Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4321 del 22/02/2018


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 4321 Anno 2018
Presidente: MATERA LINA
Relatore: FEDERICO GUIDO

SENTENZA

sul ricorso 24721-2013 proposto da:
PIERANI GIORGIO, elettivamente domiciliato in ROMA,
CORSO VITTORIO EMANUELE II 173, presso lo studio
dell’avvocato STEFANO SPINELLI, rappresentato e difeso
dall’avvocato ANTONIO COLELLA;
– ricorrente contro

BORDONI

ERNESTA,

ZANCHI

MASSIMO,

elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA G. FERRARI, 11, presso lo
studio dell’avvocato MASSIMO VALENZA, rappresentati e
difesi dall’avvocato ALESSANDRO FABBRI;
– controricorrenti –

Data pubblicazione: 22/02/2018

avverso la sentenza n. 1249/2012 della CORTE D’APPELLO
di BOLOGNA, depositata il 03/09/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 06/12/2017 dal Consigliere GUIDO FEDERICO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

del ricorso;
udito l’Avvocato GIAN LUCA MARUCCHI, con delega orale
dell’Avvocato FABBRI ALESSANDRO, che ha chiesto il
rigetto del ricorso.

Generale LUIGI SALVATO che ha concluso per il rigetto

Esposizione del fatto
Con citazione notificata il 27 febbraio 2001 Massimo Zanchi ed Ernesta
Bordoni, premesso di aver acquistato da Giorgio Pierani, con atto

stipulato 1’8.6.1998, un immobile sito in San Giovanni in Marignano,
edificato dal Pierani in regime di edilizia convenzionata, giusta
Convenzione con detto Comune del 27.11.1997, convenivano
quest’ultimo innanzi al Tribunale di Rimini per sentir dichiarare la nullità
della clausola, avente ad oggetto la determinazione del prezzo, attesa la
natura imperativa delle disposizioni richiamate nella convenzione e la
conseguente condanna del convenuto alla restituzione delle somme
versate in eccesso.
Chiedevano inoltre la restituzione della somma di lire 11.000.000, quale
importo residuo del contributo erogato dalla regione Emilia-Romagna a
titolo di “buono casa”, corrispondente alla detrazione del contributo
complessivamente riconosciuto (lire 36.000.000) e la quota già
computata in conto prezzo (lire 25.000.000).
Il convenuto, costituitosi, contestava il fondamento della domanda ,
deducendo che l’importo pattuito per la vendita, pari a lire 228.000.000,
come da contratto preliminare del 24.7.1997, era comprensivo di lire

33.000.000, a titolo di corrispettivo per i lavori aggiuntivi espressamente
indicati e descritti nel preliminare su menzionato, lavori che, per espressa
disposizione della convenzione, non potevano essere computati nel
prezzo di cessione dell’alloggio, che era pertanto pari a lire 195.000.000.
Deduceva di aver rispettato il prezzo massimo di cessione dell’immobile
stabilito nella Convenzione, considerato il prezzo unitario ivi stabilito e
la clausola dell’art. 10 della Convenzione che consentiva una variazione

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in aumento del corrispettivo fino ad un massimo dell’8% del prezzo di
cessione.
Il Tribunale di Rimini, dichiarata la simulazione relativa del prezzo di

vendita dell’immobile, condannava il Pierani a rimborsare allo Zanchi
l’importo di 18.713,23 €, a titolo di differenza rispetto al prezzo
effettivamente versato, nonché 5.681,03 €, quale importo residuo del
contributo erogato dalla Regione Emilia-Romagna, oltre ad interessi
legali e rivalutazione monetaria.
Dichiarava la carenza di legittimazione attiva della Bordoni e ne
rigettava pertanto la domanda.
La Corte d’Appello di Bologna , in parziale riforma della sentenza di
primo grado, condannava il Pierani a corrispondere, sulla somma di
rispettivamente, 18.713,23 € e di 5.681,03 €, i soli interessi legali.
La Corte territoriale, in particolare, rilevato che non risultava contestata
la corresponsione della somma di lire 209.000.000, comprensiva di lire
6.400.000 a titolo di iva, e l’incasso di lire 25.000.000 quale parte del
contributo erogato dalla Regione, confermava la determinazione del
giudice di primo grado ed affermava altresì che il Pierani, il quale aveva
ricevuto dalla Bordoni l’ulteriore importo di lire 18.000.000 per
l’esecuzione di lavori aggiuntivi, non aveva titolo per trattenere, neppure
parzialmente, la somma di lire 11.000.000, residuo del contributo erogato
dalla Regione.
Riteneva del pari infondata la giustificazione di aver trattenuto la somma
quale compenso per l’esecuzione del mandato a curare la pratica per
l’erogazione del contributo regionale, rilevando che il suddetto mandato
non risultava provato; non poteva inoltre ritenersi provato che tale

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somma costituisse il corrispettivo di un contratto di mutuo: non risultava
che le parti avessero pattuito alcun tasso di interesse, ed in ogni caso
l’eventuale tasso praticato, considerati gli importi in contestazione,

avrebbe avuto carattere usurario, ex art. 1815 comma 2 c.c.
Per la cassazione di detta sentenza ha proposto ricorso il Pierani con
quattro motivi.
Zanchi Massimo e Bordoni Ernesta hanno resistito con controricorso.
Il ricorrente ha altresì depositato memorie illustrative ex art. 378 cpc.
Motivi della decisione
Il primo motivo denuncia l’omessa , insufficiente o contraddittoria
motivazione circa l’applicazione dell’ art. 1 O ult. comma della
Convenzione per la cessione in proprietà di aree destinate ad edilizia
residenziale, di tipo economico e popolare.
Il motivo è infondato.
La Corte territoriale ha infatti accertato, con congruo apprezzamento di
merito, che i lavori extra capitolato indicati in contratto per un
ammontare di lire 33.000.000 e compresi nel corrispettivo di lire
228.000.000, in realtà non furono mai realizzati, evidenziando che si
trattava di finiture la cui esecuzione era stata curata direttamente
dall’acquirente o di modifiche non apprezzabili o ininfluenti.
Del pari infondata l’ulteriore censura sul prezzo di convenzione.
Il giudice di merito ha infatti determinato, con adeguato apprezzamento,
il prezzo in lire 191.613.009 invece che nel diverso ammontare indicato
nel supplemento di ctu, sulla base della somma delle singole voci non
contestate, affermando specificamente che non doveva essere presa in
considerazione la somma di lire 2.000.000, in quanto corrispondente alle

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addizioni effettuate dal costruttore ad un vano posto al piano
seminterrato, relativa a domanda proposta tardivamente.
Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione a falsa applicazione

dell’art. 2697 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuto provato che il
Pierani avesse incassato la complessiva somma di lire 228.000.000.
Il motivo è inammissibile.
Secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, infatti, l’esame dei
documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione
dei documenti e delle risultanze della prova documentale, ed in generale
la valutazione del materiale istruttorio, e la scelta tra le varie risultanze
probatorie di quelle ritenute maggiormente idonee a sorreggere la
motivazione involgono apprezzamenti di fatto, riservati al giudice di
merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte
di prova con esclusione di altre non incontra altro limite che quello di
indicare le ragioni del proprio convincimento(Cass. 22391/2012).
La Corte ha analiticamente e compiutamente valutato le risultanze
istruttorie e, con adeguato apprezzamento di fatto, ha ritenuto provato
l’incasso della somma da parte dell’odierno ricorrente.
Il terzo motivo

denuncia violazione dell’art. 1709 c.c., nonché

contraddittoria, insufficiente o omessa motivazione in relazione alla
statuizione dell’impugnata sentenza che ha ritenuto che non risultasse
provato il conferimento di mandato al Pierani, al fine dell’espletamento
di tute le pratiche volte ad ottenere l’erogazione del contributo da parte
della Regione; il ricorrente censura altresì il mancato riconoscimento del
credito, corrispondente agli interessi maturati sull’importo di lire

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25.000.000, anticipati dal Pierani in favore dello Zanchi, nonchè dei
crediti vantati per l’esecuzione di lavori aggiuntivi.
Pure tale motivo, che si articola in una pluralità di censure, non ha

fondamento.
Avuto riguardo alla dedotta violazione dell’art. 1709 c.c. la stessa è
inammissibile, in quanto, nonostante la rubrica, si risolve, di fatto, nella
sollecitazione ad una diversa valutazione delle risultanze istruttorie,
incompatibile con il presente giudizio.
La Corte territoriale ha specificamente valutato le risultanze istruttorie e,
segnatamente le dichiarazioni del teste Fallavolta Tiziana, evidenziando
l’inidonietà delle dichiarazioni suddette, in quanto riferite genericamente
ai rapporti tra impresa e clientela, ma ha ritenuto, con adeguato
apprezzamento di fatto, la mancata prova della stessa conclusione di un
contrato di mandato.
La deduzione di onerosità del mandato non coglie dunque la ratio della
pronuncia, che ha affermato, a monte, la mancata prova della stessa
conclusione del mandato, allegando, ad ulteriore conferma dell’assunto,
che non risultava provata neppure la determinazione del relativo
corrispettivo.
Del pari infondata la censura sulla mancata considerazione della natura
onerosa del contratto di mutuo.
Anche in questo caso, la doglianza non coglie la ratio della pronuncia.
La Corte territoriale ha infatti accertato che non poteva ritenersi provata
la conclusione di un contratto di mutuo, non risultando tra l’altro neppure
dimostrata la determinazione di alcun tasso di interesse.

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Ha dunque escluso che l’importo di lire 11.000.000, tra l’altro

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corrispondente ad un tasso usurario con la conseguente applicabilità della
sanzione di cui al’art. 1815 comma 2 c.c., potesse ritenersi

legittimamente trattenuto per compensare gli interessi sulla somma
corrispondente al contributo regionale.
Tale ulteriore autonoma ratio della statuizione non risulta censurata.
Il giudice di appello ha infine escluso, sulla base della complessiva
valutazione delle risultanze istruttorie ad esso demandata, che il credito
per lavori aggiuntivi dell’odierno ricorrente dovesse considerarsi
adempiuto mediante versamento della somma di lire 18.000.000.
Non appare inoltre ravvisabile la tardività della deduzione, atteso che il
pagamento di tale somma risulta già allegata in atto di citazione e ribadita
nella memoria ex art. 183 cpc.
Il quarto motivo denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 5
comma 4 della T.P. forense, per avere la sentenza impugnata compensato
le spese di giudizio tra il Pierani e la signora Bordoni, ancorchè vi fosse
totale soccombenza di quest’ultima.
Pure tale censura è inammissibile, in quanto non coglie la ratio della
pronuncia.
La Corte territoriale non ha applicato l’art. 5 comma 4 T.P.forense, ma ha
ritenuto di disporre l’integrale compensazione delle spese nei rapporti tra
la Bordoni e l’odierno ricorrente, sulla base del rilievo che la Bordoni e
lo Zanchi erano stati unitariamente rappresentati in giudizio dall’unico
difensore onde la presenza in giudizio della stessa non ha di fatto inciso
sulla materia del contendere.

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Nonostante il difetto di legittimazione passiva della stessa, ha dunque
ritenuto, con statuizione che non risulta censurata sotto il profilo della
adeguatezza motivazionale ( ex art. 360 n.5 cpc) , che sussistessero i

presupposti per disporre l’integrale compensazione delle spese del
giudizio nei confronti dell’odierno ricorrente.
Orbene, premessa l’applicabilità al caso di specie dell’art. 92 cpc nella
formulazione anteriore alla modifiche derivanti dalla 1. 51/2006, dall’art.
45 1. n. 69/2009 e dall’art. 13 comma 1 DI. 132/2014 conv. con
modificazioni dalla 1.162/2014, si osserva che, in tema di spese
processuali, il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360,
comma 1, n. 3 c.p.c., è limitato ad accertare che non risulti violato il
principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico
della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere
discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di
compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca
che in quella di concorso di altri giusti motivi (Cass. 8421/2017).
Il ricorso va dunque respinto e le spese, regolate secondo soccombenza,
si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater Dpr 115 del 2002 sussistono i
presupposti per il versamento, da parte della ricorrente (pfincipale
dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello
dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art.
13.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

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Condanna il ricorrente alla refusione delle spese del presente giudizio,
che liquida in complessivi 4.200,00 € , di cui 200,00 € per rimborso spese

accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater Dpr 115 del 2002 dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente
-.
principale,
dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a
_
quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello
stesso art. 13.
Così deciso in Roma il 6 dicembre 2017
. Est.

Il Presidente

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onario Giudizigith
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DEPOSITATO IN CANCELLERIA

Roma, 22 FEB. 2013

vive, oltre a rimborso forfettario per spese generali, in misura del 15% ed

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