Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4323 del 18/02/2021

Cassazione civile sez. trib., 18/02/2021, (ud. 05/11/2020, dep. 18/02/2021), n.4323

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4881/2015 R.G., proposto da:

“MERITOR HEAVY VEHICLE SYSTEMS CAMERI S.p.A.”, (già “ROCKWELL CVC

S.r.l.”), con sede in (OMISSIS) (NO), in persona dell’amministratore

delegato pro tempore, rappresentata e difesa dal Prof. Avv. Giuseppe

Maria Cipolla, con studio in Roma, ove elettivamente domiciliata,

giusta procura a mezzo di rogito redatto dal Notaio A.F. da

(OMISSIS) il (OMISSIS), rep. n. (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

l’Agenzia delle Entrate, con sede in (OMISSIS), in persona del

Direttore Generale pro tempore, rappresentata e difesa

dall’Avvocatura Generale dello Stato, ove per legge domiciliata;

– controricorrente –

avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Centrale

– Sezione di Torino il 30 dicembre 2013 n. 2489/03/2013, non

notificata;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata (mediante collegamento da remoto, ai sensi del D.L. n.

28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 9, in corso di conversione

in legge, con le modalità stabilite dal decreto reso dal Direttore

Generale dei Servizi Informativi ed Automatizzati del Ministero

della Giustizia il 2 novembre 2020) del 5 novembre 2020 dal Dott.

Giuseppe Lo Sardo.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

La “MERITOR HEAVY VEHICLE SYSTEMS (OMISSIS) S.p.A.” (già “ROCKWELL CVC S.r.l.”) ricorre per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Centrale Sezione di Torino il 30 dicembre 2013 n. 2489/03/2013, non notificata, che, in controversia su impugnazione di silenzio rifiuto su tre istanze di rimborso dell’imposta di registro corrisposta su Delib. adottate dall’assemblea straordinaria per riduzione ed aumento del capitale nominale 25 marzo 1983, Delib. 23 dicembre 1983 ed il Delib. 31 gennaio 1984, nella misura di Lire 225.889.300 per la prima, di Lire 200.861.000 per la seconda e di Lire 86.527.000 per la terza, ha respinto il ricorso proposto dalla stessa nei confronti dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria di II grado di Torino il 23 settembre 1994 n. 3834/09/1994. Il giudice di terza istanza ha confermato la decisione di appello sul presupposto che gli avvisi di liquidazione non erano stati impugnati dalla contribuente e il silenzio – rifiuto sulle istanze di rimborso non era autonomamente impugnabile secondo la disciplina vigente ratione temporis. L’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Con unico motivo, si deduce violazione del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 79, comma 1, del D.P.R. n. 26 aprile 1986, n. 131, art. 4 della Tariffa, – Parte I allegata, nota II, e della Dir. del Consiglio delle Comunità Europee 17 luglio 1969, n. 69/335/CEE, art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver denegato il rimborso dell’imposta di registro non dovuta in forza della normativa comunitaria e della normativa interna sopravvenuta.

RITENUTO CHE:

1. Il motivo è infondato.

1.1 La ricorrente pretende il rimborso dell’imposta proporzionale di registro versata in relazione a tre deliberazioni adottate dall’assemblea straordinaria per riduzione ed aumento del capitale nominale sulla base della Dir. del Consiglio delle Comunità Europee 17 luglio 1969, n. 69/335/CEE, art. 7, e del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, art. 79, comma 1.

1.2 La Dir. del Consiglio delle Comunità Europee 17 luglio 1969, n. 69/335/CEE, art. 7, par. 3, (in materia di imposte indirette sulla raccolta di capitali), aveva sancito che, nel caso di aumento del capitale sociale a seguito di riduzione del capitale per perdite, l’aliquota dell’imposta sui conferimenti potesse essere ridotta per la parte dell’aumento corrispondente alla riduzione del capitale, semprechè detto aumento avvenisse nei quattro anni successivi alla riduzione del capitale.

Tale disposizione è stata novellata dalla Dir. del Consiglio delle Comunità Europee 10 giugno 1985, n. 85/303/CEE, art. 1, par. 2, la quale ha disposto che l’aumento del capitale di una società di capitali, che faccia seguito ad una riduzione del capitale per perdite, può essere esentato dall’imposta sui conferimenti per la parte corrispondente alla riduzione del capitale, semprechè detto aumento avvenga nei quattro anni successivi alla riduzione del capitale.

Recependo tale direttiva, il D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, art. 4 della Tariffa, Parte I allegata, nota II, ha stabilito che: “In caso di riduzione del capitale per perdite non sono soggetti all’imposta, fino a concorrenza dell’ammontare della riduzione, i conferimenti in denaro relativi all’aumento di capitale contemporaneamente deliberato”.

Al contempo, il D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 79, comma 1, seconda parte, ha previsto che: “Le disposizioni più favorevoli ai contribuenti, compresa quella dell’art. 52, comma 4, hanno effetto anche per gli atti, scritture e denunce anteriori relativamente ai quali alla data di entrata in vigore del presente testo unico sia pendente controversia o non sia ancora decorso il termine di decadenza dell’azione della finanza, fermi restando gli accertamenti di maggior valore già divenuti definitivi, ma al rimborso di imposte già pagate si fa luogo soltanto nei casi in cui alla predetta data sia pendente controversia o sia stata presentata domanda di rimborso”.

1.3 Nella specie, le istanze di rimborso erano state presentate dalla contribuente il 28 giugno 1986, e quindi prima dell’entrata in vigore del T.U. sull’imposta di registro che il D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 81, aveva fissato per l’1 luglio 1986.

Tuttavia, secondo l’amministrazione finanziaria, il citato D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 79, comma 1, seconda parte, aveva consentito il rimborso dell’imposta di registro a condizione che, in caso di emanazione di atto impositivo (avviso di accertamento o di liquidazione), fosse pendente, alla data dell’1 luglio 1986, controversia dinanzi al giudice tributario, ovvero, in caso di riscossione dell’imposta di registro mediante versamento diretto o, comunque, in carenza di atto impositivo, fosse stata presentata tempestiva domanda di restituzione entro l’1 luglio 1986. Per cui, il rimborso non sarebbe consentito in caso di acquiescenza del contribuente all’atto impositivo.

1.4 Secondo l’orientamento consolidato di questa Corte, in tema di imposta di registro, la mancata tempestiva impugnazione dell’avviso di liquidazione (atto autonomamente impugnabile del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, ex art. 16, come modificato dal D.P.R. 3 novembre 1981, n. 739, art. 7 -, applicabile nella fattispecie ratione temporis, ed ora del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ex art. 19), lo rende irretrattabile e preclude, da un lato, la possibilità per il contribuente di far valere, attraverso un’istanza di rimborso, il carattere indebito del versamento relativo, e, dall’altro, la ricorrenza delle condizioni (pendenza di controversia o avvenuta presentazione di domanda di rimborso alla data dell’1 luglio 1986) per il diritto al rimborso previste dalla norma transitoria di cui al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 79, comma 1, (ex plurimis: Cass., Sez. 5A, 18 ottobre 2004, n. 20392; Cass., Sez. 5A, 11 febbraio 2011, n. 3346; Cass., Sez. 6, 2 luglio 2014, n. 15008; Cass., Sez. 6A, 13 novembre 2014, n. 24239).

Più specificamente, si è detto che, in tema di imposta di registro, del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 79, comma 1, parte seconda, nella parte in cui prevede (dopo aver disposto l’efficacia retroattiva delle disposizioni più favorevoli ai contribuenti, alla generale condizione che, alla data di entrata in vigore del testo unico, penda la relativa controversia) che “(…) al rimborso di imposte già pagate si fa luogo soltanto nei casi in cui alla predetta data sia pendente controversia o sia stata presentata domanda di rimborso”, deve essere inteso nel senso che al rimborso della imposta di registro già pagata si fa luogo a condizione che, nel caso in cui il pagamento sia stato preceduto da un provvedimento impositivo ritualmente notificato al contribuente (avviso di accertamento o di liquidazione), sia pendente, alla data dell’1 luglio 1986, controversia sul relativo rapporto tributario, e, quindi, il provvedimento stesso sia stato tempestivamente impugnato (D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 16); nel caso invece, in cui l’imposta di registro sia stata riscossa mediante versamento diretto o sia stata, comunque, pagata in mancanza di provvedimento di imposizione, sia stata tempestivamente presentata, entro il 1 luglio 1986, domanda di restituzione dell’imposta stessa (in termini: Cass., Sez. 1, 13 marzo 1998, n. 2733; Cass., Sez. 5, 10 luglio 2003, n. 10895; Cass., Sez. 5, 23 giugno 2010, n. 15191). Ed il riferimento alla tempestività dell’istanza di rimborso non può che essere inteso, in applicazione del generale principio della irretrattabilità dei rapporti esauriti, come rispetto non solo del termine dell’1 luglio 1986, data di entrata in vigore del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, ma anche del termine triennale di decadenza dalla data del pagamento ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 75 (Cass., Sez. 5, 29 marzo 2004, n. 6245).

1.5 Peraltro, posto che nella fattispecie si deve considerare ratione temporis il testo originario della Dir. del Consiglio delle Comunità Europee 17 luglio 1969, n. 69/335/CEE, art. 7, par. 3, (in relazione all’epoca delle plurime operazioni sul capitale: 25 marzo 1983, 23 dicembre 1983 e 31 gennaio 1984), il quale riconosceva la riduzione e non l’esenzione dall’imposta sui conferimenti, il rimborso non può essere altrimenti conseguito sotto il profilo della prevalenza della norma comunitaria sulla norma interna (incompatibile).

Invero, il contribuente che, in esecuzione di una norma interna, ha effettuato il versamento di un’imposta ritenuta contrastante con il diritto comunitario, ha la possibilità di chiedere il rimborso di quanto abbia indebitamente pagato anche prima che la direttiva comunitaria sia stata recepita dallo Stato, e comunque a prescindere da tale recepimento, sempre che – è appena il caso di ribadirlo – la direttiva sia precisa ed incondizionata (Cass., Sez. 1, 17 settembre 2004, n. 18276; Cass., Sez. 5, 1 marzo 2005, n. 4315).

Nè può revocarsi in dubbio che le disposizioni della Dir. del Consiglio delle Comunità Europee 17 luglio 1969, n. 69/335/CEE, per la completezza della formulazione, siano direttamente ed immediatamente applicabili nell’ordinamento nazionale (Cass., Sez. 5, 11 novembre 2003, n. 16876; Cass., Sez. 5, 18 marzo 2004, n. 5480; Cass., Sez. 5, 23 luglio 2004, n. 13849).

Ne discende, alla stregua dei rilievi che precedono, che il contribuente – in applicazione di detta direttiva comunitaria ben può chiedere al giudice nazionale – nel concorso di tutte le condizioni di fatto e di diritto richieste per l’applicazione dell’esenzione o della riduzione dell’imposta, ai sensi della Dir. del Consiglio delle Comunità Europee 17 luglio 1969, n. 69/335/CEE, art. 7, – la restituzione delle somme già pagate in relazione all’imposta di registro, con l’azione di ripetizione nel termine triennale di decadenza del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, ex art. 75, (Cass., Sez. 5, 11 novembre 2003, n. 16876).

Tuttavia, secondo l’interpretazione di questa Corte, il contribuente che non abbia tempestivamente impugnato l’avviso di liquidazione dell’imposta di registro non ha diritto al rimborso anche se la normativa interna applicata sia in contrasto con una norma comunitaria. Infatti, detta situazione di contrasto fra norma interna e norma comunitaria e la prevalenza di questa rispetto a quella non comportano il venir meno del sistema del contenzioso tributario e dei suoi termini e la sostituzione, quindi, della disciplina generale della ripetizione dell’indebito e della relativa prescrizione decennale alle specifiche decadenze che caratterizzano sia la domanda di restituzione dell’imposta indebitamente pagata, sia l’impugnativa del provvedimento di imposizione (in termini: Cass., Sez. Un., 21 giugno 1996, n. 5731).

1.6 In conclusione, non traducendosi la disapplicazione per contrasto con il diritto comunitario in situazione di carenza in astratto del potere impositivo e, comunque, non incidendo tale categoria – ove configurabile nell’area in esame – sulle modalità procedimentali e sui termini del contenzioso tributario, non resta che ritenere che la Commissione Tributaria Centrale, preso atto della mancata impugnazione degli avvisi di liquidazione dell’imposta di registro, abbia correttamente escluso la possibilità di mettere in discussione, prima ancora della rimborsabilità, la debenza stessa del tributo.

1.7 Vale quanto dire che l’obbligazione tributaria si è ormai cristallizzata e che, perciò, non può considerarsi pendente la relativa controversia, per cui non può trovare applicazione ex tunc il D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, art. 4 della Tariffa, – Parte I allegata, nota II, che ha esentato dall’imposta di registro le contestuali deliberazioni di riduzione ed aumento del capitale per l’ammontare corrispondente con effetto anche per le situazioni non ancora definite. In tal senso si è correttamente espressa la Commissione Tributaria Centrale, la cui pronuncia, pertanto, non merita, neppure sotto questo aspetto, censura.

2. Stante l’infondatezza del motivo dedotto, il ricorso deve essere rigettato.

3. Le spese giudiziali seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

4. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alla rifusione delle spese giudiziali in favore della controricorrente, che liquida nella somma complessiva di Euro 4.500,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito; dà atto dell’obbligo, a carico della ricorrente, di pagare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale effettuata da remoto, il 5 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2021

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