Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4313 del 17/02/2021

Cassazione civile sez. III, 17/02/2021, (ud. 16/12/2020, dep. 17/02/2021), n.4313

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31005-2019 proposto da:

G.F., elettivamente domiciliato in Pesaro, via Castelfidardo

26, presso lo studio dell’avv. Antonio Fraternale, che lo

rappresenta e difende per procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS);

– resistente –

avverso la sentenza n. 1277/2019 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 16/08/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/12/2020 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO;

 

Fatto

RILEVATO

che:

G.F., nato il (OMISSIS) e proveniente dal (OMISSIS), ha proposto un ricorso notificato il 18 ottobre 2019, articolato in due motivi, per la cassazione della sentenza n. 1277/2019 emessa dalla Corte d’appello di Ancona e pubblicata in data 16 agosto 2019. Il Ministero dell’interno ha depositato tardivamente una comunicazione con la quale si è dichiarato disponibile alla partecipazione alla discussione orale.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in adunanza camerale non partecipata.

Il ricorrente, secondo la ricostruzione compiuta dalla sentenza di appello, ha dichiarato in sede di audizione di essere migrato prima in Libia e poi in Italia per ragioni economiche, non potendo guadagnare abbastanza in (OMISSIS) per mantenere la famiglia composta da tre fratelli piccoli, la madre ed il padre rimasto disabile a seguito di un incidente e dunque incapace di contribuire al loro mantenimento. Essendosi visto negare la protezione internazionale dalla Commissione territoriale e dal Tribunale, otteneva la cassazione della decisione con cui il suo atto di appello avverso la decisione del Tribunale di Ancona era stato ritenuto inammissibile.

Riassumeva dunque la causa innanzi alla Corte d’appello di Ancona che, senza esplicitare per quale motivo l’appello fosse stato dichiarato inammissibile, se per tardività, per genericità o altro, confermava il diniego della protezione internazionale sostenendo che alla luce della giurisprudenza di legittimità il permesso di soggiorno per motivi umanitari può essere concesso in una situazione di particolare vulnerabilità del richiedente riconducibile a tipologie situazioni ben individuate, quali ragioni di età o bisogno di cure o per impedimenti temporanei al rimpatrio. La Corte riteneva che tali situazioni non fossero state nè allegate nè dimostrate dal ricorrente, che avrebbe dovuto dimostrare, ai fini dell’accertamento di una condizione di vulnerabilità personale, a fondamento dell’accoglimento della domanda di protezione umanitaria, di appartenere a “categorie soggettive in relazione alle quali siano ravvisabili lesioni di diritti umani di particolare entità (a titolo esemplificativo cittadini stranieri affetti da patologie gravi, madri con figli minori…” (pag. 5 sent.).

Diritto

RITENUTO

che:

Il richiedente ha formulato due motivi di ricorso.

Con il primo motivo, lamenta la violazione e falsa applicazione – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5 – dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 per non aver fornito la sentenza alcuna motivazione in relazione ai fatti dedotti dal ricorrente in ordine alla protezione umanitaria.

Il ricorrente sostiene che nell’atto di riassunzione erano state riportate alcune precise indicazioni sulle ragioni della sua vulnerabilità (e le localizza nell’atto) che non sono state minimamente esaminate in motivazione, e che, al contrario, la corte d’appello ha negato che fossero state allegate.

Con il secondo motivo, il ricorrente censura la violazione e falsa applicazione – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3. Deduce che la Corte d’appello da un lato ha dedotto la mancata allegazione e dimostrazione di specifiche situazioni soggettive indicandole erroneamente come uniche rilevanti ai fini della concessione della protezione umanitaria, dall’altro ha omesso di valutare la situazione del paese di provenienza dell’istante sotto il profilo della violazione dei diritti umani nonchè le condizioni di vulnerabilità del richiedente.

I due motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi e sono fondati.

La sentenza è carente, in quanto risolve la situazione sottoposta al suo esame, peraltro a seguito di una cassazione con rinvio pronunciata affinchè si procedesse all’esame della impugnazione nel merito, con alcune lapidarie affermazioni che nella loro apodittica assertività sono errate.

Il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma h) bis, come modificato dal D.Lgs. n. 145 del 2015, ha normativamente tipizzato la riconduzione di determinate categorie di persone alla nozione di persone vulnerabili: tali sono, da considerare i minori, i minori non accompagnati, i disabili, gli anziani, le donne in stato di gravidanza, i genitori singoli con figli minori, le vittime della tratta di esseri umani, le persone affette da gravi malattie o da disturbi mentali, le persone per le quali è accertato che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale, le vittime di mutilazioni genitali.

Ciò non comporta, come ritenuto dalla corte d’appello, che la mancata appartenenza ad una di queste categorie escluda a priori che un richiedente possa egualmente essere ritenuto vulnerabile, nel grado richiesto per la concessione della protezione umanitaria: la sussistenza o meno di una condizione di particolare vulnerabilità dovrà essere valutata caso per caso, previo un accertamento di fatto, dal giudice di merito, tenendo conto sia del percorso di integrazione del migrante nel paese di arrivo, sia della situazione di deprivazione dei diritti umani che questi denuncia, per verificare se essa si collochi al disotto della soglia incomprimibile della dignità umana, e se il migrante si troverebbe esposto a tale compressione dei suoi diritti fondamentali, ove costretto a rientrare nel paese di provenienza.

Nel caso di specie, questa valutazione manca, perchè il giudice di merito si arresta alla mancata appartenenza del ricorrente ad una delle categorie normativamente indicate, senza approfondire la situazione dei diritti umani in (OMISSIS), senza far alcun riferimento a fonti attendibili e aggiornate tese ad approfondire non il profilo della esposizione ad una situazione di violenza indiscriminata ma questo particolare profilo. In particolare, il ricorrente denuncia, come causa del suo allontanamento dal paese di origine, l’esistenza non di condizioni di vita disagiate o meno agiate di quelle che costituiscono lo standard di vita occidentale, ma una situazione di povertà familiare inemendabile, riflesso di una condizione di povertà dilagante nella società del luogo che porta alla compressione di diritti umani fondamentali come il diritto al cibo, all’acqua, alle cure mediche di sopravvivenza. Circostanze tutte astrattamente idonee ad integrare una situazione che va tenuta distinta da quella che caratterizza i migranti per ragioni economiche, genericamente tesi a migliorare le proprie condizioni di vita, e la cui sussistenza e gravità devono essere accertate e valutate all’interno di una valutazione di merito che abbia la necessaria completezza.

Il ricorso va pertanto accolto, la sentenza cassata e rinviata alla corte d’Appello di Ancona in diversa composizione che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

PQM

Accoglie il ricorso, cassa e rinvia alla Corte d’appello di Ancona anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il 16 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2021

 

 

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