Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4319 del 24/02/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 4319 Anno 2014
Presidente: MAMMONE GIOVANNI
Relatore: TRICOMI IRENE

ORDINANZA
sul ricorso 15228-2012 proposto da:
CUCINOTTA ANGELA, elettivamente domiciliata in ROMA, presso la CORTE DI
CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avv. TRISCHITTA GIUSEPPE, giusta
delega a margine del ricorso;

– ricorrente contro
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE 80078750587
in persona del Direttore Centrale Pensioni, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
DELLA FREZZA 17, presso l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO,
rappresentato e difeso dagli avvocati MAURO RICCI, CLEMENTINA
EMANUELA CAPANNOLO, giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente nonché contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE 80415740580,

Data pubblicazione: 24/02/2014

MINISTERO DELL’INTERNO 80185690585;

intimati

avverso la sentenza n. 477/2012 della CORTE D’APPELLO di MESSINA dell’8.3.2012,
depositata il 14/03/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/01/2014 dal
Consigliere Relatore Dott. IRENE TRICOMI;

udito per il controricorrente l’Avvocato Mauro Ricci che si riporta agli scritti;

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FATTO E DIRITTO
La Corte d’Appello di Messina, con la sentenza n. 477/2012, rigettava
l’impugnazione proposta da Cucinotta Angela nei confronti del’INPS, del Ministero
dell’economia e finanze e del Ministero dell’interno, avverso la sentenza del
Tribunale di Messina n. 1877/07.
Il Tribunale aveva rigettato la domanda della Cucinotta volta ad ottenere il
riconoscimento dell’invalidità civile e del diritto all’indennità di accompagnamento, in
quanto riteneva non sussistere le condizioni di invalidità legittimanti il riconoscimento
dell’indennità di accompagnamento.
Nel corso del giudizio di appello, in ragione delle doglianze dell’appellante
avverso la CTU espletata nel primo grado di giudizio, veniva disposta CTU le cui
conclusioni venivano condivise dal Collegio.
Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre la Cucinotta
prospettando tre motivi di ricorso.
Resiste l’INPS con controricorso.
Gli altri intimati non hanno svolto difese.
Il consigliere relatore ha svolto le seguenti argomentazioni e conclusioni.
Con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione
dell’art.1 della legge n. 18 del 1980 e succ. modifiche ed omessa e/o contraddittoria e/o
insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia ex art., 360, n. 3 e 5,
cpc.
Erroneamente, la Corte d’Appello, come la CTU, non ha riconosciuto il diritto
della Cucinotta a percepire l’indennità di accompagnamento dalla data di
presentazione della domanda amministrativa, benché la CTU, che viene riprodotta in
ricorso, avesse riscontrato patologie che portavano al 100% d’invalidità.
In base alle risultanze della CTU il giudice di secondo grado avrebbe dovuto
verificare anche con l’esercizio dei poteri officiosi il grado di autosufficienza della
ricorrente, anche se la necessità dell’accompagnatore fosse stata limitata solo ad una
determinata attività.
Con il secondo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione
dell’art. 149 disp. att. cc e della legge n. 18 del 1980 e succ. modifiche, in relazione
all’art. 360. n. 3, cpc.
Successivamente alla visita peritale del 16 ottobre 201, la ricorrente aveva avuto
un peggioramento delle proprie condizioni di salute per cui veniva sottoposta ad
accertamenti medici i cui referti venivano prodotti all’udienza dell’8 marzo 2012, per
cui la Corte d’Appello avrebbe dovuto disporre un supplemento di CTU.
I primi due motivi di ricorso devono essere trattati congiuntamente.
Gli stessi appaiono manifestamente infondati.
Occorre rilevare come la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 12521 del 2009)
ha affermato che secondo l’univoco orientamento giurisprudenziale formatosi sulla
questione (Cass. n. 9785 del 1991, n. 1339 del 1993, n. 636 del 1998, n. 6882 del 2002),
le condizioni previste dalla legge 11 febbraio 1980, n. 18, art. 1, (nel testo modificato
dalla I. n. 508 del 1988, art. 1, comma 2) per l’attribuzione dell’indennità di
accompagnamento consistono, alternativamente, nell’impossibilità di deambulare senza
l’aiuto permanente di un accompagnatore oppure nell’incapacità di compiere gli atti
quotidiani della vita con la conseguente necessità di assistenza continua. Si tratta
chiaramente di situazioni che prescindono da episodici contesti, dovendo essere
verificate nella loro inerenza costante al soggetto e non in rapporto ad una soltanto delle
possibili esplicazioni del vivere quotidiano, quale, ad esempio, il portarsi fuori della
propria abitazione, ovvero la necessità di assistenza determinata da patologie particolari
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e finalizzata al compimento di alcuni, specifici, atti della vita quotidiana, pur dovendosi
intendere in senso relativo la nozione di “continuità” della necessità dell’assistenza.
Va, altresì, ricordato che secondo la costante giurisprudenza di questa Corte
(Cass. n., 7372 del 2011, n. 7341 del 2004, n. 3519 del 2001, n. 225 del 2000), ove il
giudice del merito si basi sulle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, il difetto di
motivazione della sentenza denunciabile in cassazione deve consistere nella indicazione
delle carenze e deficenze diagnostiche riscontrabili nella perizia, o nella precisazione
delle affemiazioni illogiche o scientificamente errate in essa contenute, o nella
individuazione della omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le
predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, non
essendo sufficiente la mera prospettazione di una semplice difformità tra le valutazioni
del consulente circa l’entità e l’incidenza del dato patologico e quella della parte; al di
fuori di tale ambito, infatti, la censura di difetto di motivazione costituisce un mero
dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico che si traduce in una
inammissibile richiesta di revisione nel merito del convincimento del giudice. Il difetto
di motivazione in ordine ad aspetti sanitari sussiste solo ove vi sia palese devianza dalle
correnti nozioni della scienza medica od omissione degli accertamenti strumentali
necessari alla formulazione di una corretta diagnosi; al di fuori di tale ambito, la censura
costituisce mero dissenso, non attinente a vizi del processo logico formale, e si traduce
nell’irrilevante critica del convincimento del giudice (Cass. n. 9988 del 2009).
Nella specie, la ricorrente che, nell’illustrare il primo motivo di ricorso,
riproduce la CTU svolta in appello, chiede a questa Corte un riesame della fattispecie,
inammissibile in sede di legittimità, atteso che la Corte d’Appello, con motivazione
congrua e logica, che applica in modo corretto i suddetti principi ha affermato, tenuto
conto anche motivatamente delle critiche alla CTU disposta in appello, che il consulente
aveva espresso il giudizio che le infermità da cui era affetta la Cucinotta “artrosi
polidistrettuale allievi incidenza funzionale; broncopatia cronica;
miocardioangiosclerosi; sindrome varicosa arti inferiori; sindrome ansioso-depressiva”
comportavano una invalidità complessivamente pari al 100%, ma non erano tali da
rendere bisognevole di assistenza continua la Cucinotta, al quale era in grado di
svolgere normalmente i quotidiani atti della vita e di deambulare autonomamente. Le
conclusioni del CTU, rassegnate dopo una attenta visita medica e sulla scorta di
un’esauriente indagine e valutazione della documentazione sanitaria in atti, richiamata
nella relazione peritale, apparivano alla Corte d’Appello immuni da vizi logici e
condivisibili.
La Corte d’Appello, inoltre, non dava ingresso alla richiesta di chiamare il CTU
a chiarimenti circa la possibilità di salire e scendere le scale, di uscire di casa a fare la
spesa, comprare medicine, indicare quanti metri la stessa poteva fare senza ricorrere a
mezzi di trasporto, in quanto il CTU, all’esame obiettivo, riscontrava la presenza di
masse muscolari normotoniche e normotrofiche, la capacità di mantenimento della
stazione eretta e di deambulazione autonoma, seppure con lieve oscillazione verso
destra. I test diagnostici effettuati (esame ADL, esame IADL), rilevavano solo una
parziale mancanza di autosufficienza, di entità tale da non consentire il riconoscimento
dell’indennità di accompagnamento.
Con riguardo alla censura relativa al supplemento di CTU che sarebbe dovuto
essere disposto in ragione dell’aggravamento delle condizioni della Cucinotta, occorre
rilevare la genericità del motivo di ricorso, atteso che con lo stesso non si chiarisce, in
relazione al certificato del dr. Cardile del 30 marzo 2011 e della Tc al cranio, quale
aggravamento notevole sarebbe stato prospettato e disatteso dalla Corte d’Appello,
circostanza che non si può desumere dal mero stralcio del contenuto della
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Il Presidente

documentazione medica a cui si fa riferimento. Ciò, tra l’altro, tenuto conto e della
argomentata valutazione della situazione della Cucinotta come si rileva dalla
motivazione della sentenza e dell’elemento di cronicità nella diagnosi “vascolopatia
cerebrale cronica con deterioramento mentale”.
Con il terzo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art.
152 disp. att. cpc, come modificato dall’art. 42, comma 11, del d.l. n. 269/03 conv. dalla
legge n. 326 del 2003. Omessa e/o contraddittoria e/o insufficiente motivazione su di
un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360, n. 3 e 5, cpc. La Corte
d’Appello avrebbe errato nel non riconoscere alla Cucinotta l’esenzione dalle spese di
giudizio, atteso che l’onere autocertificativo imposto alla parte è assolto con il ricorso
introduttivo, di primo o di secondo grado, ed esplica la sua efficacia senza ulteriori
reiterazioni. Essa ricorrente, dopo aver fatto espressa dichiarazione sia nel ricorso di
primo che di secondo grado, aveva assolto allo stesso con la produzione, all’udienza
dell’8 marzo 2012, della dichiarazione sostitutiva attestante un reddito imponibile ai fini
Irpef inferiore a due volte il reddito stabilito dagli artt. 76 e 77 del d.lgs. n. 113 del
2002.
Il motivo appare manifestamente infondato.
La stessa ricorrente afferma di aver depositato documentazione relativa
all’esenzione solo nell’udienza in appello.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare (Cass, n. 5775 del 2012): la
nuova previsione dell’art. 152 disp. att. cpc nel testo modificato dal d.l. n. 269 del 2003,
art. 42, comma 11, convertito nella legge n. 326 del 2003, così recita: “l’interessato che,
con riferimento all’anno precedente a quello di instaurazione del giudizio, si trova nelle
condizioni indicate nel presente articolo formula apposita dichiarazione sostitutiva di
certificazione nelle conclusioni dell’atto introduttivo e si impegna a comunicare, fino a
che il processo non sia definito, le variazioni rilevanti dei limiti di reddito verificatesi
nell’anno precedente”. La norma impone pertanto un onere autocertificativo alla parte
che intende essere esonerata dal pagamento delle spese che deve essere assolto con il
ricorso introduttivo di primo grado, onere che non può essere certamente sostituito dalla
produzione in appello della documentazione attestante i requisiti reddituali, che
costituiscono u presupposto fattuale per la ricordata dichiarazione (cfr. Cass. n. 16284
del 2011; Cass. n. 16284 del 2011). Indipendentemente dalla questione della tardività o
meno di tale produzione appare evidente come questa non possa sostituire un onere che
la legge dispone univocamente venga assolto nel ricorso introduttivo.
Il Collegio condivide e fa proprie le argomentazioni e le conclusioni che
precedono.
Pertanto, il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e
sono liquidate come in dispositivo a favore dell’INPS. Nulla spese per gli intimati non
costituiti.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di
giudizio che liquida in euro cento per esborsi, euro mille per compenso professionale,
oltre accessori nei confronti dell’INPS. Nulla spese per gli altri intimati non costituiti.
Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2014

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