Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4318 del 10/02/2022

Cassazione civile sez. lav., 10/02/2022, (ud. 15/12/2021, dep. 10/02/2022), n.4318

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

Dott. SPAZIANI Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6594-2016 proposto da:

B.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO

20, presso lo studio dell’avvocato COSI SAVERIO, che la rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati TRIOLO

VINCENZO, STUMPO VINCENZO, CORETTI ANTONIETTA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 116/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 21/01/2016 R.G.N. 6251/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/12/2021 dal Consigliere Dott. SPAZIANI PAOLO.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

Nel 2009, B.E. ottenne dal Tribunale di Tivoli un decreto ingiuntivo nei confronti dell’INPS per la somma di Euro 2.679,05, oltre accessori e spese. In data 30 luglio 2010 notificò all’INPS precetto per l’importo di Euro 3.981,02, relativo al predetto decreto ingiuntivo. Il successivo 31 agosto notificò il pignoramento presso terzi, concernente la suddetta somma, oltre le spese di procedura.

L’Inps propose opposizione all’esecuzione, domandando la declaratoria di nullità del precetto e del pignoramento, sul presupposto che aveva proceduto al pagamento della somma indicata nel decreto ingiuntivo (Euro 2.679,05) prima ancora della sua notificazione, e che successivamente, aveva anche provveduto al pagamento delle spese di lite.

In parziale accoglimento dell’opposizione, il giudice dichiarò la nullità del precetto, nella parte in cui indicava come dovuta la somma di Euro 3.981,02, anziché la diversa e minore somma di Euro 1.158,25, compensando tra le parti le spese del giudizio.

Questa decisione è stata integramente confermata dalla Corte di appello di Roma, che ha rigettato l’appello di B.E., compensando anche le spese del secondo grado.

Quest’ultima propone ora ricorso per cassazione sulla base di due motivi. Risponde l’INPS con controricorso.

Il controricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo (“violazione o falsa applicazione delle norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3 con riguardo agli artt. 91 e 92 c.p.c. – artt. 112 e 324 c.p.c.”) la ricorrente lamenta l’omessa pronuncia, da parte della Corte territoriale, sulla censura relativa al capo della, sentenza di primo grado che, in violazione delle regole di cui agli artt. 91 e 92 c.p.c., avrebbe illegittimamente disposto la compensazione delle spese di lite, sebbene l’INPS fosse risultato totalmente soccombente sulla domanda proposta.

Deduce, al riguardo, che l’istituto aveva domandato la declaratoria di nullità integrale del precetto mentre il giudice dell’opposizione ne aveva disposto la mera riduzione, talché la domanda formulata dall’opponente doveva ritenersi infondata. Sostiene, quindi, che a fronte dell’integrale soccombenza dell’INPS, essa era risultata totalmente vittoriosa, con la conseguenza che le spese del giudizio non avrebbero potuto essere poste a suo carico, neppure parzialmente.

1.1. Il motivo è inammissibile.

1.1. a. Va premesso che, ad onta della formale intestazione, con esso non si denunciano “errores in iudicando” ma un “error in procedendo” costituito dall’omesso esame, da parte del giudice di appello, di uno specifico motivo di impugnazione della sentenza di primo grado.

Orbene, una simile censura, concernendo un vizio di attività cui consegue la nullità della sentenza (“error in procedendo”), deve essere formulata mediante la sussunzione del vizio nella fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, atteso che quella di cui al precedente n. 3 del medesimo articolo si riferisce alla violazione di norme sostanziali, che dà luogo ad errore di giudizio direttamente incidente sull’oggetto della decisione di merito (“error in iudicando”).

La circostanza che la ricorrente abbia invece inteso far valere un “error in procedendo” ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, senza fare alcun riferimento alle conseguenze (nullità del procedimento e della sentenza) derivanti dall’errore sulla legge processuale, impone la declaratoria di inammissibilità del motivo di ricorso in esame, in applicazione del consolidato orientamento di questa Corte secondo cui, pur non essendo indispensabile la formale ed esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, è peraltro necessario che il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dal vizio denunciato, dovendosi reputare inammissibile il gravame che si limiti ad argomentare sulla violazione di legge (Cass. Sez. U, 24/07/2013, n. 17931; v. anche Cass. 17/09/2013, n. 21165, Cass. 28/09/2015, n. 19124, e, più recentemente, Cass. 07/05/2018, n. 10862).

1.1.b. A prescindere dalla irritualità con cui è stato in concreto dedotto nel ricorso per cassazione, deve, poi, osservarsi che il vizio di omesso esame del motivo di appello relativo al capo della sentenza di primo grado recante la compensazione delle spese, va ritenuto senz’altro insussistente se, come nel caso di specie, l’appello sia stato interamente rigettato nel merito con compensazione anche delle spese del secondo grado, atteso che la omologa pronuncia sulle spese di secondo grado, unitamente al rigetto dell’impugnazione, implica necessariamente il giudizio sulla correttezza di quella pronunciata dal primo giudice, sicché il motivo di gravame relativo a tale pronuncia deve intendersi implicitamente respinto e assorbito dalla generale pronuncia di integrale piena conferma della sentenza di primo grado (Cass. 05/02/2021, n. 2830).

1.1.c. Infine, con specifico riferimento alla concreta fattispecie processuale in esame, è agevole rilevare che l’omissione dedotta dalla ricorrente non è in alcun modo riscontrabile nella sentenza impugnata, perché la Corte territoriale, ancorché implicitamente (ma perspicuamente), ha pronunciato sulla specifica censura relativa al capo della decisione di primo grado con cui erano state compensate le spese del giudizio.

La Corte di merito, infatti, dopo avere osservato che rientrava nei poteri del primo giudice disporre una riduzione della somma dovuta rispetto a quella indicata nel precetto (sull’evidente presupposto che la domanda di nullità del precetto doveva ritenersi contenere in sé quella di determinazione di un minore valore), ha aggiunto che “l’esito complessivo del giudizio… ha visto la reciproca soccombenza delle parti”, con ciò ritenendo integrati i presupposti per disporre la compensazione anche delle spese del grado di appello.

Con ciò la Corte territoriale, pur sinteticamente, ha preso posizione sulla censura formulata dall’appellante in ordine al capo delle spese, correttamente stigmatizzandone l’infondatezza, in quanto l’integrale soccombenza dell’Inps, pretesa dall’appellante, avrebbe presupposto l’integrale rigetto dell’opposizione da esso proposta, mentre il suo parziale accoglimento, come perspicuamente risulta anche dal dispositivo della sentenza di primo grado, trascritto a p. 11 del ricorso per cassazione (“accoglie parzialmente l’opposizione…”), proiettava le parti in una posizione di reciproca soccombenza la quale costituisce lo specifico presupposto della compensazione delle spese, che appare quindi pienamente legittima.

2. Con il secondo motivo (“Violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3 con riguardo agli artt. nonché ex art. 360 c.p.c., n. 5”), la ricorrente critica la sentenza impugnata per avere ritenuto corretta la decisione di primo grado nella parte in cui aveva quantificato nella somma di Euro 1.158,25, anziché nella maggior somma di Euro 2.328,74, l’importo ancora dovutole dall’INPS a seguito del parziale accoglimento dell’opposizione a precetto.

Deduce che indebitamente la Corte territoriale aveva attribuito valore confessorio al conteggio contenuto nella memoria difensiva di costituzione nel giudizio di opposizione, omettendo invece di valutare la determinante circostanza che, nelle successive note difensive autorizzate, depositate in primo grado e trascritte nell’atto di appello (ultimo scritto difensivo ritualmente depositato), era contenuta la diversa dichiarazione, pure essa di valore confessorio, secondo cui il credito residuo era quantificabile in Euro 2,328,74.

2.2. Il motivo è inammissibile per plurime ragioni.

In primo luogo, nella parte in cui, evocando l’art. 360 c.p.c., n. 3, deduce la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, omette di indicare le regole sostanziali che sarebbero state violate, con ciò disattendendo la prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., n. 4, la quale trova fondamento nei principi di tassatività e specificità che regolano la formulazione tecnica dei motivi di ricorso per cassazione.

In secondo luogo, nella parte in cui, evocando l’art. 360 c.p.c., n. 5, deduce l’omesso esame di un fatto decisivo, non tiene conto che il “fatto” di cui può denunciarsi con ricorso per cassazione l’omesso esame, ai sensi della norma sopra citata, deve essere un fatto storico vero e proprio avente carattere di fatto principale, ex art. 2697 c.c. (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o di fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale) e deve altresì possedere i due necessari caratteri dell’essere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) e dall’aver formato oggetto di controversia tra le parti (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053; Cass. 29/10/2018, n. 27415; Cass. 08/09/2016, n. 177761), sicché non costituisce omissione censurabile ai sensi della norma in esame la non condivisa valutazione del contenuto degli atti processuali, allorché, come nella specie, si rimprovera al giudice di merito di avere attribuito rilevanza al contenuto della memoria difensiva di costituzione (art. 416 c.p.c.) anziché al diverso contenuto delle successive note autorizzate (art. 420 c.p.c.).

In terzo luogo, infine, trova applicazione, nel caso di specie, l’esclusione – prevista dall’art. 348-ter c.p.c., u.c. – della possibilità di ricorrere per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, vertendosi in ipotesi di sentenza d’appello che conferma la decisione di primo grado (c.d. “doppia conforme”).

Al riguardo, questa Corte ha da tempo chiarito che la predetta esclusione si applica, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012 (nella specie, il ricorso in appello è stato depositato il 25 settembre 2013), e che il presupposto di applicabilità della norma risiede nella c.d. “doppia conforme” in facto, sicché il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., ha l’onere – nella specie non assolto – di indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 06/08/2019, n. 20994; Cass. 22/12/2016, n. 26774; Cass. 18/12/2014, n. 26860).

3. In conclusione, il ricorso proposto da Eleonora Beccari deve essere dichiarato inammissibile.

7. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

8. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.500,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Quarta Sezione Civile, il 15 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2022

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