Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4310 del 20/02/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 20/02/2017, (ud. 05/10/2016, dep.20/02/2017),  n. 4310

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15664-2011 proposto da:

AUCHAN S.P.A., P.I. (OMISSIS) in persona del legale rappresentante

pro tempore, L.B. nato a (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA DEL POZZETTO 122, presso lo studio

dell’avvocato PAOLO CARBONE, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato ROBERTO ALBERTO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, in persona del

Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA

DEI PORTOGHESI 12;

– controricorrente –

e contro

DIREZIONE PROVINCIALE DEL LAVORO DI PESCARA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 714/2010 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 04/06/2010 R.G.N. 457/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/10/2016 dal Consigliere Dott. FEDERICO DE GREGORIO;

udito l’Avvocato CARBONE PAOLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di L’AQUILA con sentenza in data 20 maggio – 4 giugno 2010 rigettava il gravame interposto da AUCHAN S.p.a. e da L.B. avverso l’impugnata pronuncia, che aveva dichiarato inammissibile l’opposizione di costoro avverso ordinanza – ingiunzione emessa dalla Direzione Provinciale del Lavoro di Pescara in ordine a sanzioni ammnistrative irrogate per la ritenuta irregolare e fraudolenta somministrazione di quattro rapporti di lavoro dalla società cooperativa TARGET 2002 di (OMISSIS) (opposizione del 17 luglio 2008, avverso l’ordinanza notificata in data 16 giugno 2008).

Secondo la Corte di Appello, non rilevava il fatto che al momento della notifica dell’ordinanza, eseguita presso la sede di AUCHAN in provincia di Milano anche per la L., costei fosse passata alle dipendenze di altra società (peraltro dello stesso gruppo e presso la medesima sede aziendale) sin dal primo settembre 2007. Infatti, tutte le notifiche del procedimento amministrativo erano state eseguite anche per L.B. presso la sede sociale, senza alcun rilievo al riguardo. Anche la notifica della lettera di convocazione della D.P.L. di Pescara in data sette maggio 2008 era andata a buon fine, così come era andata a buon fine la notifica dell’ordinanza ingiunzione, tant’è che entrambi i destinatari di questa avevano proposto un’unica opposizione, però tardiva, siccome avvenuta oltre il termine di giorni trenta, cui andava riconosciuta natura perentoria.

L’opposizione veniva ritenuta, comunque, infondata anche tenuto conto che le carenze menzionate, di carattere formale (vizio di motivazione, omessa indicazione del termine per l’opposizione), erano superabili in base alla lettura di tutti gli atti del procedimento, peraltro con l’indicata possibilità di proporre opposizione ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 22 essendo per di più possibile e consentita nella specie la motivazione per relationem. Infine, ulteriori motivazioni venivano svolte per sostenere nel merito la fondatezza degli addebiti sanzionati con l’ordinanza ingiunzione opposta.

AUCHAN S.p.a. e L.B. hanno proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta pronuncia, contro la D.P.L. di Pescara con atto di cui alle richieste tre giugno 2011, affidato a otto motivi, cui ha resistito il solo MINISTERO del LAVORO e delle Politiche Sociali mediante controricorso, di cui è stata chiesta la notifica il 15 luglio 2011.

Per contro, la D.P.L. – alla quale è stato esclusivamente notificato il ricorso, contro la stessa unicamente diretto – non ha svolto alcuna difesa, restando così di fatto intimata.

Vi è memoria ex art. 378 c.p.c. per le parti ricorrenti.

Il collegio ha autorizzato, giusta il decreto del Primo Presidente della Corte in data 14 Settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata della sentenza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

La questione preliminare da esaminare riguarda essenzialmente la ritualità, o meno, della notifica eseguita nei confronti della L., presso la sede della società AUCHAN in provincia di MILANO, laddove la stessa non solo non era più dipendenze di AUCHAN, ma risultava formalmente residente in provincia di (OMISSIS).

Il ricorso deve essere respinto in forza delle seguenti considerazioni.

In primo luogo, va rilevato che le date di notifica (16 giugno 2008) dell’ordinanza ingiunzione risultano dagli avvisi di ricevimento in possesso della mittente D.P.L., laddove le ricorrenti si sono a limitate ad asserire genericamente che sulle buste erano apposti timbri illeggibili, però ammettendo che la notifica era stata eseguita a mezzo posta in data 16 giugno 2008 (v. per contro l’accertamento punto di fatto compiuto dal giudice di merito, secondo cui non valeva sostenere che la data di notifica non era chiara, il che peraltro non si evinceva dalle produzioni in atti). Di conseguenza, neppure rileva processualmente l’annotazione circa il fatto poi accertato successivamente, e con data anteriore diversa da quella certificata nel sito ufficiale delle Poste Italiane, che dichiarava come data di avvenuta notifica quella del giorno 18.6.2008, instaurando così un legittimo affidamento nelle odierne ricorrenti circa la data di notifica. Infatti, contrariamente alle rigorose prescrizioni formali imposte dagli artt. 366 e 369 codice di rito, le ricorrenti hanno omesso di precisare, compiutamente, in proposito le loro allegazioni sul punto enunciate con il ricorso introduttivo del giudizio ed in particolare i motivi al riguardo formulati con l’atto di appello, nonchè l’esatto tenore dell’anzidetta certificazione.

Quanto alle doglianze relative ai luoghi in cui risulta eseguita la notifica, soprattutto nei riguardi di L.B., va osservato che ai fini della determinazione del luogo di residenza o dimora del destinatario della notificazione, rileva esclusivamente il luogo ove questi dimora di fatto in modo abituale, rivestendo le risultanze anagrafiche mero valore presuntivo e potendo essere superate, in quanto tali, da una prova contraria, desumibile da qualsiasi fonte di convincimento, affidata all’apprezzamento del giudice di merito (Cass. 1 civ. n. 10170 del 18/05/2016. V. altresì in senso analogo Cass. 5 civ. n. 15938 del 13/06/2008, secondo cui poi, in particolare, la prevalenza, sulle risultanze anagrafiche, della dichiarazione e del comportamento del consegnatario della copia dell’atto comporta a carico del destinatario l’onere della prova -non desumibile dalla certificazione anagrafica della sua residenza in luogo diverso da quello in cui è avvenuta la consegna- dell’inesistenza del suo rapporto di convivenza – attestato dal pubblico ufficiale notificante – con il consegnatario. Conformi Cass. n. 5713 del 2002 e n. 11562 del 2003). Di conseguenza, appaiono corrette le argomentazioni svolte dalla Corte distrettuale circa la validità della notificazione seguita pure nei confronti della L., benchè formalmente costei risultasse anagraficamente residente in (OMISSIS) (identità della sede legale della società – con quella di AUCHAN – presso cui era transitata la L., che faceva parte inoltre dello stesso gruppo AUCHAN, esito positivo delle precedenti notifiche in data 24 ottobre 2007, perciò in epoca successiva al momento – primo settembre 2007 – in cui la predetta era passata a GALLERIE COMMERCIALI ITALIA, per cui nel successivo conseguente ricorso amministrativo congiunto in data 23-11-2007, depositato nel termine di giorni trenta D.Lgs. n. 124 del 2004, ex art. 17 nulla era stato eccepito in ordine alla regolare precedente notificazione; idem per la successiva notifica in data 17 maggio 2008 inviata dalla D.P.L. di Pescara presso la sede legale in questione. V. altresì quanto riportato dallo stesso ricorso a pag. 25, per confermare il dato formale della residenza anagrafica in (OMISSIS), a fronte del lavoro stabilmente prestato in provincia di Milano, in base pure alle risultanze in possesso della medesima D.P.L. di Pescara. Tale circostanze di fatto nella specie non risultano essere state specificamente smentite, nè confutate dalla interessata ricorrente).

Circa le doglianze relative alla mancanza di indicazione dei termini, entro i quali poter proporre opposizione, va per contro evidenziato quanto in proposito accertato con la pronuncia di merito qui impugnata, laddove si legge che la questione integrava una mera irregolarità, poichè ad ogni modo nell’ordinanza opposta si indicava esplicitamente la possibilità di ricorrere ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 22 (“Contro l’ordinanza-ingiunzione di pagamento e contro l’ordinanza che dispone la sola confisca, gli interessati possono proporre opposizione davanti al giudice del luogo in cui è stata commessa la violazione individuato a norma dell’art. 22-bis, entro il termine di trenta giorni dalla notificazione del provvedimento”, secondo il testo nella specie ratione temporis applicabile, in base al regime transitorio di cui al D.Lgs. 10 settembre 2011, n. 150, art. 36), sicchè, evidentemente, non erano indispensabili ulteriori indicazioni (cfr. d’altro canto Cass. 2 civ. n. 1372 del 21/01/2013, secondo cui l’omessa indicazione, nella cartella esattoriale per la riscossione di sanzione amministrativa, dell’autorità alla quale proporre opposizione e del relativo termine, determina non già la nullità dell’atto, bensì una mera irregolarità, che impedisce il verificarsi di preclusioni processuali a seguito del mancato rispetto del termine L. 24 novembre 1981, n. 689, ex art. 22 in ragione della scusabilità dell’errore in cui l’interessato sia eventualmente incorso, avendo, tuttavia, l’opponente l’onere di dimostrare ed il giudice il dovere di rilevare la decisività dell’errore stesso, la cui scusabilità non rende impugnabile l’atto incompleto in ogni tempo. In senso analogo Cass. nn. 21001 del 2004 e 2895 del 2006. In particolare, secondo Cass. 2 civ. n. 11405 del 16/05/2006, la mancata o l’erronea indicazione nell’atto da impugnare del termine di impugnazione e dell’organo dinanzi al quale può essere proposto il ricorso, non può considerarsi nè una mera irregolarità priva di ogni effetto, nè un’omissione che automaticamente rende il provvedimento impugnabile in ogni tempo, ma può, se del caso, e cioè in concorso con le altre circostanze della fattispecie concreta, comportare la scusabilità dell’errore eventualmente commesso dall’interessato, il quale, tuttavia, ha l’onere di dimostrare, e il giudice il dovere di rilevare, la decisività dell’errore).

Nel caso di specie qui in esame giustificazione e decisività non risultano essere state specificamente allegate. Di conseguenza, appaiono infondate tutte le censure di parte ricorrente in relazione alla disciplina di cui alla L. n. 241 del 1990, segnatamente con riferimento all’art. 3, u.c., secondo cui in ogni atto notificato al destinatario devono essere indicati il termine e l’autorità cui è possibile ricorrere, atteso lo specifico richiamo sul punto contenuto nell’opposta ordinanza: “… si comunica che nei confronti dell’ordinanza ingiunzione emessa ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 18 e succ. modif., fermo restando il ricorso in opposizione di cui all’art. 22 medesima legge, è ammesso ricorso in via alternativa davanti al Direttore della Direzione regionale del lavoro di L’Aquila, tramite la D.P.L. di Pescara, entro trenta giorni dalla notifica stessa….” (v. pag. 40 del ricorso, nell’ambito del quarto motivo). Tale avvertenza, nel suo complessivo tenore, era dunque più sufficiente ad integrare il rispetto della previsione di cui al succitato art. 3, comma 4, atteso soprattutto lo specifico e corretto rinvio all’art. 22, oltre che, ad ogni modo, pure al termine di trenta giorni, ciò che escludeva ogni possibilità di errore scusabile, tale da poter ingenerare equivoci ed affidamenti da parte dei destinatari della comunicazione, così da consentire un differimento del termine ovvero addirittura la possibilità di impugnare senza limitazioni temporali il provvedimento amministrativo in via giudiziale, tant’è che del resto gli interessati vi provvedevano con apposito ricorso davanti al giudice competente, però in data 17-07-2008, ossia appena dopo un giorno dopo la scadenza del termine, dalla notifica in data 18 giugno 2008.

E parimenti appaiono inconferenti le circostanze di fatto esposte da parte ricorrente con il primo ed il secondo motivo laddove si assume la insufficiente e la contraddittoria motivazione dell’impugnata pronuncia, circa le date di notifica dell’ordinanza ed in relazione ai soggetti addetti al sua ricezione, mancando in primo luogo precisi e sufficienti riferimenti al riguardo circa i relativi motivi di gravame, e ciò indipendentemente anche dalla prodotta documentazione e dalle richieste istruttorie, attinente al profilo probatorio della questione, che resta però comunque subordinato alla preliminare ed indispensabile rituale allegazione, laddove le ricorrenti si sono limitate ad generiche enunciazioni, senza invero chiarire specificamente le argomentazioni addotte a sostegno dell’impugnazione, pure nei sensi già rigorosamente occorrenti a norma dell’art. 434 c.p.c., ancor prima delle modifiche introdotte dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, lett. c bis), conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134. Di conseguenza, le doglianze in proposito svolte da parte ricorrente non possono essere qui riesaminate, mancando idonee indicazioni, richieste a pena d’inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3. Le rilevate carenze, d’altro canto, nemmeno appaiono sussumibili nell’ambito di quanto consentito dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, risultando piuttosto esse volte ad ottenere una rivisitazione di fatti e circostanze, però già complessivamente esaminati dal competente giudice di merito, insindacabili quindi in sede di legittimità (v. tra le altre Cass. 3 civ. n. 11892 del 10/06/2016, secondo cui il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio-, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante.

V. ancora Cass. sez. 6 – 5, n. 91 del 7/1/2014: il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe in un nuova formulazione del giudizio di fatto, in contrasto con la funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità. Ne consegue che, ove la parte abbia dedotto un vizio di motivazione, la Corte di cassazione non può procedere ad un nuovo giudizio di merito, con autonoma valutazione delle risultanze degli atti, nè porre a fondamento della sua decisione un fatto probatorio diverso od ulteriore rispetto a quelli assunti dal giudice di merito.

Conformi Cass., n. 15489 del 2007 e n. 5024 del 28/03/2012, secondo la quale il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità; ne consegue che risulta del tutto estranea all’ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Corte di cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa.

Cfr. peraltro, tra le varie, Cass. n. 4893 del 14/03/2016, secondo cui l’apprezzamento del giudice del merito, che abbia ritenuto pacifica e non contestata una circostanza di causa, qualora sia fondato sulla mera assunzione acritica di un fatto, può configurare un travisamento, denunciabile solo con istanza di revocazione, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4).

Per il resto, appaiono nella specie correttamente e più che sufficientemente argomentate le ragioni per cui anche l’opposizione della L. fosse da ritenere intempestiva, in quanto tardivamente proposta al trentunesimo giorno, perciò oltre il termine indubbiamente perentorio, come si desume dell’art. 23 L. n. 689/81(v. anche il testo in vigore dal 2-3-2006 al 3-7-2009, secondo cui il giudice, se il ricorso è proposto oltre il termine previsto dall’art. 22, comma 1 ne dichiara l’inammissibilità con ordinanza ricorribile per cassazione.

Cfr. sul punto pure Cass. 1 civ. n. 1086 del 19/01/2005, laddove si è affermato che il termine di trenta giorni, di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 22 per proporre ricorso in opposizione, ha carattere perentorio, sicchè il suo inutile decorso determina la decadenza dalla opposizione e la inammissibilità del ricorso eventualmente proposto, da dichiarare, ai sensi della stessa L. n. 689, art. 23 prima della fissazione della udienza di comparizione delle parti, non essendo invocabile, nel sistema, organico e compiuto, della irrogazione di sanzioni amministrative, l’istituto della rimessione in termini per errore scusabile, estraneo al giudizio di opposizione.

V. altresì Cass. n. 1372 del 21/01/2013, cit., secondo cui la L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 24 delinea uno scrutinio preliminare sulla tempestività del ricorso, che può condurre alla pronuncia di ordinanza di inammissibilità prima dell’instaurazione del contraddittorio tra le parti, senza, tuttavia, precludere al giudice, dopo aver consentito l’accesso al giudizio di opposizione, di dichiarare l’inammissibilità, ove la tardività sussista, con il provvedimento che definisce il procedimento, il quale deve necessariamente assumere la forma di sentenza, rientrando il controllo sulla tempestività dell’opposizione tra i compiti officiosi del giudice adito. Conformi Cass. n. del 2000 e n. 18179 del 2006).

Alla luce della succitata giurisprudenza e tenuto conto, inoltre, delle argomentazioni complessivamente svolte con l’impugnata sentenza, appare evidente come la Corte di Appello, nel ritenere la tardività dell’opposizione, abbia così pure, ancorchè implicitamente, considerato, ma superandola, l’istanza di rimessione in termini avanzata da parte dall’appellante (cfr. in part. pag. 54 e ss. del ricorso per cassazione, con riferimento al 5^ motivo di censura, peraltro così come ivi promiscuamente articolato, sia come omessa motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sia come error in procedendo ex art. 360, n. 4 cit. codice, eppure senza alcuna precisazione circa il tenore e la sede dell’asserita istanza di rimessione in termini in prime cure, che tuttavia la parte non meglio indica come reiterata in sede di gravame, laddove, per altro verso, in tal caso coerentemente risulterebbero smentite pure tutte le doglianze circa la pretesa incertezza del momento di intervenuta notifica dell’ordinanza ingiunzione. In altri termini, la richiesta di rimessione in termini in primo grado, perciò con l’atto introduttivo di opposizione, risulterebbe ragionevolmente spiegabile soltanto con la consapevolezza, da parte istante, della tardività della medesima opposizione fin dal primo momento).

Per altro verso, le doglianze di cui al quinto motivo non tengono conto del dato testuale, costituto dalla disciplina transitoria di cui alla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58 in vigore dal 4 luglio 2009, che nell’introdurre il comma 2 dell’art. 153 c.p.c. con la stessa L. n. 69, art. 45 ha limitato la portata di tale nuova norma ai soli giudizi instaurati successivamente all’entrata in vigore della novella. In tale mutato quadro normativo va, altresì, considerata la collocazione sistematica delle norme processuali, per cui mentre l’istituto della rimessione in termini risulta inserito dal legislatore del 2009 all’art. 153 (al capo 2, titolo 6, libro 1 codice di rito, perciò nell’ambito della disciplina dei termini in generali), per contro, la previgente rimessione in termini ex art. 184 bis c.p.c. (già inserito L. n. 353 del 1990, ex art. 19 poi soggetto a modifiche con D.L. n. 432 del 1995 conv. in L. n. 534 del 1995, quindi abrogato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46, comma 3, e soggetto a sua volta al medesimo regime transitorio di cui alla L. n. 69, art. 58, comma 1 cit.), era collocato tra le disposizioni inerenti alla trattazione della causa (sezione 2), capo 2, riferito alla istruzione della causa (mentre il capo 1 riguarda l’introduzione della causa, del titolo 1 del libro secondo del codice di procedura). Pertanto, non è possibile in alcun modo aderire alla tesi di parte ricorrente, che propende per un’applicazione estensiva dell’ormai abrogato 184 bis, però assolutamente incompatibile con il tenore testuale delle succitate disposizioni di legge, unitamente alla loro collocazione sistematica, per di più contrariamente a quanto specificamente opinato sul dalla citata sentenza n. 1086/2005, attinente precisamente al sistema, organico e compiuto, delle sanzioni amministrative ex L. n. 689 del 1981, di cui parimenti si discute in questo giudizio (cfr. altresì, relativamente alla disciplina ratione temporis operante nel caso ci specie, inerente al ricorso in opposizione depositato il 17 luglio 2008, Cass. 1 civ. n. 10094 del 15/10/1997, secondo cui l’art. 184 bis c.p.c., come appare – peraltro – evidente dalla sua stessa collocazione, la norma riguardava le sole ipotesi in cui le parti costituite fossero decadute dal potere di compiere determinate attività difensive nell’ambito della causa in trattazione. Essa, quindi, non era invocabile per le situazioni esterne allo svolgimento del giudizio, per le quali vigeva ancora la regola della improrogabilità dei termini perentori ex art. 153, che impediva di utilizzare l’istituto stesso anche per le decadenze relative al compimento del termine perentorio per instaurare il giudizio. In senso analogo, cfr. pure Cass. 3 civ. n. 8999 del 27/08/1999, che di conseguenza in caso di opposizione al provvedimento prefettizio, proposta al pretore con atto notificato oltre il termine di trenta giorni, stabilito dalla L. n. 689 del 1981, art. 22, comma 1 riteneva non consentito per l’opponente far valere, allo scopo di essere rimesso in termini, la circostanza che detto provvedimento fosse privo della indicazione del termine e dell’autorità giudiziaria presso la quale sarebbe stato possibile proporre impugnazione).

Peraltro, l’incongruenza delle giustificazioni addotte dalla L. circa l’asserita non operatività del termine in parola nei suoi confronti è stata motivatamente argomentata dalla Corte distrettuale in base alle varie circostanze di fatto indicate nell’impugnata pronuncia e che trovano ad ogni modo ulteriore riscontro nella contestuale opposizione formalizzata con un unico ricorso pure da parte della Società AUCHAN, nei confronti della quale l’ordinanza-ingiunzione de qua risulta essere stata pacificamente notificata a norma di legge, di modo che proprio attraverso lo stesso unico atto di opposizione è possibile anche desumere la sanatoria di ogni eventuale vizio attinente alla notificazione (cfr. quanto recentemente affermato dalle Sezioni unite civili di questa Corte con la sentenza n. 14916 in data 15/12/2015 – 20/07/2016, secondo cui, per quanto qui più direttamente interessa, il luogo in cui la notificazione del ricorso per cassazione viene eseguita non attiene agli elementi costitutivi essenziali dell’atto, sicchè i vizi relativi alla sua individuazione, anche quando esso si riveli privo di alcun collegamento col destinatario, ricadono sempre nell’ambito della nullità dell’atto, come tale sanabile, con efficacia “ex tunc”, o per raggiungimento dello scopo, a seguito della costituzione della parte intimata – anche se compiuta al solo fine di eccepire la nullità – o in conseguenza della rinnovazione della notificazione, effettuata spontaneamente dalla parte stessa oppure su ordine del giudice ex art. 291 c.p.c.), non ravvisandosi ad ogni modo, per quanto sopra illustrato, nella fattispecie di cui è processo alcuna significativa violazione di legge in ordine alla contestata notifica perfezionatasi il 18 giugno 2008, tale da poter legittimamente posticipare il dies a quo del termine, perentorio, di giorni trenta per l’opposizione.

Restano, quindi, nei sensi anzidetti pure assorbite le ulteriori censure formalizzate, con gli ultimi tre motivi del ricorso (il settimo e l’ottavo in via chiaramente subordinata), non senza tuttavia rilevare che l’asserita nullità dell’impugnata pronuncia per la pretesa contraddittoria motivazione (6^ motivo, pg. 67 e ss., circa la rilevata doppia argomentazione a conferma della declaratoria d’inammissibilità per violazione del termine di giorni trenta, e di rigetto nel merito delle tesi sostenute dalle opponenti – appellanti avverso la contestata sanzione amministrativa), finisce con il contrastare con le pari corrispondenti confutazioni di cui al settimo ed ottavo motivo, così da superare comunque anche la stessa contestata doppia motivazione. D’altro canto, non può di certo dubitarsi circa la reale ed effettiva ratio decidendi della pronuncia qui impugnata, attinente in misura di certo prevalente alla gravata declaratoria d’inammissibilità, sicchè alla stregua dell’ampio spettro del ricorso per cassazione in esame, sebbene sotto ogni profilo, l’impugnata sentenza di appello; ciò che a sua volta non ha evidentemente pregiudicato i diritti di difesa di AUCHAN S.p.a. e di L.B..

Quanto, poi, da ultimo segnalato con la memoria ex art. 378 c.p.c. dalle ricorrenti, circa l’ivi allegata copia della sentenza n. 936 in data 15 ottobre 2014 / due marzo 2015, con la quale la Corte di Appello di MILANO, in riforma dell’impugnata pronuncia, dichiarava insussistente la pretesa contributiva azionata da I.N.P.S. e da S.C.C.I. S.pa., nonchè da EQUITALIA NORD spa, contro AUCHAN S.p.a., va in primo luogo osservato che non risulta prodotto il certificato di passaggio in cosa giudicata (v. l’art. 124 disp. att. c.p.c. – A prova del passaggio in giudicato della sentenza il cancelliere certifica, in calce alla copia contenente la relazione di notificazione, che non è stato proposto, nei termini di legge, appello o ricorso per cassazione, nè istanza di revocazione per i motivi di cui all’art. 395 codice, nn. 4 e 5. Ugualmente il cancelliere certifica in calce alla copia della sentenza che non è stata proposta impugnazione nel termine previsto dall’art. 327 codice).

Inoltre, tale pronuncia di merito riguarda direttamente e soltanto la menzionata pretesa contributivo-previdenziale, però non opponibile nei riguardi della P.A. (rimasta estranea al suddetto giudizio di cui alla sentenza della Corte milanese), che ha invece emesso l’ordinanza – ingiunzione in ordine a sanzioni amministrative, ancorchè connesse (pare) ai medesimi rapporti di lavoro, cui si riferisce, invece, la succitata pronuncia n. 936/14, per giunta quest’ultima successiva all’appellata sentenza con declaratoria d’inammissibilità in data tre marzo 2009 ed alla conseguente decisione di secondo grado in data 20 maggio – 4 giugno 2010, qui pure confermata, con ogni conseguente preclusione derivata proprio dalla mancata osservanza a suo tempo del termine perentorio previsto dalla legge per l’opposizione.

Tuttavia, quanto al difetto di legittimazione da ultimo eccepito dalle ricorrenti con la memoria ex cit. art. 378 in ordine al controricorso a cura del solo Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, e non anche (o meglio non solo) dalla suddetta D.P.L., risultante in atti essere stata la sola appellata, ancorchè costituitasi con l’Avvocatura distrettuale dello Stato, va richiamata la giurisprudenza di questa Corte in proposito (v. più recentemente Cass. lav. n. 15169 del 20/07/2015), secondo cui in tema sanzioni amministrative, legittimato passivo nel giudizio di opposizione ad ordinanza ingiunzione è solo l’autorità che ha emesso il provvedimento opposto, ancorchè si tratti di organo periferico dell’amministrazione statale che agisca in virtù di una specifica autonomia funzionale in deroga al R.D. n. 1611 del 1933, art. 11, comma 1, come sostituito dalla L. n. 260 del 1958, art. 1 e tale legittimazione esclusiva persiste anche nella fase di impugnazione davanti alla Corte di Cassazione, non ostandovi alcuna disposizione da cui sia desumibile il subentro del Ministro (nella specie, quindi, veniva rigettato il ricorso per cassazione proposto dal Ministero del Lavoro avverso sentenza, che aveva dichiarato inammissibile l’appello, con il quale lo stesso ente aveva impugnato la pronuncia su opposizione ad ordinanza ingiunzione emessa da una Direzione Provinciale del Lavoro. In senso conforme v. tra le altre Cass. 1 civ. n. 15596 del 07/07/2006 e Sez. un. civ. n. 15596 del 2006).

Ne deriva l’inammissibilità del controricorso notificato dal Ministero del Lavoro, sicchè, nonostante l’infondatezza dell’impugnazione proposta da parte delle due ricorrenti, perciò soccombenti, nulla va disposto in ordine alle relative spese a favore del Ministero, siccome non legittimato nei sensi anzidetti, nè, d’altro canto, a favore della la Direzione Provinciale del Lavoro, rimasta intimata per non aver svolto difese avverso l’impugnazione avversaria, proposta esclusivamente nei propri confronti.

PQM

la Corte RIGETTA il ricorso. NULLA per le spese.

Così deciso in Roma, il 5 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2017

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