Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4320 del 20/02/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 20/02/2017, (ud. 23/11/2016, dep.20/02/2017),  n. 4320

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19778-2011 proposto da:

D.C.R., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA EMILIA 88, presso lo studio dell’avvocato STEFANO VINTI,

rappresentato e difeso dall’avvocato CORRADO DIACO, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

ENTE AUTONOMO PARCO NAZIONALE D’ABRUZZO LAZIO E MOLISE, C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso

i cui Uffici domicilia ope legis in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI N.

12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1046/2010 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 07/10/2010 R.G.N. 1067/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/11/2016 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO;

udito l’Avvocato DIACO CORRADO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. D.C.R., dipendente dell’Ente Parco Nazionale Abruzzo, Lazio e Molise, agiva per l’accertamento dell’illegittimità della Det. n. 163 del 2007 a firma del direttore dell’Ente, avente ad oggetto la restituzione delle somme percepite dal ricorrente a titolo di indennità pensionabile D.P.R. n. 69 del 1984, ex art. 5.

2. In primo grado la domanda veniva respinta, avendo il Tribunale di Sulmona ritenuto che la domanda fosse preclusa da giudicato esterno su identica questione. In sede di appello il dipendente contestava tale assunto; nel merito, insisteva per l’illegittimità dell’azione di recupero. In subordine, rilevava che erano state ignorate: a) la CTU contabile disposta in primo grado, la quale aveva indicato la somma ripetibile in Euro 48.948,24, inferiore all’importo richiesto dall’Ente (pari ad Euro 53.001,22); b) la precedente Det. 27 febbraio 2003, n. 26 mai eseguita, con la quale l’Ente Parco aveva richiesto, per lo stesso titolo, la somma di Euro 28.882,34 riguardante il solo periodo 1999/2002, sulla scorta di quanto ritenuto dalla Sezione di controllo della Corte dei Conti, secondo la quale dovevano ritenersi legittime le erogazioni dell’indennità mensile pensionabile effettuate a tutto il personale dell’Ente Parco fino al dicembre 1998. Evidenziava ancora che la differenza tra la somma richiesta nel 2003 e quella richiesta nel 2007 incideva anche sul suo trattamento di fine rapporto.

3. La Corte di appello dell’Aquila, con sentenza n. 1046/2010, premetteva che l’indennità pensionabile D.P.R. n. 69 del 1984, ex art. 5 era stata riconosciuta per compensare i servizi svolti a tutela delle istituzioni democratiche e dell’ordine pubblico da parte di corpi ben individuati, quali l’Arma dei Carabinieri, la Pubblica Sicurezza, la Guardia di Finanza, gli Agenti di custodia, il Corpo Forestale, mentre il ricorrente ne aveva sostenuto la spettanza anche in favore dei dipendenti che, come lui, fossero stati assegnati a funzioni di sorveglianza, pure in assenza di decreti prefettizi di nomina. Tanto premesso, affermava, quanto all’an debeatur, che la domanda proposta dal D.C. era preclusa da giudicato esterno, in quanto la questione di diritto decisa con sentenza passata in giudicato era identica a quella oggetto della domanda proposta nel presente giudizio; in ordine al quantum debeatur, che era meritevole di accoglimento la richiesta di rettifica del credito. Rilevava che il C.t.u., sulla scorta di un elaborato peritale condivisibile, aveva concluso nel senso che la somma dovuta dal ricorrente per il periodo 1995/2002 era pari ad Euro 48.948,24, anzichè alla maggior somma richiesta dall’Ente. Aggiungeva che, quanto al periodo anteriore al 1999, la determinazione della Sezione di controllo della Corte dei Conti era stata superata dalla decisione in sede giurisdizionale della stessa Corte, che aveva ritenuto la non spettanza dell’indennità ai dipendenti dell’Ente Parco, salvo il personale munito di decreto prefettizio per lo svolgimento di particolari compiti. In conclusione, in parziale accoglimento dell’appello, la Corte di appello condannava l’appellante a rimborsare all’Ente Parco la somma di Euro 48.948,24, “oltre interessi legali dalla domanda”, dovendosi “ritenere la buona fede dell’accipiens, come peraltro stabilito dalla Det. n. 163 del 2007, in applicazione dell’art. 2033 c.c., comma 2”. Solo per completezza, rilevando la mancanza di eccezioni sul punto, aggiungeva che il credito non era prescritto, applicandosi all’indebito oggettivo il termine ordinario (decennale) di prescrizione.

4 Per la cassazione di tale sentenza D.C.R. propone ricorso affidato cinque motivi. Resiste l’Ente Parco con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c.. Omessa, errata valutazione del petitum e della causa petendi. Ultrapetizione. Si censura la statuizione con cui sono stati riconosciuti, in favore dell’Ente Parco, gli interessi legali dalla domanda giudiziale (aprile 2007) sulla somma da rimborsare, quantificata in Euro 48.948,24. L’Ente Parco non aveva mai preteso la condanna agli interessi legali nè in sede di Det. n. 163 del 2007, nè in sede giudiziale. La Corte di appello aveva interferito nel potere dispositivo delle parti, violando il divieto di decidere ultra petita partium.

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 324 c.p.c.. Insussistenza del giudicato. Violazione del D.P.C.M. 29 novembre 1982. Vizio di motivazione. Si deduce che oggetto del presente giudizio è la ripetizione delle somme relative al periodo gennaio 1995/ottobre 2002 percepite dal ricorrente nella sua qualità di capo del personale di sorveglianza, ai sensi del D.P.C.M. 29 novembre 1982, con il quale era stato approvato il regolamento organico dell’ordinamento dei servizi dell’Ente Parco. Contraddittoriamente, la Corte d’appello aveva ritenuto la sussistenza del giudicato esterno, pur dando atto che oggetto del precedente giudizio era la legittimità della soppressione dell’indennità con decorrenza novembre 2002.

3. Con il terzo motivo si denuncia vizio di motivazione. Erronea e falsa applicazione dei contratti collettivi e violazione di legge. La Corte dei Conti, sezione controllo enti, aveva affermato la legittimità delle erogazioni a tutto il personale del Parco fino al dicembre 1998. Tale decisione non era inficiata dalla decisione n. 232/03 assunta in sede giurisdizionale dalla Corte dei Conti per l’Abruzzo, la quale non riguardava il ricorrente bensì i componenti del consiglio direttivo dell’Ente che avevano concorso all’adozione della Delib. n. 10 del 1995. Tale decisione inoltre era stata riformata in appello dalla Corte dei Conti, terza sezione giurisdizionale centrale, che aveva assolto i componenti del consiglio direttivo. L’erogazione delle somme in questione trovava la sua origine nell’atto transattivo espresso dall’Ente Parco proprio nella citata Delib. n. 10 del 1995, volta a prevenire la controversia promossa nel 1993 dal ricorrente innanzi al Tar. Tali deduzioni non erano state considerare dalla Corte di appello, pur avendo carattere decisivo ai fini dell’accoglimento della domanda subordinata intesa a ridurre il petitum ad Euro 25.242,28, pari le somme percepite dal gennaio 1999 al 2 ottobre 2002.

4. Il quarto motivo denuncia violazione dell’art. 545 c.p.c. in relazione alla sentenza della Corte Costituzionale n. 438 del 2005, la quale aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. 8, giugno 1966, n. 424 nella parte in cui prevedeva per i dipendenti degli enti pubblici diversi allo Stato la sequestrabilità e la pignorabilità delle indennità di fine rapporto, come TFR, per crediti da danno erariale, senza osservare i limiti stabiliti dall’art. 545 c.p.c., i quali prevedono la pignorabilità delle indennità di fine servizio soltanto entro il quinto del suo ammontare.

5. Il quinto motivo denuncia violazione dell’art. 2948 c.c. in materia di prescrizione. L’Ente Parco, prima della determinazione di ripetizione delle somme che reca la data del 4 aprile 2007, non aveva posto in essere atti interruttivi dei termini prescrizionali. Nella specie, trova applicazione la prescrizione quinquennale di cui all’art. 2948 c.c., n. 4; comunque, anche applicando il termine decennale, il diritto dell’Ente alla ripetizione era prescritto relativamente alle somme percepite dal ricorrente nel periodo 1 gennaio 1995-marzo 1997.

6. Il ricorso è in parte inammissibile e in parte infondato.

7. Circa la statuizione relativa riconoscimento degli interessi legali sulla somma come rideterminata in appello, l’odierno ricorrente assume che l’Ente Parco non aveva mai preteso gli interessi legali nè in sede stragiudiziale, nè in sede giudiziale. A tale assunto difensivo non corrisponde una formulazione del motivo che rispetti i requisiti di specificità, indicazione e allegazione di cui agli artt. 366 e 369 c.p.c.. Non risulta trascritto in ricorso il testo della delibera impugnata, nè sono stati riportati – almeno nelle parti salienti – i dati contabili della CTU svolta in primo grado, nè sono stati illustrati i calcoli assunti a base del quantum riconosciuto. Pertanto, non è dato conoscere i termini esatti della pretesa avanzata dall’Ente, nè se la somma liquidata in appello includesse o meno interessi legali determinati fino la domanda giudiziale alla stregua della determinazione della c.t.u. contabile, considerato che le conclusioni peritali sono state integralmente recepite dalla Corte territoriale. Questa ha pure dato atto di avere esaminato il testo della delibera suddetta e, sulla scorta dell’interpretazione del contenuto di tale atto, ha ritenuto di riconoscere gli interessi legali, supponendone la richiesta. L’attuale ricorrente sostanzialmente prospetta un travisamento dell’interpretazione del contenuto di tale atto, del quale riporta un brevissimo stralcio, mediante trascrizione del frammento di un periodo, del tutto inidoneo a devolvere all’esame di questa Corte il tema sotteso al vizio processuale dedotto con il primo motivo.

7.1. Giova ribadire che, ove il ricorso per cassazione si fondi sulla denunzia della violazione di una norma processuale, è necessaria l’indicazione degli elementi condizionanti l’operatività di tale violazione, non essendo sufficiente per attivare il potere-dovere del giudice di esame degli atti un generico richiamo al vizio denunciato (cfr. Cass. 17424 del 2005). Difatti, anche laddove vengano denunciati con il ricorso per cassazione errores in procedendo, in relazione ai quali la Corte è anche giudice del fatto, potendo accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito, si prospetta preliminare ad ogni altra questione quella concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che, solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione, la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (Cass. n. 12664 del 2012).

8. Il secondo motivo denuncia l’erroneità della statuizione di giudicato esterno in ordine all’an debeatur. La Corte di appello ha testualmente affermato che nel precedente giudizio il thema decidendum “non era la legittimità o meno del trasferimento ad altro incarico, che comportava quindi il venir meno dell’indennità pensionabile, bensì sempre la legittimità, con decorrenza dal novembre 2002, della soppressione di detta indennità”. Benchè la pronuncia costituente giudicato evidentemente atteneva ad una pretesa (petitum) delimitato nei termini suddetti, la Corte di appello, interpretandone il contenuto, ha ritenuto – come è desumibile dal tenore della sentenza impugnata – che l’affermazione ivi contenuta circa l’inesistenza di un diritto alla percezione dell’indennità derivava non già dal trasferimento del D.C. ad altro incarico (con conseguente venir meno dell’indennità pretesa), ma dalla legittimità della soppressione dell’indennità in quanto comunque non spettante e tale affermazione costituisce un accertamento intervenuto tra le stesse parti, idonea a costituire presupposto intangibile nel successivo giudizio avviato dal D.C., non potendo più essere rimessa in discussione l’illegittimità della soppressione dell’indennità per insussistenza del diritto del lavoratore a percepirla.

8.1. Questa Corte ha affermato (Cass. n. 16150 del 20 luglio 2007 e molte altre conformi) che, qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla soluzione di questioni di fatto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di fatto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il “petitum” del primo (Cass. n. 10623 del 2009, n. 18381 del 2009, n. 9463 del 2010).

8.2. Inoltre, atteso che il giudicato va assimilato agli “elementi normativi” e la sua interpretazione deve essere effettuata alla stregua dell’esegesi delle norme e non già degli atti e dei negozi giuridici essendo sindacabili sotto il profilo della violazione di legge gli eventuali errori interpretativi (Cass. S.U. n. 24664 del 2007, Cass. 21200 del 2009, 10537 del 2010). la censura, che nella sostanza è proposta in termini di contraddittorietà della motivazione, è inammissibile, muovendo dalla erronea qualificazione dell’interpretazione del giudicato come quaestio facti (art. 360 c.c., n. 5) anzichè come questione interpretativa di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3).

9. Il terzo motivo investe il passaggio argomentativo della sentenza che riguarda la determinazione della Sezione di controllo della Corte dei Conti. Le relative affermazioni contenute nella sentenza impugnata, effettuate dopo una statuizione di inammissibilità della domanda in ordine all’ an debeatur per l’intero periodo interessato dal presente giudizio, devono ritenersi estranee all’unica ratio decidendi della sentenza e, perciò, svolte ad abundantiam, con argomentazioni meramente ipotetiche e virtuali (cfr. Cass. S.U. nn. 3040 e 8087 del 2007). In altri termini, devono ritenersi ultronei gli argomenti contenuti nella sentenza impugnata concernenti il merito del diritto del ricorrente a percepire l’indennità in questione nel periodo anteriore al 1999, avendo la Corte di appello preliminarmente statuito l’esistenza di un giudicato esterno sull’an debeatur e la sua potestas iudicandi limitata al quantum debeatur determinato con riferimento all’intera pretesa recuperatoria avanzata dall’Ente Parco. Si tratta quindi di argomenti eccedenti la ratio decidendi, ma che in alcun modo inficiano la stessa, nè si risolvono in una sua contraddizione intrinseca, poichè dalla stessa esulano completamente.

10. Tanto va ritenuto anche con riguardo al punto vertente sulla prescrizione, interessato dal quinto motivo di ricorso, che la Corte distrettuale ha trattato “per completezza”, “pur se le parti non hanno preso conclusioni sul punto”. In sede di legittimità sono inammissibili, per difetto di interesse, le censure rivolte avverso argomentazioni contenute nella motivazione della sentenza impugnata e svolte ad abundantiam o costituenti obiter dicta, poichè esse, in quanto prive di effetti giuridici, non determinano alcuna influenza sul dispositivo della decisione (v. tra le più recenti, Cass. n. 22380 del 2014).

11. Quanto alla censura di cui al quarto motivo, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, qualora una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto non risulti trattata nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per i principi di cui all’art. 366 c.p.c., di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. 12 luglio 2005 n. 14599 e n. 14590; n.25546 del 30 novembre 2006; n. 4391 del 26 febbraio 2007; n. 20518 del 28 luglio 2008; n. 5070 del 3 marzo 2009, n. 8206 del 2016).

12. In conclusione, il ricorso va respinto, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2017

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