto con tale situazione.

15. Nella parte in cui i motivi si sostanziano in una censura di merito all’accertamento di fatto compiuto dal Tribunale sulla non credibilità del racconto dello straniero e nella prospettazione di una diversa lettura e interpretazione delle sue dichiarazioni essi sono poi inammissibili, considerato che il vizio di motivazione rappresentato dal travisamento di fatti decisivi non è riconducibile al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e la motivazione posta a base della decisione del giudice di merito non è meramente apparente, ma si fonda su un nucleo argomentativo logico che ha evidenziato con coerenza le ragioni dell’inattendibilità della narrazione del ricorrente stesso.

16. Nè risulta utilmente censurata la motivazione nella parte in cui il giudice di merito ha valorizzato il fatto che il richiedente non avesse dedotto di essersi rivolto alle forze dell’ordine per ottenere protezione: la situazione prospettata nel ricorso in ordine alla situazione di corruzione e violazione dei diritti umani da parte delle Forze di sicurezza risale al 2010, sicchè non può ritenersi fatto decisivo ignorato dal Tribunale come assolutamente ostativo di una richiesta di protezione (che peraltro avrebbe potuto essere rivolta proprio a quelle forze di Polizia con le quali egli sosteneva che lo accusassero di avere collaborato).

17. Il Tribunale ha dunque effettuato compiutamente l’accertamento che doveva, mentre i motivi neppure fanno riferimento ad elementi fattuali decisivi di segno diverso.

18. Segue coerente il rigetto del ricorso.

19. Le spese seguono la soccombenza.

20. Non sussistono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, risultando il richiedente ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese del giudizio, liquidate in complessivi Euro 2.100,00 per compensi, oltre alle spese generali nella misura del 15 % e alle spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto dell’insussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 27 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2020

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