Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4321 del 20/02/2020

Cassazione civile sez. I, 20/02/2020, (ud. 27/06/2019, dep. 20/02/2020), n.4321

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13804/2018 proposto da:

E.C., elettivamente domiciliato in Roma Piazza Don G.

Minzoni, 9 presso lo studio dell’avvocato Riccardo Luponio che lo

rappresenta e difende in virtù di procura speciale apposta in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DEGLI INTERNI;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositato il

07/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/06/2019 dal Consigliere Dott.ssa Paola GHINOY.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Bologna rigettava la domanda proposta da E.C. volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale.

2. Il Tribunale riferiva che il ricorrente, originario del (OMISSIS), aveva dichiarato di avere abbandonato il suo Paese a causa dell’odio dello zio nei suoi confronti, lasciando dapprima il villaggio dove viveva e successivamente andando via dalla stessa (OMISSIS) per timore di essere raggiunto dagli stessi uomini che lo volevano uccidere. Riferiva in particolare che alla morte del padre lo zio materno aveva dapprima cercato di ottenere senza violenza dal ricorrente e dal fratello un terreno lasciato in eredità; al loro rifiuto era passato alle minacce e alla violenza vera e propria, dapprima distruggendo il raccolto e minacciando di morte due fratelli, ed infine uccidendo il fratello e dando la caccia al ricorrente (nel frattempo nascostosi) per mezzo di alcuni sicari. Il ricorrente apprendeva dalle stesse conversazioni dei sicari che il mandante era lo zio materno.

3. Riteneva che il racconto non fosse credibile: il richiedente infatti non aveva compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda, e la narrazione conteneva profili di incoerenza al proprio interno e discrasie tra quanto dichiarato alla Commissione e quanto riferito al Tribunale.

4. La scarsa credibilità del richiedente impediva ad avviso del Tribunale di riconoscere sia lo status di rifugiato sia la protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b). Anche dando per ammesse le riferite minacce di morte di attentato all’integrità fisica provenienti dallo zio del ricorrente alle previsioni di cui all’art. 14 citato, lett. a) e b) tuttavia il ricorrente avrebbe dovuto dimostrare di aver richiesto la protezione al proprio stato o ad altro organismo deputato a fornire tutela ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 6 e che tali enti non avessero voluto o potuto prestare adeguata protezione, mentre secondo quanto da lui stesso dichiarato non si era neppure rivolto alle forze di polizia nè aveva cercato tutela. Aggiungeva che anche il pericolo prospettato non può ritenersi effettivo, avendo il ricorrente ormai lasciato (abbandonandolo e così manifestando di non avere interesse rivendicarlo) il terreno oggetto di contestazione e causa, secondo quanto da lui prospettato, della violenta reazione dello zio.

5. In merito alla valutazione richiesta ai fini dell’applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) argomentava che dall’esame delle più recenti d’accreditate country of origin informations (C.O.I.) non era ravvisabile una situazione di conflitto armato costituente minaccia per l’individuo, posto che le informazioni attinte dall’UNHCR del 2017 e EASO del 2018 non consentono di affermare che la zona della (OMISSIS) dalla quale proviene la richiedente, il (OMISSIS), sia interessata da fenomeni di violenza diffusa integrante i profili di un conflitto armato, essendo presente una situazione critica sia sotto il profilo della sicurezza sia sotto quello dell’emergenza umanitaria, limitata tuttavia agli stati di (OMISSIS) e alle regioni limitrofe.

6. Neppure poteva essere riconosciuta la protezione umanitaria, che richiede la sussistenza di una specifica situazione di vulnerabilità, non essendo sufficiente un contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani nel paese di provenienza, sicchè non poteva avere rilievo di per sè la raggiunta integrazione in Italia (svolgimento di attività lavorativa per brevi e limitati periodo e studio della lingua italiana).

7. Per la cassazione del decreto E.C. ha proposto ricorso, affidato a quattro motivi; il Ministero dell’Interno ha depositato atto di costituzione al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

8. Con il primo motivo il richiedente deduce l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, con riferimento alla reale situazione delle faide familiari in (OMISSIS).

9.Con il secondo motivo lamenta la violazione dell’applicazione delle norme in tema di protezione internazionale con riferimento al quadro complessivo di sicurezza estremamente critico e in continua evoluzione anche nel (OMISSIS).

10. Come terzo motivo deduce la violazione ed errata applicazione delle norme in materia di protezione sussidiaria in merito alla situazione di conflitto armato ed alle faide familiari in (OMISSIS).

11. Come quarto motivo deduce la violazione ed errata applicazione delle norme di diritto in materia di protezione umanitaria e sostiene che la grave ed oggettiva situazione personale delle richiedente valutata comparativamente al contratto di lavoro reperito presso l’albergo (OMISSIS) dovrebbe determinarne il riconoscimento.

12. Il ricorso non è fondato.

Con riguardo a tutti i motivi, occorre ribadire che la domanda diretta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. n. 19197 del 28/09/2015, n. 27336 del 29/10/2018). Il ricorso al Tribunale costituisce atto introduttivo di un giudizio civile, retto dal principio dispositivo: principio che, se nella materia della protezione internazionale viene derogato dalle speciali regole di cui al cit. D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e al D.Lgs. n. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, che prevedono particolari poteri-doveri istruttori (anche) del giudice, non trova però alcuna deroga quanto alla necessità che la domanda su cui il giudice deve pronunciarsi corrisponda a quella individuabile in base alle allegazioni dell’attore. I fatti costitutivi del diritto alla protezione internazionale devono dunque necessariamente essere indicati dal richiedente, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli in giudizio d’ufficio, secondo la regola generale. In difetto di allegazioni circa la sussistenza di ragioni tali da comportare – alla stregua della normativa sulla protezione internazionale – per il richiedente un pericolo di un grave pregiudizio alla persona, in caso di rientro in Patria, la vicenda narrata deve considerarsi di natura strettamente privata, come tale al di fuori dai presupposti per l’applicazione, sia dello status di rifugiato, sia della protezione sussidiaria, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b) (cfr. Cass. 15/02/2018, n. 3758).

13. Nel caso, il Tribunale ha ritenuto non credibile il racconto del richiedente operando una specifica valutazione basata su plurimi elementi che rivelavano la contraddittorietà e genericità di quanto riferito, privo dei dettagli che consentissero di ritenere veritiere le circostanza relative alla stessa esistenza di una faida familiare per la proprietà dei terreni, nonchè l’assenza di tutela da parte delle forze dell’ordine, coerente con gli oneri motivazionali e con i parametri legali di giudizio (D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 3, comma 5). Ha inoltre ritenuto che la situazione descritta fosse priva di attualità, in considerazione del fatto che il richiedente, allontanandosi dal territorio, ha fatto venir meno il possesso del terreno che determinava il conflitto secondo la sua prospettazione.

14. Le circostanze fattuali tali da determinare il pericolo di coinvolgimento in atti di persecuzione nel paese di origine avrebbero dunque dovuto essere dedotto in giudizio dall’attuale ricorrente, che però non vi ha adeguatamente provveduto, come risulta dallo stesso ricorso per cassazione, in cui si allega, al più, la compatibilità del racconto con tale situazione.

15. Nella parte in cui si sostanziano in una censura di merito all’accertamento di fatto compiuto dal Tribunale sulla non credibilità del racconto dello straniero e nella prospettazione di una diversa lettura e interpretazione delle sue dichiarazioni i motivi sono poi inammissibili, considerato che il vizio di motivazione rappresentato dal travisamento di fatti decisivi non è riconducibile al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e la motivazione posta a base della decisione del giudice di merito non è meramente apparente, ma si fonda su un nucleo argomentativo logico che ha evidenziato con coerenza le ragioni dell’inattendibilità della narrazione del ricorrente stesso.

16. Nel caso, il Giudice di merito ha correttamente tenuto ben distinto il piano della situazione personale del richiedente da quello della situazione complessiva del Paese di provenienza poichè: a) quanto al primo aspetto, con valutazione non sindacabile in questa sede, ha ritenuto che il racconto del ricorrente fosse privo di credibilità sulla base degli elementi dianzi descritti; b) quanto al secondo aspetto, ha esaminato la situazione del (OMISSIS), come evincibile da report ufficiali aggiornati puntualmente citati in motivazione, ed ha escluso l’esistenza di condizioni rilevanti ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

17. Tale valutazione, compiuta sulla base della pertinente documentazione indicata, attiene al merito della controversia e si sottrae al sindacato di legittimità di questa Corte, mentre il motivo neppure fa riferimento a fatti decisivi di segno diverso.

18. Quanto al quarto motivo, è evidente che l’attendibilità e la rilevanza della narrazione dei fatti che hanno indotto lo straniero a lasciare il proprio Paese svolge un ruolo rilevante anche ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, atteso che ai fini di valutare se il richiedente abbia subito nel paese d’origine una effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili, pur partendo dalla situazione oggettiva del paese d’origine, questa deve essere necessariamente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza, secondo le allegazioni del richiedente (Cass. 4455/2018), la cui attendibilità soltanto consente l’attivazione dei poteri officiosi. La rilevanza e l’attendibilità di quanto narrato dall’istante sono state, peraltro, escluse, nel caso di specie, per i motivi suesposti.

19. Nessuna rilevanza può, inoltre, attribuirsi di per sè al percorso di integrazione in Italia, in difetto di elementi di comparazione di segno negativo, che evidenzino una compromissione dei diritti umani che attenderebbe l’immigrato in caso di ritorno in patria. Questa Corte ha infatti chiarito (v. Cass.23/02/2018, n. 4455 e successive conformi) che il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza.

20. Non può essere dunque riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza, atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale (Cass. 28/06/2018, n. 17072).

21. Segue coerente il rigetto del ricorso.

22. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, in assenza di attività difensiva del Ministero.

23. Non sussistono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, risultando il richiedente ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto dell’insussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 27 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2020

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