Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4311 del 18/02/2021

Cassazione civile sez. trib., 18/02/2021, (ud. 17/09/2020, dep. 18/02/2021), n.4311

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Presidente –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI N. M.G. – Consigliere –

Dott. CHIESI Gian Andrea – Consigliere –

Dott. D’AURIA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 29751/2014 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

nei confronti di:

CDS, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata

e difesa dall’avv. Sangiovanni Giuseppe, con domicilio eletto in

Roma, via Vittoria Colonna n. 40, presso lo studio dell’avv. di

Capua Alberto;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania n. 260/49/13 depositata il 10 dicembre 2013;

sentita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17

settembre 2020 dal Presidente Bisogni Giacinto.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

Con sentenza n. 260/49/13, depositata il 10 dicembre 2013 la Commissione tributaria regionale della Campania respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, Ufficio locale, avverso la sentenza n. 154/8/10 della Commissione provinciale tributaria di Caserta che aveva accolto il ricorso della CDS srl contro l’avviso di accertamento per imposte dirette ed IVA 2003.

La CTR, per quanto in questo giudizio rileva, osservava in particolare che, l’oggetto della devoluzione in secondo grado D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 56, doveva ritenersi delimitato alle sole questioni, fondanti le pretese creditorie erariali, della fittizietà delle operazioni oggetto dell’atto impositivo impugnato e del carattere fraudolento della relazione commerciale della CDS con la MIDAL, ai fini della detrazione di imposta con il coinvolgimento di una società sostanzialmente inesistente. Su tali questioni, secondo la CTR, il giudizio della CTP era corretto e ben argomentato, sicchè esprimeva una valutazione di piena condivisione circa l’insussistenza di elementi idonei a dimostrare la fittizietà dell’operazione commerciale e la consapevolezza della società CDS di avere partecipato o quanto meno di essere stata coinvolta in una frode fiscale.

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate deducendo tre motivi, poi illustrati con memoria.

Resiste con controricorso e deposita memoria difensiva la società contribuente.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

Con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – l’agenzia fiscale ricorrente denuncia la violazione/falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56, art. 346 c.p.c., poichè la CTR ha ritenuto non devolute in appello, in quanto non riproposte, tutte le sue allegazioni difensive non riguardanti la fittizietà soggettiva delle operazioni oggetto delle riprese fiscali, quali emergenti dal PVC prodromico all’avviso di accertamento impugnato, poi nella motivazione del medesimo trasfuse.

La censura è inammissibile, sia pure per una ragione diversa da quella eccepita dalla controricorrente (carenza di interesse ex art. 100, c.p.c.).

L’articolazione del mezzo non rispetta infatti il canone dell’autosufficienza, secondo il principio di diritto che “Il ricorso per cassazione – per il principio di autosufficienza – deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicarne specificamente, a pena di inammissibilità, oltre al luogo in cui ne è avvenuta la produzione, gli atti processuali ed i documenti su cui il ricorso è fondato mediante la riproduzione diretta del contenuto che sorregge la censura oppure attraverso la riproduzione indiretta di esso con specificazione della parte del documento cui corrisponde l’indiretta riproduzione” (Cass., n. 14784 del 15/07/2015, Rv. 636120 – 01).

In particolare l’agenzia fiscale ricorrente non ha riprodotto nel ricorso nè il contenuto delle controdeduzioni dell’Agenzia delle entrate, Ufficio locale, in sede di costituzione nel primo grado del giudizio nè il contenuto dell’atto di appello, nelle parti che rileverebbero ai fini della verifica di questa Corte della fondatezza della censura, come sussunta nelle previsioni processuali di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56, art. 346, c.p.c. ossia in termini di presunzione di rinuncia di allegazioni difensive per mancata riproposizione in sede di gravame.

Con il secondo motivo – ex art. 360, comma 1, nn. 3 e 4 – l’agenzia fiscale ricorrente lamenta la violazione/falsa applicazione degli artt. 112 e 132 c.p.c., D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 21 e 54, artt. 2697 e 2729, c.c., poichè la Commissione tributaria regionale, con motivazione meramente “apparente”, limitandosi a richiamare e condividere apoditticamente le argomentazioni contenute nella sentenza appellata, ne ha confermato il giudizio di infondatezza delle pretese creditorie portate dall’atto impositivo impugnato, con particolare riguardo al contestato profilo di inesistenza delle operazioni oggetto delle riprese e del carattere fraudolento delle stesse di cui la società CDS doveva comunque considerarsi consapevole.

Con il terzo motivo – ex art. 360 c.p.c., n. 4 – l’agenzia fiscale deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. rilevando che la C.T.R. ha fornito una motivazione apparente anche in relazione al comportamento dei primi giudici, ritenuto dalla C.T.R. indenne da qualsivoglia censura, laddove hanno chiesto all’ufficio di presentare in originale la nota n. 25/2007 e il p.v.c. della Guardia di Finanza di Corsico sulla cui base era stato adottato l’avviso di accertamento. Secondo l’agenzia ricorrente rimane incomprensibile alla luce di tale motivazione quale sia la correlazione fra il descritto comportamento processuale della C.T.P. e il contenuto della decisione adottata che peraltro non sembra in realtà aver tenuto conto nè esaminato il contenuto del p.v.c.

I due motivi che investono la motivazione della C.T.R. appaiono inammissibili oltre che infondati. Al ricorso si applica la nuova dizione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 norma che sebbene non invocata nella rubrica dei due motivi è l’unica cui poter riferire il contenuto delle censure svolte dalla Agenzia ricorrente perchè la motivazione resa dalla CTR, non consiste in un mero richiamo alla motivazione della C.T.P. inidoneo a far comprendere le ragioni per cui sono state respinte le censure dell’appellante ma consiste invece in una puntuale replica alla confusa contestazione dell’appello riportato nel testo del ricorso per cassazione. E infatti la CTR ha esposto e ribadito gli elementi di fatto in base ai quali deve escludersi che sia stata dimostrata l’inesistenza oggettiva dell’operazione cui si riferisce la richiesta di detrazione dell’IVA da parte della odierna controricorrente e anzi deve riconoscersi la sua effettività dal momento che la merce è stata documentata presso l’Agenzia delle Dogane, consegnata e pagata. L’Agenzia ricorrente insiste genericamente nell’affermare che questo non esclude che l’operazione abbia comunque posto in essere una frode fiscale ma neanche con il ricorso per cassazione fa uno specifico riferimento agli elementi di prova della inesistenza soggettiva della cessione e della rilevanza di tali elementi al fine di presumere che un operatore commerciale come la società CDS dovesse necessariamente essere in grado di riconoscere tale inesistenza. Alla base di questa mancata specificazione della censura sta l’erroneo convincimento che gravasse sul contribuente l’onere di provare di non essere coinvolto in una frode fiscale laddove invece la giurisprudenza univoca di questa Corte è nel senso di ritenere che “in tema di IVA, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti che la fatturazione attiene ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, incombe sulla stessa l’onere di provare la consapevolezza del destinatario sul fatto per cui l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi specifici, che il contribuente fosse a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto incombente istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto (cfr. da ultimo Cass. civ. sez. V, ordinanza 15369 del 20 luglio 2020)”.

Non si comprende poi la ragione per cui la motivazione della C.T.R. venga censurata anche con il terzo motivo rispetto a una affermazione dei giudici dell’appello che non costituisce all’evidenza una ratio decidendi ma una semplice constatazione della correttezza della richiesta di esibizione da parte della C.T.P. del p.v.c. e della nota sopra citata, documenti che avevano costituito il fondamento dell’avviso di accertamento impugnato. Ciò tanto più a fronte della rilevata assenza di specifici elementi per suffragare la dedotta inesistenza e fraudolenza dell’operazione in contestazione. Priva di qualsiasi contenuto è poi l’affermazione dell’Agenzia secondo la quale la C.T.P. non avrebbe non solo non tenuto conto ma neanche esaminato il p.v.c. dopo averlo acquisito.

In conclusione, il ricorso va respinto con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 9.600.

Così deciso in Roma, il 17 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2021

 

 

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