Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4320 del 20/02/2020

Cassazione civile sez. I, 20/02/2020, (ud. 27/06/2019, dep. 20/02/2020), n.4320

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12434/2018 proposto da:

A.Z., elettivamente domiciliato Piacenza, viale Abbadia n. 8,

presso l’avv. Anna Maria Galimberti che lo rappresenta e difende in

virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Commissione Territoriale Riconoscimento Protezione Internazionale

Bologna;

– intimato –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei

Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale Dello Stato che lo

rappresenta e difende ex lege;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositato il

01/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/06/2019 dal Consigliere Dott.ssa Paola GHINOY.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Bologna rigettava la domanda proposta da A.Z., proveniente dal (OMISSIS), volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale.

2. Il Tribunale riferiva che il richiedente aveva raccontato di avere lasciato il (OMISSIS) perchè temeva che se avesse fatto ritorno nel suo paese i familiari della sua ragazza, con la quale aveva iniziato una relazione sin dal 2012 e che era di una classe sociale superiore alla sua, avrebbero cercato vendetta e l’avrebbero ucciso, anche perchè la Polizia non aveva fatto nulla per proteggerlo avendo da loro accettato dei soldi.

3. Il Tribunale riteneva la narrazione non credibile, in quanto il richiedente non aveva compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda, difettando particolari in ordine alla durata alla natura le modalità di svolgimento della relazione, non essendo altresì prodotti documenti d’identità nè documentazione sanitaria relativa al ricovero ospedaliero del padre, nè copia del certificato di morte di quest’ultimo, nè delle denunce asseritamente sporte contro gli aggressori; inoltre, la trattazione appariva in contrasto con la condizione femminile del (OMISSIS) che rendeva improbabile che una giovane avesse libertà di movimento ed autonomia anche nell’intrattenere rapporti sessuali prematrimoniali. Inoltre, il tempo trascorso dai fatti (quattro anni) induceva a ritenere che il pericolo paventato dall’istante non potesse ritenersi attuale.

4. La scarsa credibilità del richiedente impediva ad avviso della Corte di riconoscere sia lo status di rifugiato sia la protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b).

5. In merito alla valutazione richiesta ai fini dell’applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) argomentava che l’esame delle più recenti d’accreditate country of origin informations (C.O.I.), che richiamava, non evidenziavano l’attuale esistenza nella regione del (OMISSIS) di una situazione di violenza indiscriminata derivante dal conflitto armato idonea ad esporre la popolazione civile ad un grave pericolo per la vita l’incolumità fisica per il solo fatto di soggiornarvi, non avendo peraltro, il ricorrente evidenziato peculiari fattori individualizzati di rischio.

6. Neppure poteva essere riconosciuta la protezione umanitaria, che richiede la sussistenza di una specifica situazione di vulnerabilità, sicchè non poteva avere rilievo di per sè il percorso di integrazione in Italia.

7. Per la cassazione del decreto A.Z. ha proposto ricorso, affidato a quattro motivi, cui il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

8. Con il primo motivo di ricorso il richiedente deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8. Lamenta che il Tribunale abbia violato le disposizioni citate che impongono al giudice della protezione di svolgere un ruolo attivo dell’istruzione della domanda, disancorato dal principio dispositivo proprio del giudizio civile ordinario mediante l’esercizio di poteri officiosi di ampia indagine e acquisizione documentale, tenuto conto che il richiedente aveva fornito dichiarazioni coerenti e credibili ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, comma 5. Come secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7. Lamenta che il Tribunale non abbia valorizzato il fatto che anche ingerenze particolarmente intense nella vita familiare e privata possono essere considerate persecutorie, così com’è accaduto nel caso in esame, nel quale il richiedente è perseguitato dalla famiglia della giovane amante e lo Stato non può garantirgli la giusta tutela, tant’è che il di lui padre è deceduto a causa delle percosse inflitte dai familiari della giovane.

9. Con il terzo motivo, deduce la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. g) in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14. Lamenta che il Tribunale non abbia ritenuto il cittadino straniero ammissibile alla protezione sussidiaria in considerazione della situazione presente in (OMISSIS).

10. Come quarto motivo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 6 T.U. immigrazione e lamenta che non sia stata riconosciuta la protezione umanitaria al cittadino (OMISSIS) proveniente dalla regione del (OMISSIS) in considerazione della grave situazione ivi verificatasi tale da configurare situazione di vulnerabilità da proteggere alla luce degli obblighi internazionali e costituzionali dello Stato.

11. Il ricorso non è fondato.

Con riguardo ai primi due motivi, occorre ribadire che la domanda diretta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. n. 19197 del 28/09/2015, n. 27336 del 29/10/2018). Il ricorso al Tribunale costituisce atto introduttivo di un giudizio civile, retto dal principio dispositivo: principio che, se nella materia della protezione internazionale viene derogato dalle speciali regole di cui al cit. D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e al D.Lgs. n. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, che prevedono particolari poteri-doveri istruttori (anche) del giudice, non trova però alcuna deroga quanto alla necessità che la domanda su cui il giudice deve pronunciarsi corrisponda a quella individuabile in base alle allegazioni dell’attore. I fatti costitutivi del diritto alla protezione internazionale devono dunque necessariamente essere indicati dal richiedente, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli in giudizio d’ufficio, secondo la regola generale. In difetto di allegazioni circa la sussistenza di ragioni tali da comportare – alla stregua della normativa sulla protezione internazionale – per il richiedente un pericolo di un grave pregiudizio alla persona, in caso di rientro in Patria, la vicenda narrata deve considerarsi di natura strettamente privata, come tale al di fuori dai presupposti per l’applicazione, sia dello status di rifugiato, sia della protezione sussidiaria, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b) (cfr. Cass. 15/02/2018, n. 3758).

12. Nel caso, il Tribunale ha ritenuto non credibile il racconto del richiedente operando una specifica valutazione basata su plurimi elementi che rivelavano la contraddittorietà e genericità di quanto riferito, privo di dettagli che consentissero di ritenere veritiere le circostanze relative al rapporto sentimentale con una giovane di casta superiore e le minacce e aggressioni dei di lei familiari, nonchè l’assenza di tutela da parte delle forze dell’ordine, coerente con gli oneri motivazionali e con i parametri legali di giudizio (D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 3, comma 5).

13. Le circostanze fattuali tali da determinare il pericolo di coinvolgimento in atti di persecuzione nel paese di origine avrebbero dunque dovuto essere dedotte in giudizio dall’attuale ricorrente, che però non vi ha adeguatamente provveduto, come risulta dallo stesso ricorso per cassazione, in cui si allega, al più, la compatibilità del racconto con tale situazione.

14. Nella parte in cui i motivi si sostanziano in una censura di merito all’accertamento di fatto compiuto dal Tribunale sulla non credibilità del racconto dello straniero e nella prospettazione di una diversa lettura e interpretazione delle sue dichiarazioni essi sono poi inammissibili, considerato che il vizio di motivazione rappresentato dal travisamento di fatti decisivi non è riconducibile al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e la motivazione posta a base della decisione del giudice di merito non è meramente apparente, ma si fonda su un nucleo argomentativo logico che ha evidenziato con coerenza le ragioni dell’inattendibilità della narrazione del ricorrente stesso.

15. Con riferimento al terzo motivo, va premesso che la nozione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), dev’essere interpretata in conformità della fonte Eurounitaria di cui è attuazione (direttive 2004/83/CE e 2011/95/UE), in coerenza con le indicazioni ermeneutiche fornite dalla Corte di Giustizia UE (Grande Sezione, 18 dicembre 2014, C-542/13, par. 36), secondo cui i rischi a cui è esposta in generale la popolazione di un paese o di una parte di essa di norma non costituiscono di per sè una minaccia individuale da definirsi come danno grave (v. 26 Considerando della direttiva n. 2011/95/UE), sicchè “l’esistenza di un conflitto armato interno potrà portare alla concessione della protezione sussidiaria solamente nella misura in cui si ritenga eccezionalmente che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati o tra due o più gruppi armati siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria, ai sensi dell’art. 15 direttiva, lett. c), a motivo del fatto che il grado di violenza indiscriminata che li caratterizza raggiunge un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia (v., in questo senso, Corte Giustizia UE 17 febbraio 2009, Elgafaji, C-465/07, e 30 gennaio 2014, Diakitè, C285/12; vedi pure Cass. n. 13858 del 2018 e Cass. n. 30105 del 2018).

16. Il Tribunale ha nel caso compiutamente esaminato la situazione del (OMISSIS), come evincibile da report ufficiali aggiornati puntualmente citati in motivazione, ed ha escluso l’esistenza di condizioni rilevanti ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c): tale valutazione, compiuta sulla base della pertinente documentazione indicata, attiene al merito della controversia e si sottrae al sindacato di legittimità di questa Corte, mentre il motivo neppure fa riferimento a circostanze fattuali decisive di segno diverso.

17. Quanto al quarto motivo, l’attendibilità e la rilevanza della narrazione dei fatti che hanno indotto lo straniero a lasciare il proprio Paese svolge un ruolo rilevante anche ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, atteso che ai fini di valutare se il richiedente abbia subito nel paese d’origine una effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili, pur partendo dalla situazione oggettiva del paese d’origine, questa deve essere necessariamente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza, secondo le allegazioni del richiedente (Cass. 4455/2018), la cui attendibilità soltanto consente l’attivazione dei poteri officiosi. La rilevanza e l’attendibilità di quanto narrato dall’istante sono state, peraltro, escluse, nel caso di specie, per i motivi suesposti.

18. Nessuna rilevanza può, inoltre, attribuirsi di per sè al percorso di integrazione in Italia, in difetto di elementi di comparazione di segno negativo, che evidenzino una compromissione dei diritti umani che attenderebbe l’immigrato in caso di ritorno in patria. Questa Corte ha infatti chiarito (v. Cass.23/02/2018, n. 4455 e successive conformi) che il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, (nel testo operante ratione temporis) al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza.

19. Non può essere dunque riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza, atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale (Cass. 28/06/2018, n. 17072).

20. Segue coerente il rigetto del ricorso.

21. Le spese seguono la soccombenza.

22. Non sussistono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, risultando il richiedente ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese del giudizio, liquidate in complessivi Euro 2.100,00 per compensi, oltre alle spese generali nella misura del 15% e alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto dell’insussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 27 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2020

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