Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4310 del 24/02/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 4310 Anno 2014
Presidente: MAMMONE GIOVANNI
Relatore: MAROTTA CATERINA

ORDINANZA
sul ricorso 19279-2012 proposto da:
MINISTERO DELLA SALUTE 96047640584, in persona del
Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis-,

ricorren te
contro
DI GIOVANNI DONATELLA quale erede di TABACCHI
PAOLO;

intimata

avverso la sentenza n. 597/2012 della CORTE DI APPELLO di
L’AQUILA del 17/5/2012, depositata il 28/05/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
16/01/2014 dal Consigliere Relatore Dott. CATERINA MAROTTA.

Data pubblicazione: 24/02/2014

1 – Considerato che è stata depositata relazione del seguente
contenuto:
“Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Avezzano,
Donatella Di Giovanni chiedeva, nei confronti del Ministero della
Salute, il riconoscimento del proprio diritto a percepire l’assegno una

coniuge della medesima a causa di una epatopatia contratta a seguito di
emotras fusione. Il Tribunale accoglieva la domanda e condannava il
Ministero alla corresponsione del richiesto assegno. La Corte di
appello di L’Aquila, decidendo sul gravame proposto dal Ministero
della Salute (avente quale unico motivo di gravame la pretesa
sussistenza del proprio difetto di legittimazione passiva), confermava la
decisione di primo grado.
Per la cassazione della pronuncia della Corte territoriale il
Ministero della Salute propone ricorso affidato a due motivi.
E’ rimasta solo intimata Donatella Di Giovanni
Con i due motivi di ricorso la sentenza impugnata è censurata nella
parte in cui ha ritenuto sussistente la legittimazione passiva del
Ministero anche rispetto alla domanda di condanna alla corresponsione
dell’assegno una tantum. Rileva il ricorrente che tale legittimazione non
può ricavarsi dalla sentenza di questa Corte a Sezioni unite n. 12538
del 2011 che avrebbe solo circoscritto la legittimazione del Ministero al
profilo inerente l’accertamento del diritto non anche a quello inerente
alla condanna ed evidenzia che le stesse SS.UU. danno espressamente
atto che gli oneri economici degli indennizzi ex lege n. 210/1992 sono
stati trasferiti alle Regioni.
Il ricorso si palesa manifestamente infondato proprio alla stregua
del principio enunciato, in materia, dalle Sezioni unite di questa Corte
che, con la sentenza n. 12538 del 2011, resa in una fattispecie in cui il
Ric. 2012 n. 19279 sez. ML – ud. 16-01-2014
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tantum ai sensi della legge n. 210/1992 in conseguenza del decesso del

Ministero della Salute era stato già destinatario di pronuncia di
condanna nei gradi di merito, hanno osservato, in sintesi, che il
legittimato passivo in una controversia avente ad oggetto una
prestazione di assistenza sociale è il soggetto che, in forza della
disciplina (sostanziale) di tale prestazione, è tenuto a riconoscerla, ossia

sorge al verificarsi di certi presupposti di spettanza del beneficio;
questa coincidenza, quando si tratta della pubblica amministrazione in
senso lato che si articola in una pluralità di enti pubblici e di centri di
imputazione soggettiva, non è indefettibile nel senso che il legislatore
potrebbe dettare una regola specifica di individuazione della
legittimazione passiva distinguendo ad esempio il soggetto che
riconosce il beneficio e quello che in concreto lo eroga; nella fattispecie
in esame il problema della legittimazione passiva sorge – e si pone in
chiave problematica – proprio in ragione del decentramento della
gestione del beneficio, che però è stato avviato in un contesto di
riparto di competenze tra Stato e Regione che, all’epoca, vedeva la
disciplina dell’indennizzo in esame, quale forma di assistenza sociale,
rientrare nella competenza della legge statale, ed è proseguito nel
mutato contesto della riforma dell’art. 117 Cost., che ha notevolmente
ampliato le competenze del legislatore regionale; qualche anno dopo
l’introduzione della prestazione assistenziale per cui è causa le funzioni
ed i compiti in materia di indennizzo dei danni permanenti alla salute
in caso di danni irreversibili da vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e
somministrazione di emoderivati, sono stati trasferiti alle Regioni e
quindi ci si è chiesto se permanesse la legittimazione passiva del
Ministero della sanità (poi della salute) o invece dovesse piuttosto
affermarsi quella della Regione (e talvolta quella delle aziende sanitarie
locali in caso di leggi regionali di ulteriore trasferimento delle funzioni
Ric. 2012 n. 19279 sez. ML – ud. 16-01-2014
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è il soggetto coinvolto nel lato passivo del rapporto obbligatorio che

amministrative a queste ultime); l’art. 3 di entrambi i D.P.C.M. (8
gennaio 2002 e 24 luglio 2003) si è limitato a regolare la ripartizione tra
Stato e regioni solo degli “oneri” derivanti dal contenzioso, rimaneva
invece vigente – pur nel mutato quadro costituzionale delle
competenze legislative Stato-Regioni – il d.lgs. n. 112 del 1998, art. 123

ricorsi per la corresponsione degli indennizzi a favore di soggetti
danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni
obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati; altresì
rimaneva vigente la legge n. 210 del 1992 che, all’art. 5, prevedeva il
ricorso al Ministero della sanità avverso la valutazione della
commissione medico-ospedaliera di cui all’art. 4, entro trenta giorni
dalla notifica o dalla piena conoscenza della valutazione stessa;
successivamente la Conferenza permanente, con accordo del 23
settembre 2004, modificativo del precedente accordo del 1 agosto
2002, Stato-Regioni adottava le “linee guida per la gestione uniforme
delle problematiche applicative della legge 25 febbraio 1992, n. 210″
che, tra l’altro, prevedevano modalità di proposizione del ricorso al
Ministero della salute, per il tramite della regione o dell’A.S.L., avverso
il giudizio della commissione medico ospedaliera; quindi nella sede in
cui maggiormente si estrinseca la leale collaborazione, a livello
normativo, tra Stato e Regioni, si prendeva atto, in sostanza, che nulla
era mutato in tema di potere del Ministro della salute di decidere i
ricorsi amministrativi in materia; dal complesso quadro normativo
emerge che: a) le disposizioni sul contenzioso contenute nei cit.
D.P.C.M. riguardano solo l’onere dello stesso, ma da esse non si ricava
anche un regola processuale sulla legittimazione passiva, né potrebbe
ricavarsi per inidoneità della fonte a disciplinare tale aspetto pur in un
mutato contesto costituzionale di riparto delle competenze legislative
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che prevedeva che sono conservate allo Stato le funzioni in materia di

tra Stato e Regione, che ora assegna alle regioni la competenza
residuale in materia di assistenza sociale; b) la legge n. 210 del 1992,
art. 5, continua ad assegnare al Ministro della salute la competenza a
decidere il ricorso amministrativo avverso la valutazione della
commissione medico-ospedaliera; e) questa competenza è stata fatta

contesto di trasferimento alle regioni di compiti e funzioni in tema di
indennizzo (ad opera dei cit. D.P.C.M. 8 gennaio 2002 e 24 luglio
2003) e di attribuzione alle regioni della competenza legislativa
residuale in materia di assistenza pubblica (ad opera dell’art. 117 Cost.,
comma 4, riformato); di tale permanente vigenza c’è indiretta
conferma nel menzionato accordo Stato-Regioni; può allora
concludersi affermando che, come il Ministro della salute decide in
sede amministrativa pronunciandosi sul ricorso di chi chiede la
prestazione assistenziale in esame, analogamente è nei suoi confronti
che va proposta l’azione giudiziaria con cui il danneggiato rivendica
l’indennizzo.
Si aggiunga che l’identificazione di un unico soggetto titolare
dell’obbligazione nella sua interezza risulta conforme al disegno di
semplificazione perseguito dalla normativa di cui al d.lgs. n. 112 e
coerente con la tutela costituzionale dell’art. 38 Cost. (così Cass. n.
24889/2006; id. n. 10431/2007).
Per quanto sopra considerato, si propone il rigetto del ricorso, con
ordinanza, ai sensi dell’art. 375 cod. proc. civ., n. 5”.
2 – Ritiene questa Corte che le considerazioni svolte dal relatore
siano del tutto condivisibili e che ricorra con ogni evidenza il
presupposto dell’art. 375, n. 5, cod. proc. civ. per la definizione
camerale del processo.
3 – In conclusione il ricorso va rigettato.
tic. 2012 n. 19279 sez. ML – ud. 16-01-2014
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salva dal d.lgs. n. 112 del 1998, art. 123 e sopravvive anche nel mutato

4 – Nulla va disposto per le spese processuali essendo rimasta la
Di Giovanni solo intimata.

P. Q. M.
LA CORTE rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 gennaio 2014.

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