Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4323 del 20/02/2020

Cassazione civile sez. I, 20/02/2020, (ud. 27/06/2019, dep. 20/02/2020), n.4323

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17744/2018 proposto da:

D.M.C.P., elettivamente domiciliato in Forlì,

viale Matteotti n. 105, presso lo studio dell’avvocato Francesco

Roppo, che lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale

apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositato il

26/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/06/2019 dal Consigliere Dott.ssa Paola GHINOY PAOLA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Bologna rigettava la domanda proposta da D.M.C.P. volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale.

2. Il Tribunale riferiva che il ricorrente, originario di (OMISSIS) in (OMISSIS), aveva dichiarato di avere lasciato il proprio paese per il timore di ripercussioni da parte degli abitanti del suo quartiere, avendo egli svolto l’attività di volontario della Croce Rossa durante l’epidemia di Ebola ed essendo stato minacciato proprio in ragione delle sue mansioni (trasporto dei cadaveri dall’ospedale ai cimiteri).

3. Riteneva che il racconto non fosse credibile: il richiedente infatti non aveva compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda, e la narrazione conteneva profili di incoerenza al proprio interno e discrasie tra quanto dichiarato alla Commissione e quanto allegato in giudizio. Aggiungeva che neppure il ricorrente aveva riferito di aver cercato effettiva tutela delle forze di polizia e nell’autorità deputata a fornire protezione, e che anche a voler ritenere l’attendibilità delle dichiarazioni rese, risulta dalle informazioni relative al paese di origine che la situazione anche di conflittualità sociale relativa al periodo di diffusione del virus Ebola in (OMISSIS) è cessata con la cessazione della diffusione del virus, dichiarata senza successivi mutamenti dall’Organizzazione mondiale della sanità nel mese di giugno 2006, sicchè il timore paventato non risultava connotato dalla necessaria concretezza di attualità.

4. La scarsa credibilità del richiedente impediva ad avviso del Tribunale di riconoscere sia lo status di rifugiato sia la protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b).

5. In merito alla valutazione richiesta ai fini dell’applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) argomentava che dall’esame delle più recenti d’accreditate country of origin informations (C.O.I.), che richiamava, notava sussistesse in (OMISSIS) una difficile situazione politica e sociale, caratterizzata da scontri politici fra varie fazioni e da violazione dei diritti umani anche da parte delle autorità governative, tuttavia tale situazione non era tale da configurare una condizione di violenza indiscriminata derivante dal conflitto armato interno tale da porre in pericolo la vita o l’incolumità personale della popolazione civile per il solo fatto di soggiornarvi, non avendo oltretutto il ricorrente rappresentato peculiari fattori individualizzati di rischio.

6. Neppure poteva essere riconosciuta la protezione umanitaria, che richiede la sussistenza di una specifica situazione di vulnerabilità, non essendo sufficiente un contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani nel paese di provenienza, sicchè non poteva avere rilievo di per sè la raggiunta integrazione in Italia (svolgimento di attività lavorativa con contratti a tempo determinato e studio della lingua italiana).

7. Per la cassazione del decreto D.M.C.P. ha proposto ricorso, affidato a tre motivi, cui il Ministero dell’Interno non ha opposto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

8. Con il primo motivo il richiedente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 nonchè l’omesso esame di fatti decisivi. Lamenta che il Tribunale abbia violato le disposizioni citate che impongono al giudice della protezione di svolgere un ruolo attivo dell’istruzione della domanda, disancorato dal principio dispositivo proprio del giudizio civile ordinario mediante l’esercizio di poteri doveri ufficiosi di ampia indagine e acquisizione documentale tenuto conto che il richiedente, aveva fornito dichiarazioni coerenti credibili ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, comma 5. Lamenta inoltre che il Tribunale non abbia valorizzato il problema sanitario ancora sussistente in quell’area dell’Africa, quale risultante dal sito (OMISSIS) e dal sito del (OMISSIS) pubblicato il 6/6/2018, nonchè della corruzione all’interno delle forze dell’ordine che determina l’assenza di tutela da parte dell’autorità.

9. Come secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 14 e l’omessa valutazione di fatti decisivi e lamenta che il Tribunale non abbia qualificato la situazione della (OMISSIS) come tale da configurare una condizione di violenza indiscriminata ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c) sussistendo la situazione qualificabile come di conflitto armato interno determinante concreto pericolo di vita e grave minaccia per i cittadini.

10. Come terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 2008, art. 5, comma 6 e art. 19 e lamenta il mancato riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria alla luce della situazione di vulnerabilità denunciata e dell’incolmabile sproporzione che si determinerebbe tra il contesto di vita attuale e quella del paese di provenienza nel godimento dei diritti fondamentali.

11. Il ricorso non è fondato.

Con riguardo ai primi due motivi, occorre ribadire che la domanda diretta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. n. 19197 del 28/09/2015, n. 27336 del 29/10/2018). Il ricorso al Tribunale costituisce atto introduttivo di un giudizio civile, retto dal principio dispositivo: principio che, se nella materia della protezione internazionale viene derogato dalle speciali regole di cui al cit. D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e al D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, che prevedono particolari poteri-doveri istruttori (anche) del giudice, non trova però alcuna deroga quanto alla necessità che la domanda su cui il giudice deve pronunciarsi corrisponda a quella individuabile in base alle allegazioni dell’attore. I fatti costitutivi del diritto alla protezione internazionale devono dunque necessariamente essere indicati dal richiedente, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli in giudizio d’ufficio, secondo la regola generale. In difetto di allegazioni circa la sussistenza di ragioni tali da comportare – alla stregua della normativa sulla protezione internazionale – per il richiedente un pericolo di un grave pregiudizio alla persona, in caso di rientro in Patria, la vicenda narrata deve considerarsi di natura strettamente privata, come tale al di fuori dai presupposti per l’applicazione, sia dello status di rifugiato, sia della protezione sussidiaria, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b) (cfr. Cass. 15/02/2018, n. 3758).

12. Nel caso, il Tribunale ha ritenuto non credibile il racconto del richiedente operando una specifica valutazione basata su plurimi elementi che rivelavano la contraddittorietà e genericità di quanto riferito, privo dei sia dettagli che consentissero di ritenere veritiere le circostanza relative al lavoro svolto e alle subite aggressioni, nonchè l’assenza di tutela da parte delle forze dell’ordine, coerente con gli oneri motivazionali e con i parametri legali di giudizio (D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 3, comma 5).

13. Le circostanze fattuali tali da determinare il pericolo di coinvolgimento in atti di persecuzione nel paese di origine avrebbero dunque dovuto essere dedotte in giudizio dall’attuale ricorrente, che però non vi ha adeguatamente provveduto, come risulta dallo stesso ricorso per cassazione, in cui si allega, al più, la compatibilità del racconto con tale situazione.

14. Nella parte in si sostanziano in una censura di merito all’accertamento di fatto compiuto dal Tribunale sulla non credibilità del racconto dello straniero e nella prospettazione di una diversa lettura e interpretazione delle sue dichiarazioni i motivi sono poi inammissibili, considerato che il vizio di motivazione rappresentato dal travisamento di fatti decisivi non è riconducibile al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e la motivazione posta a base della decisione del giudice di merito non è meramente apparente, ma si fonda su un nucleo argomentativo logico che ha evidenziato con coerenza le ragioni dell’inattendibilità della narrazione del ricorrente stesso.

15. Il Giudice di merito ha correttamente tenuto ben distinto il piano della situazione personale del richiedente da quello della situazione complessiva del Paese di provenienza poichè: a) quanto al primo aspetto, con valutazione non sindacabile in questa sede, ha ritenuto che il racconto del ricorrente fosse privo di credibilità sulla base degli elementi dianzi descritti; b) quanto al secondo aspetto, ha esaminato la situazione della (OMISSIS), come evincibile da report ufficiali aggiornati puntualmente citati in motivazione, ed ha escluso l’esistenza di condizioni rilevanti ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c) sia in merito alle condizioni sanitarie relative al contagio del virus Ebola, che ha determinato anche la cessazione delle aggressioni in danno di medici e operatori della Croce rossa, sia con riferimento all’assenza di una situazione di conflitto armato e quindi di violenza indiscriminata, essendo riscontrabili solo scontri politici tra fazioni;

16. tale valutazione, compiuta sulla base della pertinente documentazione indicata, attiene al merito della controversia e si sottrae al sindacato di legittimità di questa Corte, mentre il motivo neppure fa riferimento ad elementi decisivi che sarebbero stati ignorati dal giudice di merito.

17. Infondato è poi il quarto motivo, che lamenta il mancato riconoscimento della protezione umanitaria, secondo la normativa anteriore alla modifica operata con il D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, convertito in L. n. 132 del 2018.

E’ evidente infatti che l’attendibilità e la rilevanza della narrazione dei fatti che hanno indotto lo straniero a lasciare il proprio Paese svolge un ruolo rilevante anche ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, atteso che ai fini di valutare se il richiedente abbia subito nel paese d’origine una effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili, pur partendo dalla situazione oggettiva del paese d’origine, questa deve essere necessariamente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza, secondo le allegazioni del richiedente (Cass. 4455/2018), la cui attendibilità soltanto consente l’attivazione dei poteri officiosi. La rilevanza e la inattendibilità di quanto narrato dall’istante è stata, peraltro, esclusa, nel caso di specie, per i motivi suesposti.

18. Nessuna rilevanza può, inoltre, attribuirsi di per sè al contratto lavoro e all’integrazione raggiunta in Italia, in difetto di elementi di comparazione di segno negativo, che evidenzino una compromissione dei diritti umani che attenderebbe l’immigrato in caso di ritorno in patria. Questa Corte ha chiarito (v. Cass.23/02/2018, n. 4455 e successive conformi) che il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, (nel testo operante ratione temporis) al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza.

19. Non può essere dunque riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza, atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale (Cass. 28/06/2018, n. 17072).

20. Segue coerente il rigetto del ricorso.

21. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, in assenza di attività difensiva della parte intimata.

22. Non sussistono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, risultando il richiedente ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto dell’insussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 27 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2020

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