Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4314 del 20/02/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 20/02/2017, (ud. 23/11/2016, dep.20/02/2017),  n. 4314

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VENUTI Pietro – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19776-2014 proposto da:

A.T., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZA MARTIRI DI BELFIORE 2, presso lo studio dell’avvocato

RICCARDO CHILOSI, che lo rappresenta e difende, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ENZO

MORRICO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

VALERIA COSENTINO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 131/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 19/02/2014 R.G.N. 11267/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/11/2016 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA;

udito l’Avvocato CHILOSI RICCARDO;

udito l’Avvocato GIANNI’ GAETANO per delega orale Avvocato MORRICO

ENZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Roma in data 16.11.2010 A.T., già dipendente di RFI – RETE FERROVIARIA ITALIANA spa (in prosieguo, per brevità: RFI spa) con qualifica ultima di quadro di 9^ categoria e profilo di Ispettore Capo aggiunto, impugnava il licenziamento disciplinare intimatogli in data 15 giugno 2010 per violazione dei doveri di controllo connessi alla funzione di direttore dei lavori relativamente alle opere appaltate alla società LIMA 2013 srl, capogruppo di una A.T.I., sulla linea ROMA – GROSSETO deducendo la carenza di tempestività della contestazione disciplinare e, comunque, la assenza di giusta causa e giustificato motivo.

Il Giudice del lavoro rigettava la domanda (con sentenza del 30 giugno 2011 nr. 12137/2011). La Corte d’appello di Roma, con sentenza del 10.1.2013-19.2.2014 (nr. 131/2014), rigettava l’appello del lavoratore.

Osservava che RFI spa era venuta a conoscenza dei fatti contestati all’ A. soltanto in data 20 maggio 2010, all’esito della indagine interna disposta a seguito del procedimento penale aperto della Procura della Repubblica di Civitavecchia (RG 1408/09) nei confronti dell’ A., di cui RFI aveva avuto notizia in data 12.1.2010, all’atto della perquisizione effettuata presso la postazione di lavoro.

La conoscenza dei fatti non poteva farsi risalire, come sostenuto dall’appellante, al precedente sequestro effettuato dallo stesso ufficio di Procura nel febbraio 2009 giacchè il procedimento penale era in tal caso a carico di altro dipendente ed il sequestro era stato eseguito in luogo diverso dalla sede di lavoro dell’ A..

Infondata era altresì la censura con la quale l’appellante assumeva che i controlli relativi alla redazione dei bandi di gara ed alla verifica del possesso dei requisiti di partecipazione alla gara non spettavano al direttore dei lavori ma ad altre strutture di RFI.

All’ A., infatti, non erano state contestate inadempienze relative alla fase di aggiudicazione dell’appalto ma alla fase di esecuzione, per non avere verificato il personale che aveva eseguito i lavori ed autorizzato la liquidazione di somme per lavori non svolti da personale della appaltatrice ma da personale RFI.

Quanto ai compiti dell’ A., ai sensi dell’art. 13 delle condizioni generali di contratto per gli appalti delle società del gruppo FERROVIE DELLO STATO il direttore dei lavori era responsabile dell’esatto adempimento degli obblighi di legge e dei regolamenti; con l’ausilio dei propri coadiutori controllava la buona e puntuale esecuzione dell’opera, provvedeva alla verifica dei materiali impiegati, agli accertamenti in corso d’opera, alla misurazione e contabilizzazione delle parti d’opera eseguite ed ad impartire le disposizioni necessarie per il coordinamento del lavoro. L’art. 13, comma 1 prevedeva che per effettuare i controlli il direttore dei lavori ed i suoi coadiutori accedessero nei cantieri nei momenti e con la frequenza da essi stessi ritenuta necessaria e opportuna.

Un’ eventuale delega dell’ A. ai suoi collaboratori per i controlli sulle lavorazioni notturne non lo esimeva dalla responsabilità sulla regolare esecuzione dei lavori, in quanto egli era tenuto al controllo. Le omissioni imputabili all’ A. costituivano circostanza idonea a compromettere il rapporto fiduciario con il datore di lavoro ed integrante giusta causa di licenziamento.

Per la Cassazione della sentenza ha proposto ricorso A.T., articolando quattro motivi.

Ha resistito con controricorso RFI spa.

Le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – violazione dell’art. 2119 c.c. – della L. n. 300 del 1970, art. 7, commi da 2 a 4, – art. 1375 c.c. nonchè omessa attribuzione al datore di lavoro dell’onere della prova in ordine: alla tempestività della contestazione disciplinare, alla inesistenza di responsabilità per la tardiva conoscenza dei fatti, al collegamento tra i fatti venuti a sua conoscenza e quelli posti a base della contestazione.

La censura investe la statuizione del giudice dell’appello sulla tempestività della contestazione disciplinare.

Il ricorrente ha rilevato che i fatti contestati si erano svolti nell’anno 2003 mentre la contestazione era avvenuta nell’anno 2010.

Ha lamentato che la Corte di merito non si era fatta carico di verificare le ragioni che avevano impedito a RFI di avere conoscenza dei fatti ed in particolare:

– la organizzazione aziendale, i criteri di verifica delle procedure, la competenza dell’ufficio gare e dell’ufficio legale sulla verifica di idoneità delle ditte partecipanti alla gara, il fatto che egli era stato incaricato di curare i lavori dopo la aggiudicazione dell’appalto e l’avvio delle opere;

– le eventuali contestazioni disciplinari rivolte ai dipendenti (il Direttore Compartimentale Infrastrutture e l’Ufficio Legale) incaricati di verificare i presupposti di ammissione delle ditte alla gara;

– le strutture aziendali preposte alla verifica delle maestranze adibite ai lavori sulla tratta Roma/Civitavecchia, specie di notte e le responsabilità di altri dipendenti, come il capo tronco di Civitavecchia;

– le eventuali sanzioni disciplinari adottate nei confronti dei responsabili di altre strutture aziendali (Unità Territoriale preposta al tronco di Montalto e Reparto Infrastrutture, aventi rispettivamente il compito di contabilizzare le prestazioni del personale RFI e di controllare la corretta contabilizzazione).

Il ricorrente ha assunto che la omissione di tali accertamenti aveva determinato la omessa verifica della mancanza di conoscibilità dei fatti contestati, il cui onere probatorio cadeva a carico di RFI.

Ha lamentato il mancato esame del contenuto del decreto di perquisizione notificato a RFI in data 12.1.2010, che non giustificava il ritardo della contestazione e la mancata motivazione quanto al fatto che alcune anomalie di agevole verifica – quali la mancanza di idoneità della società LIMA 2013 – non fossero conoscibili da RFI.

Ha comunque affermato la conoscibilità concreta da parte di RFI di anomalie nella gestione dell’appalto sin dalla data del decreto di sequestro della Procura di Civitavecchia, del febbraio 2009.

In ogni caso la mancanza di conoscibilità – ove ritenuta esistente per la società – doveva essere ritenuta anche nella sua posizione.

La società RFI spa si era resa inadempiente alle sue richieste di accesso agli atti ed il giudice dell’appello aveva disatteso la richiesta di esibizione dei documenti, dai quali sarebbe emersa una preventiva conoscenza da parte del datore di lavoro dei fatti a lui addebitati.

Il motivo è infondato.

Sotto il profilo della violazione di norme di diritto, deve muoversi dal principio ripetutamente affermato da questa Corte – e qui condiviso – secondo cui la tempestività della contestazione deve essere valutata partendo dal momento dell’avvenuta conoscenza da parte del datore di lavoro della situazione contestata e non dell’astratta percettibilità o conoscibilità dei fatti stessi (Cassazione civile, sez. lav., 19/05/2016, n. 10356; n. 26304/14; nr. 25070/2013; 20823/2013; n. 23739/2008, n. 21546/2007).

La tempestività della contestazione e del licenziamento poi, la cui “ratio” riflette l’esigenza di osservanza della regola di buona fede e correttezza nell’attuazione dei rapporto di lavoro, devono essere intesi in senso relativo, potendo essere compatibili, in relazione al caso concreto ed alla complessità dell’organizzazione del datore di lavoro, con un intervallo di tempo necessario per l’accertamento e la valutazione dei fatti contestati, così come per la valutazione delle giustificazioni fornite dal dipendente (ex plurimis: Cass. Sez. lav. 14.5.2015 nr. 9903; 4.2.2015 nr. 20121; 23.1.2015 nr. 1247; 11.9.2013 nr. 20823; 10.9.2013 nr. 20719).

In sostanza, il datore di lavoro deve procedere alla formale contestazione dei fatti addebitabili al lavoratore dipendente non appena ne venga a conoscenza e appaiano ragionevolmente sussistenti.

La Corte di merito non si è discostata da tali principi, poichè ha affermato che il datore di lavoro era venuto a conoscenza dei fatti addebitati all’ A. soltanto a seguito della perquisizione della sua postazione di lavoro in data 12 gennaio 2010.

In relazione a tale accertamento di fatto, ha correttamente ritenuto tempestiva la contestazione del 26 maggio 2010 giacchè lo spazio temporale così delimitato appare congruo a contemperare, da un lato, la esigenza di una adeguata ponderazione dei fatti, nell’interesse dello stesso lavoratore, dall’altro quella di consentire al lavoratore una adeguata difesa.

L’accertamento da parte del giudice del merito del momento storico in cui il datore di lavoro acquisisce la conoscenza del fatto disciplinare è invece un accertamento di fatto, sindacabile in sede di legittimità soltanto sotto il profilo del vizio della motivazione.

Sotto tale aspetto il motivo è inammissibile.

Nella fattispecie di causa trova applicazione ratione temporis (ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3) il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (la sentenza impugnata è stata pubblicata in data successiva all’11 settembre 2012) sicchè il vizio della motivazione è deducibile soltanto in termini di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”.

Il ricorrente non adempie a tale onere di allegazione, in quanto non indica un preciso e concreto fatto storico non esaminato in sentenza che abbia carattere decisivo e controverso; piuttosto si duole:

– dell’apprezzamento compiuto dal giudice del merito relativamente a fatti esaminati, quali il decreto di sequestro penale del febbraio 2009;

– del mancato esame di fatti generici (la organizzazione aziendale e, nell’ambito di essa, dei vari livelli di competenza e controllo), come tali non decisivi;

– del mancato esame di fatti addirittura eventuali (quali le contestazioni mosse e le sanzioni irrogate ad altri dipendenti per gli stessi fatti).

Manca conclusivamente la denunzia dell’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, con indicazione delle ragioni della decisività del fatto non esaminato.

Del pari inammissibile è la censura relativa alla attribuzione dell’onere della prova; la violazione della regola di ripartizione dell’onere della prova rileva quando il giudice del merito, in assenza della prova del fatto controverso, applichi la regola di giudizio di cui all’art. 2697 c.c., individuando come soccombente la parte a cui carico cade l’onere della prova.

Nella fattispecie di causa il giudice dell’appello ha ritenuto provato che la conoscenza dei fatti da parte del datore di lavoro risalisse al gennaio 2010; non hanno influito sulla decisione, dunque, la distribuzione dell’onere probatorio e le conseguenze del suo mancato assolvimento.

2. Con il secondo motivo il ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. in relazione all’art. 2105 c.c. e dell’art. 2697 c.c.; violazione del principio dell’onere della prova in ordine alla individuazione delle proprie responsabilità lavorative ed alla inesistenza di responsabilità organizzative del datore di lavoro o di strutture e soggetti diversi; vizio di omessa motivazione per mancato esame di eventi, fatti, documenti, responsabilità di strutture diverse da quella cui egli era preposto.

Ha lamentato il mancato esame del contenuto delle proprie mansioni, che erano state identificate dal datore di lavoro facendo riferimento alle attribuzioni del direttore dei lavori indicate nelle condizioni generali di contratto per gli appalti delle società del gruppo Ferrovie dello Stato, art. 13.

Ha dedotto che la definizione delle competenze del direttore di lavori rilevava nei rapporti con le imprese appaltatrici e non nei rapporti tra la società ed i propri dipendenti.

Le funzioni e responsabilità di direttore dei lavori non venivano mai assegnate da RFI ad un unico tecnico ma a varie strutture, articolate in tre fasi dell’appalto: 1) verifica dei requisiti delle società appaltatrici; 2) verifica del personale aziendale assegnato a supporto delle lavorazioni; 3) verifica della corretta esecuzione delle opere e del rispetto della tempistica dei lavori.

1) i controlli sulla redazione dei bandi di gara e la verifica dei requisiti dei partecipanti alla gara erano rimessi alle strutture: Direzione Compartimentale Infrastruttura, Struttura Organizzativa Legale, Commissione per l’espletamento della gara;

2) La verifica del personale addetto alle lavorazioni era attribuita al capo tronco ed al capo reparto tecnico Gestione Lavori, con i quali il direttore dei lavori doveva interfacciarsi;

3) La sua funzione consisteva unicamente nel controllo, tipico di un ingegnere edile, del rispetto delle date di consegna e della esecuzione a regola d’arte delle opere.

Il motivo è inammissibile sotto il profilo della violazione delle norme di diritto.

Il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di una erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa mentre la allegazione – come prospettata nella specie da parte del ricorrente – di una erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze di causa, è esterna alla esatta interpretazione delle norme di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice del merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cassazione civile, sez. un., 12/05/2009, n. 10854).

Nella fattispecie l’oggetto della denunzia consiste nell’accertamento di fatto, compiuto dal giudice del merito, dei suoi compiti e responsabilità in qualità di direttore dei lavori.

Tale accertamento è in questa sede censurabile soltanto nei termini di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Sul punto il motivo è inammissibile per le ragioni già evidenziate in riferimento al primo motivo; il ricorrente non adempie all’onere di individuare il fatto storico decisivo il cui esame sarebbe stato omesso dal giudice del merito e di individuare il “come” ed il “quando” tale fatto sia stato acquisito al processo; ed invero:

– la mancanza di responsabilità dell’ A. per la fase anteriore alla aggiudicazione della gara è fatto esaminato e positivamente accertato nella sentenza impugnata – quanto alla mancanza di un obbligo di controllo sul personale che eseguiva le opere, il ricorrente non adempie all’onere di indicare “quando” e “come” il fatto sarebbe stato acquisito al processo e si limita a contestare di essere stato investito della responsabilità accertata in sentenza sulla base dell’art. 13 delle condizioni generali degli appalti RFI.

Avendo il giudice del merito positivamente accertato in fatto i compiti e le responsabilità dell’ A. non viene in rilievo invece (come già osservato in riferimento al primo motivo) la regola di giudizio di cui all’art. 2697 c.c. (di cui la Corte d’appello non ha fatto applicazione); ne consegue che il ricorrente non può dolersi di una assunta non-corretta attribuzione del carico della prova.

3. Con il terzo motivo il ricorrente ha denunziato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – omesso riferimento ad un punto determinante della controversia, consistente nei poteri di gestione del personale di supporto; erroneo convincimento circa il conferimento di una delega di funzioni ai suoi sottoposti ed il potere di scelta dei delegati.

La censura investe la ritenuta responsabilità dell’ A. per l’operato dei suoi sottoposti; il ricorrente ha assunto di essere obbligato, secondo le disposizioni ricevute, ad avvalersi per lo svolgimento delle attività di verifica di collaboratori assegnati al suo ufficio da RFI sicchè non gli era imputabile una culpa in eligendo.

Ha dedotto, inoltre, di non avere avuto materialmente la possibilità di controllare nel corso delle 24 ore le maestranze addette alle lavorazioni e, comunque, di non avere l’obbligo di controllo su collaboratori che la stessa società gli aveva affiancato (quali il capo reparto tecnico gestione lavori).

Il motivo è inammissibile.

Difetta la indicazione di un fatto materiale controverso, decisivo e non esaminato dal giudice del merito;il ricorrente, piuttosto, censura le valutazioni del giudice del merito contrapponendo ad esse un proprio diverso convincimento circa la assenza di un obbligo di controllo sui propri collaboratori.

Sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 è omessa la indicazione delle norme di diritto violate; in ogni caso la censura è infondata, giacchè dalla posizione di supremazia di un dipendente nell’organigramma aziendale deriva l’obbligo di coordinamento e di controllo dei colleghi di lavoro secondo l’ordine gerarchico, nell’interesse del datore di lavoro.

4. Con il quarto motivo, proposto in via subordinata, il ricorrente ha dedotto violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti ed accordi collettivi nazionali di lavoro. Omesso esame delle ipotesi di licenziamento per giusta causa definite dalle parti collettive. Violazione della L. n. 183 del 2010, art. 30 e art. 2106 c.c..

Il ricorrente ha dedotto la mancanza di proporzionalità della sanzione rispetto ai fatti contestati ed ha lamentato il mancato esame da parte del giudice del merito dell’art. 59 del CCNL, prevedente la sanzione del licenziamento per giusta causa unicamente per condotte dolose; tra le previsioni dell’art. 59 l’unica astrattamente riconducibile ai fatti di causa era quella contemplata alla lett. c), relativa alla violazione dolosa di leggi, di regolamenti e dei doveri che potesse arrecare o avesse arrecato forte pregiudizio all’azienda o a terzi.

L’art. 58 del CCNL prevedeva, invece, alla lett. c) quale fattispecie di licenziamento per giustificato motivo soggettivo le irregolarità, trascuratezze o negligenze (o la inosservanza di leggi,regolamenti o degli obblighi di servizio) dalle quali fosse derivato pregiudizio alla sicurezza dell’esercizio con gravi danni alle cose o alle persone. Il licenziamento con preavviso, previsto per le condotte colpose, richiedeva dunque il verificarsi di un danno grave, presupposto mancante nella condotta addebitatagli, posto che le partite economiche tra la RFI e la società LIMA 2013 erano ancora aperte e, che, comunque la società datrice di lavoro non aveva offerto la prova del danno.

L’art. 56 del CCNL alla lett. e) prevedeva, invece, la sanzione della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per inosservanza di leggi, regolamenti o degli obblighi di servizio. Il ricorrente ha lamentato che il giudice del merito non si era attenuto alle previsioni del CCNL, sul punto vincolanti, che prevedevano per i fatti una sanzione conservativa.

Ha aggiunto che, anche indipendentemente dalle previsioni del codice disciplinare, la fattispecie concreta non integrava una ipotesi di giusta causa o giustificato motivo di licenziamento.

Il motivo è inammissibile sotto il profilo della dedotta violazione delle norme del CCNL per novità della censura.

Il ricorrente non ha adempiuto al proprio onere di indicare in quali forme era stata portata alla attenzione del giudice del merito la disciplina contenuta nel CCNL, che in sentenza non è stata in alcun modo esaminata.

Stante la struttura chiusa del giudizio di legittimità, in esso non possono essere introdotte questioni che non siano state già sollevate nei gradi di merito.

Qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di specificità del ricorso stesso, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminarne il merito.

Del pari non risulta assolto l’onere di provvedere al deposito del testo integrale del CCNL; quando sia denunziata in ricorso la violazione di norme del contratto collettivo la deduzione della violazione deve esser accompagnata dal deposito integrale della copia del contratto collettivo (Cass. SU nr. 20075/2009) o dalla indicazione della sede processuale in cui detto testo è rinvenibile (CASS. SU nr. 25038/2013).

Sotto il profilo dell’art. 2119 c.c. il giudizio di sussistenza della giusta causa di licenziamento non è affetto dal vizio di diritto denunziato, avendo il giudice del merito correttamente affermato che il mancato controllo della esecuzione dei lavori – tale da avere consentito che gli stessi fossero eseguiti non già da personale dell’appaltatore ma da dipendenti della stessa appaltante – e la successiva autorizzazione alla liquidazione della spesa in favore dell’appaltatore, costituiscono grave violazione degli obblighi di verifica della esecuzione dell’appalto – (che il giudice del merito ha accertato essere in capo all’odierno ricorrente) – tale da giustificare il venir meno del vincolo fiduciario.

Il ricorso deve essere conclusivamente respinto.

Le spese seguono la soccombenza.

Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto il comma 1 quater al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 100 per spese ed Euro 3.500 per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 23 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2017

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