Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4310 del 22/02/2018


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 4310 Anno 2018
Presidente: BIANCHINI BRUNO
Relatore: GRASSO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso 26240-2014 proposto da:
PREVOSTO CORRADINO, elettivamente domiciliato in ROMA,
LUNGOTEVERE FLAMINIO 34, presso lo studio dell’avvocato
GIANCARLO NUNE’, che lo rappresenta e difende
unitamente all’avvocato URSULA PANE;
– ricorrente contro

SOTTANA ANNALIA, SOTTANA SILVIA, ZANFARDINO FELICE,
CHIUSSO LUCIA, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA
ROMEO ROMEI 27, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO
SAVARESE, che li rappresenta e difende unitamente
all’avvocato FRANCA GIUSEPPINA SAPONE;

Data pubblicazione: 22/02/2018

- controricorrenti incidentali

avverso la sentenza n. 538/2014 della CORTE D’APPELLO
di TORINO, depositata il 18/03/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 09/11/2017 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CORRADO MISTRI che ha concluso per il
rigetto del ricorso principale, per la parziale
inammissibilità e, comunque, per il rigetto del ricorso
incidentale;
udito

l’Avvocato

NUNE’

Giancarlo,

difensore

del

ricorrente che ha chiesto l’accoglimento delle difese
in atti;
udito l’Avvocato SAVARESE Roberto,

difensore dei

resistenti che ha chiesto di riportarsi agli atti
depositati.

GRASSO;

I FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Ivrea, con sentenza depositata il 4/12/2012, rigettò
la domanda avanzata da Corradino Prevosto, il quale, premettendo di
essersi reso promissario acquirente di un fondo con edifici di proprietà
di Felice Zanfardino, Lucia Chiusso, Annalia Sottana e Silvia Sottana,

corrispettivo costituito dalla cessione di quattro appartamenti da
costruire, la cui volumetria doveva corrispondere al 19%
dell’edificato; che sibbene egli avesse provveduto alla stipula della
fideiussione prevista nell’accordo, i promittenti alienanti non avevano
adempiuto all’obbligazione di consegnare il compendio libero da
persone e cose e che, anzi, avevano dichiarato il contratto risolto per
colpa dell’esponente, aveva chiesto risolversi il contratto per colpa dei
promittenti e condannarsi costoro al risarcimento del danno
emergente e del lucro cessante.
In sintesi, il Giudice di primo grado, qualificato il contratto come
vendita di fondo edificabile con riserva di proprietà di alcune aree del
futuro fabbricato, aveva ritenuto sussistere inadempimento reciproco:
l’attore non aveva tempestivamente fatto luogo alla prevista
fideiussione e i convenuti non avevano tempestivamente messo a
disposizione il fondo e gli immobili promessi in vendita, liberi da
persone e cose.
La Corte di Appello di Torino, nel contraddittorio delle parti, con
sentenza pubblicata il 18/3/2014, accolto l’appello del Prevosto, in
riforma della statuizione del Tribunale, risolse il contratto per colpa
dei promittenti alienanti, rigettando, tuttavia, la domanda risarcitoria
dell’appellante.
In sintesi, per quel che ancora rileva, queste le ragioni del
difforme opinare giudiziale.

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in vista della costruzione di un complesso immobiliare, dietro il

Secondo il primo giudice la gravità dell’inadempimento, accertato
tenendo conto del complessivo quadro dei rispettivi interessi, era da
stimarsi reciproco, in quanto, per la parte promittente la tempestiva
acquisizione della fideiussione, invocata ai sensi dell’art. 2 del d. Igs.
n. 122/2005, costituiva garanzia irrinunciabile e, per contro, per la
parte promissaria avere la disponibilità dell’intero fondo, onde poter

a ciò, dovendosi soggiungere che la pari reciproca colpa trovava
conferma nel fatto che entrambe le parti contraenti avevano
«lasciato trascorrere ben quattro anni senza riuscire a redigere un
nuovo contratto preliminare che sostituisse quello precedente ovvero
senza chiedere la tempestiva risoluzione in via giudiziale, con la
conseguenza che le spese nel frattempo sostenute non possono che
essere da [ciascuna] di [esse] sopportato».
La Corte d’appello escluse, invece, l’inadempimento colpevole del
Prevosto, evidenziando che: «il presupposto della fideiussione – cioè
l’immobile da edificare -» era venuto «ad esistenza giuridica»
solo con la richiesta del permesso di costruire richiesto dai proprietari
del fondo, in data 29/12/2006; la fideiussione in quella data non era
stata messa a disposizione in quanto, non sussistendo le condizioni
previste dall’art. 3 del d. Igs. cit. (versamento di parte prezzo da
parte dei promissari acquirenti degli appartamenti da edificare, o altro
corrispettivo comunque riscosso dal costruttore), l’obbligo sarebbe
scattato con la effettiva consegna dei beni promessi in vendita,
consegna mai avvenuta, perché dipendente dal contratto definitivo,
mai stipulato per colpa degli appellati. Pertanto, secondo la Corte
locale, «l’inadempimento di parti appellate, realizzatosi per primo
sul piano storico, ha avuto l’effetto di impedire a parte appellante di
adempiere, e, simmetricamente ed eventualmente, di non
adempiere». Concluse, per contro, per l’inadempimento colpevole
degli appellati, i quali, nonostante si fossero impegnati a liberare

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iniziare i lavori programmati, rappresentava adempimento essenziale;

tempestivamente il fondo, avessero beneficiato di proroghe da parte
del Prevosto, il quale aveva, da ultimo segnalato la necessità di
potere avviare il cantiere, a pena di scadenza del permesso di
costruire, non avevano adempiuto. Né, poteva assumere rilievo la
circostanza che una parte di fondo intestata a taluno degli appellati
fosse stata liberata, stante che l’impegno era stato contrattualmente

riconoscersi a titolo di risarcimento al Prevosto, per mancanza di una
allegazione che potesse dirsi specifica e adeguatamente corroborata
sul piano probatorio.
Corradino Prevosto propone ricorso per cassazione sulla base di
unitaria censura.
Resistono con controricorso, in seno al quale svolgono ricorso
incidentale, corredato da sei motivi di censura, Felice Zanfardino,
Lucia Chiusso, Annalia Sottana e Silvia Sottana.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unica censura posta a corredo del ricorso il Prevosto
denunzia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1453, 1223 e
1226, cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.
Secondo l’assunto impugnatorio il danno emergente, quanto
all’ammontare di 113.750 euro, oltre IVA, pur riscontrato dal solo
preventivo della s.r.l. Progeca, costituiva la spesa sostenuta, resa
inutile dall’inadempimento della controparte, con la conseguenza che
«il solo fatto che si sia dimostrato in causa che parte attrice ebbe a
dare incarico alla Progeca s.r.l. l’attività di progettazione, quantificata
e confermata in udienza nella somma [predetta], avallata dalla
documentazione attestante l’avvenuta redazione e consegna della
progettazione da parte della Progeca s.r.I., giustifica la domanda».
Quanto all’importo di 360 euro, oltre IVA, speso per opere di ricerca

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assunto da tutti e in relazione all’intero fondo. Nulla, tuttavia, poteva

degli scarichi, la Corte d’appello nulla aveva osservato. Il lucro
cessargie, costituito dalla differenza fra costi e ricavi stimati, non era
stato affatto indicato genericamente, costituendo la sua
determinazione in 1.582.150 euro il frutto di un analitico studio, a
suo tempo effettuato dalla Progeca e allegato all’atto di citazione, né
contestato, né sottoposto al vaglio di un CTU.

appaltatori e relative ai lavori da effettuarsi, non avrebbero potuto
liquidarsi come irrilevanti, perché provenienté-‘ da terzi, contestate e
non confermate da prove testimoniali, poiché il Tribunale aveva
rigettato la prova orale chiesta a convalidazione e la Corte d’appello,
motivando nel senso avversato, aveva impedito il diritto alla prova.
Peraltro, anche ad ammettere la difficoltà dimostrativa, il danno
avrebbe dovuto essere quantificato in via equitativa.
1.1. Il motivo è infondato.
La denunziata violazione delle norme giuridiche sopra indicate
risulta un evidente escamotage al fine di addivenire ad una
rivalutazione degli apprezzamenti di merito, in questa sede non
censurabili.
La pretesa risarcitoria risulta essere stata disattesa dalla Corte
locale in quanto priva di apprezzabile concretezza; quindi, attraverso
argomento che rende non pertinente l’osservazione censuratoria
(pretesa lesione del diritto alla prova per testi). Senza contare che il
ricorrente non si perita neppure di allegare di aver richiesto in sede
d’appello prova orale idonea ad infrangere il riferito apprezzamento.
Passando ad una analisi di dettaglio deve chiarirsi, quanto alla
pretesa di risarcimento per danno emergente, che la sentenza
impugnata ha spiegato che la produzione di un documento dal quale
risultava che la ditta PROGECA aveva offerto per il prezzo indicato le
proprie prestazioni non dimostrava affatto che fosse stato versato
l’indicato corrispettivo; affermazione questa confermata dalle

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Inoltre, osserva il ricorrente, le dichiarazioni provenienti da

dichiarazioni del legale rappresentante della predetta impresa, il
quale si era limitato a riferire di due riunioni, senza che fossero state
acclarate le circostanze utili a dimostrare l’asserto del Prevosto. Il
rimborso, poi, di dedotte spese per ricerca degli scarichi si fonda su
circostanze non deducibili in sede di legittimità: assume il ricorrente
che la prova era da rinvenirsi nei documenti prodotti in primo grado,

nulla è dato qui sapere; né, come si è anticipato, consta che il
Prevosto abbia richiesto al Giudice d’appello prova per testi.
Quanto alla esposizione di un lucro cessante, quantificato in quasi
un milione e seicentomila euro, l’evanescenza della prospettazione
non consente di assegnare fondamento alla critica. Invero, il
ricorrente si è limitato ad ipotizzare che a fronte di un prevedibile
investimento ammonante a quasi tremilioni e trecentomila euro era
auspicabile un incasso di quasi quattronnilioni e ottocentomila euro.
Senza che consti essere stata allegata la effettiva e concreta capacità
del Prevosto di affrontare un tale investimento e l’altrettanto effettiva
e concreta prospettiva d’incasso.
Né, appare contestabile che le dichiarazioni sottoscritte dai terzi
che avrebbero dovuto partecipare all’operazione quali appaltatori, non
asseverate da deposizioni testimoniali, non potevano assumere valore
probatorio.
Si è, infatti, di recente (Sez. n. 24976, 23/10/2017, Rv. 645941)
ribadito che le dichiarazioni scritte, provenienti da terzi estranei alla
lite su fatti rilevanti, non possono esplicare efficacia probatoria nel
giudizio se non siano convalidate attraverso
la testimonianza ammessa ed assunta nei modi di legge ma possono
unicamente assumere valore d’indizio, l’utilizzazione del quale
costituisce non già un obbligo del giudice del merito, bensì una
facoltà, il cui mancato esercizio non può formare oggetto di utile
censura in sede di legittimità, sia sotto il profilo della violazione

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ma di tali documenti, in violazione del principio di autosufficienza,

dell’art. 115, cod. proc. civ., sia sotto quello dell’omesso esame su
punto decisivo della controversia.
Infine, deve soggiungersi che la richiesta di liquidazione in via
equitativa è inammissibile, trattandosi di domanda nuova, peraltro,
comunque non proponibile, avendo la parte scelto la via della
dimostrazione del danno effettivo.

il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056
cod. civ., espressione del più generale potere di cui all’art. 115 cod.
proc. civ., dà luogo non già ad un giudizio di equità, ma ad un
giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale
correttiva od integrativa, che, pertanto, da un lato è subordinato alla
condizione che risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente
difficile per la parte interessata, provare il danno nel suo preciso
ammontare, dall’altro non ricomprende anche l’accertamento del
pregiudizio della cui liquidazione si tratta, presupponendo già assolto
l’onere della parte di dimostrare la sussistenza e l’entità materiale
del danno, né esonera la parte stessa dal fornire gli elementi
probatori e i dati di fatto dei quali possa ragionevolmente disporre,
affinché l’apprezzamento equitativo sia per quanto possibile,
ricondotto alla sua funzione di colmare solo le lacune insuperabili
nell’iter

della determinazione dell’equivalente pecuniario

del danno (Sez. 2, n. 13288, 07/06/2007, Rv. 597885; Sez. 6 – L-, n.
27447, 19/12/2011, Rv. 619916; Sez. 3, n. 20990, 12/1/2011, Rv.
620130; Sez. 3, n. 10607, 30/4/2010, Rv. 612765).
2. Occorre, ora, passare all’esame del ricorso incidentale.
2.1. Con il primo ed il secondo motivo viene dedotta omessa
motivazione, in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., su un
punto controverso e decisivo.
La eccezione del Prevosto, fatta valere in appello, secondo la
quale egli non era tenuto a prestare la garanzia fideiussoria ai sensi

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Né può tacersi che l’esercizio del potere discrezionale di liquidare

del d. Igs. n. 122/2005 era nuova e come tale contestata dagli
esponenti e, tuttavia, la Corte torinese non si era pronunciata sulla
controdeduzione. Il Prevosto aveva introdotto domanda nuova
richiedendo in appello il pagamento dell’IVA sul richiesto danno
emergente. In ogni caso, la Corte d’appello non aveva preso in esame
l’inadempimento della controparte per non essere stata stipulata la

2.1.1. La doglianza è manifestamente destituita di giuridico
fondamento.
Il punto concernente la fideiussione risulta essere stato esaminato
dalla sentenza d’appello, la quale, appunto, escludendo, all’evidenza,
la novità della deduzione del Prevosto, aveva ritenuto che l’obbligo di
prestare la fideiussione trovasse fondamento nel contratto e non nella
disciplina dettata dal d. Igs. n. 122/05.
In ordine all’IVA, essendo stata la domanda di risarcimento del
Prevosto stata rigettata, i controricorrenti difettano d’interesse.
Nel resto, l’allegata omissione non sussiste affatto: la sentenza
impugnata, infatti, ha a fondo spiegato le ragioni per le quali era da
c,, e.,,e.c.-0&
escludersi l’inadempimentoi. del Prevosto per l’omessa consegna della
fideiussione (pagg. 32-35); ragioni che i ricorrenti incidentali non
paiono cogliere.
2.2. Con il terzo motivo si allega ulteriore omissione di
motivazione su un punto controverso e decisivo, in relazione all’art.
360, n. 5, cod. proc. civ., assumendosi che il Giudice di seconde cure
non aveva esaminato la questione riguardante l’allegato difetto di
legittimazione attiva e di assenza di titolarità del rapporto, pur
essendo stato fatto rilevare che risultava dagli atti che il Prevosto
aveva agito in giudizio in proprio, al fine di chiedere il risarcimento
del danno da lucro cessante, nonostante avesse affermato di aver
ceduto alla società Isoedilizia i diritti nascenti dal contratto.
2.2.1. Anche in questo caso la doglianza non coglie nel segno.

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garanzia fideiussoria.

I ricorrenti ripropongono, incuranti della motivazione resa dalla
Corte di Torino (pagg. 31-32), l’eccezione di carenza di legittimazione
del Prevosto in ordine alla domanda risarcitoria da costui avanzata. Il
punto è stato esaminato in sentenza e pertanto la doglianza è
inammissibile. Anche in questo caso il rigetto della domanda di
risarcimento del Prevosto rende, peraltro, la censura priva

2.3. Con il quarto motivo i controricorrenti denunziano la
violazione o falsa applicazione degli artt. 1175, 1375, 1460 e 1337,
cod. civ., nonché omessa motivazione in punto di inadempimento del
Prevosto.
Con la censura in esame in primo luogo si critica la decisione di
non considerare nullo il contratto per indeterminatezza dell’oggetto,
nonostante non fosse stato previamente individuato dalle parti quale
prezzo avrebbe dovuto versare il Prevosto, ove non avesse inteso
assegnare una parte dell’edificato in controvalore.
In secondo luogo si afferma che non era stato adeguatamente
vagliato l’inadempimento della controparte, la quale avrebbe dovuto
mettere a disposizione dei controricorrenti la fideiussione
contestualmente all’atto traslativo, al quale non si potette dare corso
proprio a cagione di tale omissione. Pertanto, la Corte locale aveva
errato nel considerare la prestazione della garanzia successiva al
trasferimento.
In terzo luogo ingiustamente era stato escluso che il Prevosto
avesse violato i doveri di buona fede discendenti dagli artt. 1175 e
1375, cod. civ., così giustificando la eccezione d’inadempimento ex
art. 1460, cod. civ. Al fine di sostenere l’assunto i controricorrenti
elencano una lunga serie di comportamenti della controparte,
attraverso i quali costui avrebbe violato l’invocato canone, costituenti
proposta di numerose modifiche ed integrazioni dei patti e inducendo

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d’interesse.

la controparte ad introdurre nella scrittura espressioni e termini di
significato perlomeno equivoco.
2.3.1. Il motivo è inammissibile.
Attraverso l’articolazione di una critica complessa e multipla i
controricorrenti, sotto l’usbergo della denunziata violazione di legge,
anche in questo caso, in definitiva, propongono una lettura delle

In dettaglio. Deve escludersi che la sentenza abbia violato gli artt.
1360, 1175, 1375, 1460 e 1337, cod. civ., per non avere reputato
indeterminato l’oggetto del contratto preliminare. Sul punto, invero,
la Corte locale spende precipua riflessione (pagg. 29-31) fondata
sull’esame dello strumento negoziale, costituente precipua attività di
merito, che la porta ad escludere l’asserto (l’individuazione della
volumetria era il massimo di specificità possibile al momento della
stipula; il riferimento allo «stato locativo» delle unità altro non
poteva significare che la consegna d’immobili completamente rifiniti e
pienamente utilizzabili).
Non è ammissibile la denunzia del vizio di omessa motivazione
sull’inadempimento in quanto, a parte ogni altra considerazione
(l’asserto risulta essere stato motivatamente disatteso), a mente
dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., può censurarsi l’omesso esame di
fatti (siano essi primari, che secondari) posti a fondamento della
pretesa, nel mentre la valutazione come inadempienti di determinate
condotte è frutto d’incensurabile valutazione di merito.
Non può avere miglior fortuna la dedotta violazione del canone
della buona fede negoziale. In disparte della novità della censura,
devesi rilevare che la contestata violazione non sussiste. Lungi,
infatti, dal potersi constatare una erronea sussunzione dei fatti
assunti come rilevanti, devesi osservare che la sentenza impugnata,
valutate le emergenze probatorie, ha ritenuto di assegnare
prevalenza all’inadempimento dei promittenti alienanti (pag. 35 e

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risultanze istruttorie a loro favorevole.

ss.). In ogni caso, non può farsi a meno di soggiungere che la
congerie delle condotte addebitate al Prevosto sarebbero sorrette da
riferimenti documentali non esaminabili in questa sede poiché non
riportati in ricorso e solo sommariamente indicati (cfr. ex multis, Sez.
6-3, n. 16134, 30/7/2015, Rv., 636483).
2.4. Con il quinto motivo, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc.

civ., in merito al ritenuto inadempimento dei controricorrenti.
La Corte torinese, secondo l’assunto, male aveva fatto a ritenere
che tutti i controricorrenti fossero obbligati per l’intero fondo
promesso in vendita, anche se trattavasi di distinte proprietà limitrofe
(una in capo allo Zanfardino e l’altra alle Chiusso e Sottana), con la
conseguenza che non potevano essere giudicati tutti inadempienti,
stante che il capannone occupato dalla Vetreria Gialdi era collocato
all’interno dello stacco di proprietà dello Zanfardino. Inoltre,
l’inadempimento in parola non sussisteva: lo Zanfardino aveva
diligentemente chiesto il rilascio dell’immobile e il Prevosto era stato
informato della liberazione dello stesso il 26/5/2008, in tempo utile
per l’avvio dei lavori, il cui permesso sarebbe venuto a scadere il
5/6/2008, senza contare che il Prevosto aveva immotivatamente
tergiversato nel far luogo alle attività propedeutiche per l’avvio della
costruzione.
2.4.1. Il motivo ripropone, ancora una volta, una inammissibile
lettura delle emergenze di causa. La Corte locale ha, interpretando il
contratto, affermato che «La violazione del termine di cui al
contratto 2007 è indiscutibile da parte di tutte le parti appellate,
ciascuna per i beni di proprietà rispettiva e altrui, sicché tutte sono
responsabili del ritardo». La censura è, quindi, inammissibile.
2.5. Con il sesto motivo viene denunziata la violazione di una non
meglio precisata norma di diritto, in relazione all’art. 360, n. 3, cod.
proc. civ., per non essere stata accolta la domanda di risarcimento

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civ., si allega la violazione o falsa applicazione dell’art. 1362, cod.

del danno, fondata sul comportamento della controparte, che aveva
dato vita ad un contratto nullo per indeterminatezza dell’oggetto,
aveva violato le regole di buona fede negoziale, aveva inadempiuto le
proprie obbligazioni.
2.5.1. L’evanescente censura, la quale neppure individua quale
sia la norma che assume violata, è, all’evidenza, assorbita

3. Le spese legali possono compensarsi in ragione della reciproca
soccombenza.
4. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito
dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis
(essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio
2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del
contributo unificato da parte del ricorrente e dei controricorrenti, a
norma del comma 1-bis dello stesso art. 13;
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale e quello incidentale e compensa per
intero fra le parti le spese legali del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, inserito
dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12, dichiara la sussistenza dei
presupposti per il versamento, da parte del ricorrenti e dei
controricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello
stesso art. 13.
Così iteciso in Roma il 9 novembre 2017

dall’addebito della risoluzione in capo ai controricorrenti.

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