Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4316 del 20/02/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 20/02/2017, (ud. 23/11/2016, dep.20/02/2017),  n. 4316

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VENUTI Pietro – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22369-2015 proposto da:

A.G., C.F. (OMISSIS), domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e

difeso dall’Avvocato EMANUELE DI MASO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

SICURITALIA S.P.A., P.I. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

FRANCESCO DENZA 3, presso lo studio dell’avvocato ANGELO MARTUCCI,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato LUIGI GRANATO,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 909/2015 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 31/07/2015 R.G.N. 397/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/11/2016 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA;

udito l’Avvocato DI MASO EMANUELE;

udito l’Avvocato MARTUCCI ANGELO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Bologna in data 23.5.2014 A.G., già dipendente di SICURITALIA spa, con mansioni di guardia particolare giurata, impugnava il licenziamento intimatogli per sopravvenuta inidoneità alla mansione in data 25.2.2014.

Deduceva di essere divenuto inabile alla mansione a seguito di infortunio sul lavoro e chiedeva la condanna del datore di lavoro alla reintegra in mansioni compatibili con il proprio stato di salute ed al risarcimento del danno.

Il giudice del lavoro, con ordinanza del 12.11.2014, rigettava la domanda.

Con sentenza del 3.4.2015 (nr. 397/2015) il Tribunale, in accoglimento della opposizione del lavoratore, dichiarava la illegittimità del licenziamento e condannava SICURITALIA spa alla reintegra in servizio del dipendente ed pagamento di una indennità pari a diciotto mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

La Corte d’appello di Bologna, con sentenza del 31 luglio 2015 (nr. 909/2015), accoglieva il reclamo di SICURITALIA spa, dichiarava assorbito il reclamo incidentale con il quale l’ A. chiedeva l’applicazione dell’art. 18, comma 1 ed, in riforma della sentenza gravata, rigettava la domanda originaria.

La Corte territoriale, richiamata la normativa di cui alla L. n. 68 del 1999, art. 4, comma 4 rilevava che la inidoneità lavorativa derivata da un infortunio sul lavoro non costituiva giustificato motivo oggettivo di licenziamento soltanto nel caso in cui il lavoratore potesse essere riassorbito dalla organizzazione aziendale con l’assegnazione di mansioni equivalente o anche inferiori.

L’obbligo di conservazione del posto di lavoro per il lavoratore divenuto inabile in costanza di rapporto, previsto dall’art. 1, comma 7 cit. legge, trovava, dunque, un limite nella possibilità per il datore di lavoro di trarre utilità dalla prestazione; una diversa interpretazione avrebbe posto problemi di compatibilità con l’art. 41 Cost..

La interpretazione accolta trovava riscontro nel D.P.R. n. 333 del 2000, art. 3, comma 3 (decreto attuativo della L. n. 68 del 1999); la norma prevedeva l’avviamento presso altro datore di lavoro, senza inserimento nella graduatoria e con diritto di precedenza, in favore dei lavoratori divenuti disabili in costanza di rapporto per infortunio o malattia professionale ove non potessero essere adibiti in mansioni equivalenti o inferiori compatibili con il proprio stato di salute.

Nella fattispecie di causa l’istruttoria aveva accertato che presso la sede di Bologna erano impiegate soltanto guardie giurate provviste di autorizzazione prefettizia e che presso il settore amministrativo di SICURITALIA non vi erano posizioni lavorative disponibili; aveva inoltre accertato che non venivano espletati servizi di reception, portierato o centralino.

Era stato dunque assolto l’onere probatorio a carico del datore di lavoro.

L’ A., del resto, non aveva fatto riferimento alcuno a qualsiasi posizione lavorativa disponibile.

Le assunzioni effettuate da SICURITALIA successivamente al licenziamento riguardavano professionalità non comparabili a quella del terzo livello contrattuale, riconosciuto all’ A., essendo stati assunti un dirigente ed un ingegnere edile, professionalità superiori a quelle del reclamato.

L’ A. aveva fondato l’obbligo di mantenimento in servizio sulla convenzione stipulata da SICURITALIA in data 2.4.2013 con l’assessorato alla politiche del Lavoro della Provincia di Como, che prevedeva l’obbligo della società di procedere a quattro assunzioni obbligatorie, con cadenza annuale, tra il 31.3.2014 ed il 31.3.2017.

Nella fattispecie di causa era tuttavia pacifico che al momento del licenziamento, del 25 febbraio 2014, all’ A. residuassero postumi permanenti dell’infortunio in misura del 20%; solo successivamente, in data 29 luglio 2014, a seguito di richiesta di aggravamento, la Commissione Medica accertava che la capacità lavorativa dell’ A. era ridotta nella misura del 52%.

Il D.P.R. n. 333 del 2000, art. 3, commi 2 e 4 – prevedeva la computabilità nella percentuale delle assunzioni obbligatorie anche dei lavoratori divenuti invalidi per infortunio sul lavoro o malattia professionale in misura superiore al 33%; pertanto, anche in presenza della convenzione, la illegittimità del licenziamento avrebbe potuto venire in discussione soltanto ove l’invalidità dell’ A. fosse stata superiore al 33% al momento del recesso.

Per la Cassazione della sentenza ricorre A.G., articolando due motivi. Resiste con controricorso SICURITALIA spa, illustrato con memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente ha denunziato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, della L. n. 68 del 1999, del D.Lgs. n. 81 del 2008, del D.Lgs. n. 216 del 2003 nonchè omesso esame di fatti decisivi per il giudizio.

Ha assunto la erronea valutazione da parte del giudice del reclamo delle risultanze istruttorie e della complessiva realtà aziendale della SICURITALIA spa.

Ha richiamato le disposizioni costituzionali di tutela del lavoro e le norme del D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 41 e 42; ha dedotto essere onere del datore di lavoro dimostrare che l’adeguamento della struttura aziendale al fine di consentire l’utilizzo delle residue capacità lavorative del dipendente eccedesse la misura della ragionevolezza, prevista nella direttiva CE 2000/78.

Ha esposto che la SICURITALIA spa occupava circa 2000 dipendenti, inquadrati nel ruolo tecnico operativo nonchè in quello amministrativo.

Ha contestato le conclusioni della sentenza sia quanto al fatto che presso la sede di Bologna fossero impiegate solo guardie giurate sia in punto di impossibilità del suo reimpiego nel settore amministrativo.

La azienda stessa esponeva nel sito INTERNET di svolgere nel settore della vigilanza tipologie di servizio che non richiedevano la qualifica di guardia particolare giurata (antitacchettaggio, trattamento denaro) o che, pur richiedendo detta qualifica, non richiedevano l’utilizzo dell’arma da fuoco (centrale operativa, radiolocalizzazione, telecontrollo).

Ha denunziato la confusione in cui era incorso il giudice del reclamo tra qualifica di guardia giurata – che egli continuava a ricoprire – e le mansioni di guardia giurata, cui egli era stato dichiarato inidoneo per un problema agli arti superiori.

Ha dedotto, inoltre, che le assunzioni successive al suo licenziamento dimostravano che la attività aziendale richiedeva anche profili non-operativi.

Ha assunto:

– che SICURITALIA non aveva adempiuto al suo onere di dimostrare la impossibilità di repechage, anche attraverso riadattamenti organizzativi;

– che nella sede di Bologna era presente il settore amministrativo -contrariamente a quanto affermato in sentenza – come dimostrato dalla ricerca di personale effettuata in data 18.9.2015 attraverso una agenzia operante sul web;

– che egli aveva indicato i ruoli che avrebbe potuto ricoprire e che, comunque, l’onere della prova dell’impossibilità di reimpiego era a carico del datore di lavoro.

Il motivo è infondato.

Sotto il profilo della violazione delle norme di diritto il ricorrente si limita a richiamare la normativa applicabile, alla quale ha fatto riferimento anche il giudice del reclamo; resta, invece, del tutto inosservato l’onere di specificare, da un lato, le statuizioni della sentenza che configurerebbero una violazione o una falsa applicazione della suddetta normativa, dall’altro le ragioni per le quali la interpretazione del giudice del reclamo non sarebbe corretta.

Con il motivo, piuttosto, si censura l’accertamento del fatto effettuato dal giudice del merito, in particolare relativamente alla impossibilità della ricollocazione del lavoratore nella struttura aziendale, accertamento di fatto censurabile nella sede di legittimità unicamente sotto il profilo del vizio della motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5.

Il nuovo testo del n. 5) dell’art. 360 c.p.c., – applicabile ratione temporis – introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”.

Il motivo difetta della identificazione del preciso fatto storico il cui esame sarebbe stato omesso nonchè del “come” e del “quando” tale fatto sia stato portato alla attenzione del giudice del merito; il ricorrente indica più elementi di fatto senza alcun riferimento agli atti processuali ed alle risultanze di causa.

Nè può tacersi che l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo, previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (Cass. S.U. 22.9.2014 nr 19881; Cass. S.U. 7.4.2014 nr. 8053).

2. Con il secondo motivo il ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione della L. n. 68 del 1999, art. 1, comma 7, art. 3, comma 1, lett. a), art. 3, comma 4 e del D.P.R. n. 333 del 2000, art. 33.

Ha richiamato il contenuto delle disposizioni citate nella rubrica del motivo, ha ripercorso la vicenda dell’infortunio su lavoro occorsogli in data (OMISSIS) e dei postumi invalidanti alla mano sinistra, per i quali era stato dichiarato inidoneo alla mansione specifica.

Ha dedotto che il giudice del reclamo aveva confuso la inidoneità alla mansione con il possesso della qualifica di guardia particolare giurata, che egli continuava a rivestire, tanto che non gli era stato revocato il porto d’armi.

Ha assunto di possedere al momento del licenziamento tutti i requisiti per la applicazione del D.P.R. n. 333 del 2000, art. 3, commi 2 e 4 che prevedeva il computo nella percentuale di riserva per il collocamento obbligatorio dei lavoratori divenuti invalidi per infortunio sul lavoro (o malattia professionale) in grado superiore al 33%.

Ha esposto di avere presentato richiesta di aggravamento immediatamente dopo il riconoscimento da parte della commissione medica di una invalidità del 20% e che il grado di invalidità accertato dalla Commissione medica in data (OMISSIS) era del 52% con decorrenza retroattiva dal 28.1.2013; in relazione a tale grado di invalidità l’INAIL gli aveva riconosciuto la rendita con decorrenza dal 28.1.2013.

Ha denunziato l’errore commesso dal giudice del’appello nello statuire che al momento del licenziamento residuassero postumi in misura del 20%.

Ha ricordato che con convenzione del 2.4.203 – conclusa ai sensi della L. n. 68 del 1999, art. 11, commi 1 e 2 – la SICURITALIA si era impegnata nei confronti dell’assessorato alle politiche del lavoro della provincia di Como ad assumere quattro invalidi, con cadenza annuale, tra il 31.3.2014 ed il 31.3.2017.

In data 1.2.2014 la SICURITALIA aveva assunto, in esecuzione della convenzione, il dipendente S., a breve distanza di tempo rispetto al suo licenziamento; ancor più SICURITALIA avrebbe dovuto garantire il suo posto di lavoro in riferimento alle assunzioni previste negli anni 2015 e 2016.

Il motivo non sfugge ai rilievi già evidenziati in relazione al primo motivo.

La esposizione delle norme di diritto resta del tutto slegata dalla denunzia di specifici errori di interpretazione o di applicazione commessi dal giudice del reclamo.

Il motivo investe, piuttosto, la ricostruzione del fatto operata in sentenza quanto al grado di invalidità derivato all’ A. dall’infortunio alla data del licenziamento, che il giudice del merito ha individuato nel 20% (percentuale inferiore a quella prevista per il computo dei dipendenti invalidi per infortunio su lavoro o malattia professionale nella quota delle assunzioni obbligatorie) e che il ricorrente assume pari, invece, al 52%.

Sul punto il motivo difetta di specificità; è carente la trascrizione del documento della Commissione medica del (OMISSIS) posto a fondamento della censura – e la sua localizzazione nell’ambito degli atti processuali – onde consentire a questa corte di verificare la effettiva decorrenza retroattiva della percentuale di invalidità riconosciuta, in contrasto con l’accertamento compiuto al riguardo dal giudice del merito; il ricorrente non adempie poi all’onere, previsto a pena di improcedibilità del motivo dall’art. 369 c.p.c., n. 4, di provvedere al deposito del suddetto documento unitamente al ricorso.

Resterebbe, poi, comunque insuperabile il rilievo che il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 concerne l’omesso esame di fatti e non riguarda, dunque, fatti esaminati in sentenza.

Il ricorso deve essere pertanto respinto.

Le spese si compensano tra le parti in ragione dell’esito alterno della lite nelle fasi di merito. Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto il comma 1 quater al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13,) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

PQM

Rigetta il ricorso.

Compensa le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 23 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2017

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