Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4313 del 20/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 20/02/2020, (ud. 06/11/2019, dep. 20/02/2020), n.4313

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22207-2017 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE (OMISSIS), in persona del

procuratore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, P.ZA

BARBERINI 12, presso lo studio dell’avvocato ALFONSO PAPA MALATESTA,

rappresentata e difesa dall’avvocato RICCARDO STURLESE;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE

BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO,

rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONINO SGROI, GIUSEPPE

MATANO, ESTER ADA VITA SCIPLINO, CARLA D’ALOISIO, LELIO MARITATO,

EMANUELE DE ROSE;

– resistente –

e contro

A.F.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 372/2017 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 17/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 06/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott.ssa DORONZO

ADRIANA.

Fatto

RILEVATO

che:

con sentenza pubblicata in data 17/7/2017, la Corte di Appello di Genova ha confermato la sentenza resa dal giudice di primo grado che aveva accolto l’opposizione proposta da A.F. contro l’intimazione di pagamento notificata da Equitalia Servizi di riscossione S.p.A. in data 1/4/2016 ed avente ad oggetto contributi previdenziali relativi agli anni 2002, 2003, 2005-2007 non versati all’Inps;

ad avviso della Corte territoriale, correttamente il primo giudice aveva ritenuto i crediti previdenziali prescritti essendo decorsi cinque anni tra la data di notifica delle cartelle di pagamento (avvenuta tra l’aprile 2005 e il febbraio 2009) e la data di notifica della intimazione (~in data 1/4/2016);

per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate – Riscossione affidato a due motivi, mentre l’intimato non ha svolto attività difensiva;

l’Inps ha depositato procura in calce alla copia del ricorso notificato;

è stata depositata la proposta del relatore ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

che

con il primo articolato motivo di ricorso si deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2946 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3): si assume l’erroneità della sentenza nella parte in cui la Corte territoriale non ha applicato il termine di prescrizione ordinario decennale, trattandosi di crediti iscritti a ruolo sulla base di cartelle di pagamento non impugnate; si evidenzia che l’applicabilità del predetto termine non deriverebbe dall’art. 2953 c.c. ma dal fatto che l’Agente di Riscossione azionerebbe non già l’originario credito bensì un credito novato, dal punto di vista soggettivo, a seguito della formazione del ruolo e della conseguente cartella di pagamento, e divenuto “irretrattabile” a seguito della mancata opposizione nei termini della cartella stessa;

il motivo è inammissibile ex art. 360 bis c.p.c., n. 1, alla luce del principio di diritto affermato dalle Sezioni unite con la sentenza 17 novembre 2016, n. 23397, secondo cui: ” La scadenza del termine pacificamente perentorio – per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 3, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche la cd. “conversione” del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale, secondo la L. n. 333 del 1993, art. 3, commi 9 e 10) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell’art. 2933 c.c.. Tale ultima disposizione, infatti, si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato. Lo stesso vale per l’avviso di addebito dell’INPS, che, dall’1 gennaio 2011, ha sostituito la cartella di pagamento per i crediti di natura previdenziale di detto Istituto (D.L. n. 78 del 2010, art. 30, conv., con modif., dalla L. n. 122 del 2010)”;

le argomentazioni contenute nel ricorso non valgono a scalfire le ragioni di cui alla motivazione della citata sentenza n. 23397/2016 (qui da intendersi richiamata anche ai sensi dell’art. 118 disp.att. c.p.c., comma 1), e che ha trovato conferma in innumerevoli successive pronunce (da ultimo Cass. 27 settembre 2018, n. 23418; da ultimo, Cass. 17/1/2019, n. 1088, Cass. 8/3/2019, n. 6888);

l’affidamento in riscossione, ai sensi di legge e secondo le modalità previste per le imposte dirette (L. n. 576 del 1980, art. 18, comma 5, seconda parte, in relazione al D.P.R. n. 602 del 1973) comporta, per un verso, la preposizione del concessionario quale adiectus solutionis causa (art. 1188 c.c.) e, per altro verso, assume i contenuti propri del mandato, con rappresentanza ex lege, a compiere quanto necessario perchè il pagamento possa avvenire, in forma spontanea, oppure a dare corso alle azioni esecutive secondo la disciplina propria dell’esecuzione forzata speciale (Cass. 26 ottobre 2018, n. 27218, in motivazione), senza che ciò comporti una novazione soggettiva dell’originaria obbligazione;

neppure giova il richiamo al D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 20 comma 6, che prevede un tetinine di prescrizione strettamente inerente al procedimento amministrativo per il rimborso delle quote inesigibili, che in alcun modo può interferire con lo specifico termine di prescrizione previsto dalla legge per azionare il credito nei confronti del debitore (in tal seno da ultimo, Cass. 8/3/2019, n. 6888);

con il secondo motivo si censura la decisione della Corte territoriale per non aver compensato le spese di lite, in ragione della novità della questione trattata;

anche il secondo motivo è inammissibile, essendo principio pacifico di questa Corte che il potere di compensazione delle spese del processo è espressione di un potere discrezionale del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità sotto il profilo dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi (Cass. 17/10/2017, n. 24502);

nessun provvedimento sulle spese deve essere adottato, in mancanza di sostanziale attività difensiva svolta dalla resistente e dall’altra parte rimasta intimata;

sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame (Cass. 17/10/2014, n. 22035; Cass. 13/5/2014, n. 10306, e numerose successive conformi).

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 6 novembre 2019.

Depositato in cancelleria il 20 febbraio 2020

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