Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4310 del 04/03/2016


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 4310 Anno 2016
Presidente: BUCCIANTE ETTORE
Relatore: ORILIA LORENZO

SENTENZA

sul ricorso 14389-2011 proposto da:
FONTEVIVA

S.r.l.

p.iva

01417670369,

in

persona

dell’Amministratore unico e legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
NOMENTANA 251, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE
GRILLO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente contro

SBROZZI

TURNO

SBRTRN31B17A271V,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA A. DEPRETIS 86, presso lo
studio

dell’avvocato

PIETRO

CAVASOLA,

che

1o

9

Data pubblicazione: 04/03/2016

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ELISEO
PINI;
– controri corrente –

avverso la sentenza n. 148/2011 della CORTE D’APPELLO
di BOLOGNA, depositata il 27/01/2011;

udienza del 25/01/2016 dal Consigliere Dott. LORENZO
ORILIA;
udito l’Avvocato GIUSEPPE GRILLO, difensore della
ricorrente, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato PIETRO CAVASOLA, difensore della
resistente, che ha chiesto il rigetto del ricorso con
condanna alle spese;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ALBERTO CELESTE che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1 Con atto 1.7.1989 la Stefani s.r.1 convenne in giudizio

davanti al Tribunale di Modena l’ingegner Turno Sbrozzi e,
premesso di avergli affidato la direzione dei lavori di

ampliamento di un fabbricato di sua proprietà, nonché la
progettazione e la realizzazione di singoli particolari
costruttivi, lo ritenne responsabile dei danni dovuti ad
infiltrazioni d’acqua verificatesi dopo l’ultimazione dei
lavori. Precisò che la causa delle infiltrazioni andava
individuata nella scelta, imputabile allo Sbrozzi, di realizzare
alcune pareti in materiale non impermeabile e chiese pertanto la
condanna del predetto al risarcimento.
Lo Sbrozzi contestò la pretesa replicando che il legale
rappresentante della società Stefani si era limitato a
commissionargli unicamente il controllo strutturale del
fabbricato e la progettazione di alcuni elementi, diversi però
dai particolari costruttivi cui erano riconducibili le
infiltrazioni lamentate, mentre aveva riservato a sé la scelta
dei materiali, le modalità esecutive dell’opera e la direzione
dei lavori.
Eccepì, in ogni caso, prescrizione e decadenza per la
proposizione dell’azione da parte della committente; rilevò di
non aver ancora ricevuto il saldo del corrispettivo pattuito e a
tal fine spiegò domanda riconvenzionale di pagamento contro la
società committente.
3

Il Tribunale di Modena, con sentenza 4.12.2003, accolse
parzialmente la domanda della committente osservando che, pur in
mancanza di violazioni di specifici doveri professionali, al
tecnico andava addebitata una corresponsabilità per avere

mantenuto un potere di direttiva sui soggetti coinvolti
nell’esecuzione delle opere e pertanto lo condannò a risarcire
all’attrice il danno nella misura di 9.000,00.
2.

La sentenza fu impugnata da entrambe le parti e la

Corte d’Appello di Bologna, riuniti i procedimenti, riformò
totalmente la decisione, respingendo tutte le pretese avanzate
dalla committente Fonteviva srl (succeduta alla Stefani srl),
che condannò a restituire le somme frattanto incassate in
esecuzione della sentenza parzialmente favorevole di primo
grado.
In accoglimento dell’appello dello Sbrozzi, la Corte
bolognese condannò la società Fonteviva al pagamento del residuo
compenso in favore del professionista nella misura di C.
2.482,60 oltre interessi e accessori.
Per giungere a tale conclusione la Corte territoriale, per
quanto ancora di interesse in questa sede, osservò:
– che la censura della committente contro l’affermazione
di mera corresponsabilità dello Sbrozzi per difetto di vigilanza
non soddisfaceva il requisito di specificità previsto dall’art.
342 c.p.c.;
che il compendio probatorio non dimostrava né il
4

conferimento dell’incarico di progettare e dirigere particolari
costruttivi interni né che il fenomeno infiltrativo accertato
dipendesse dalla causa specificamente individuata dall’ing.
Stefani, anche perché la CTU aveva ipotizzato altre possibili

cause di infiltrazioni evidenziando l’estensione dello stesso a
tutto il soffitto della palestra, quindi anche a zone
sottostanti le saune e la camera con vasca di immersione,
diverse, quindi, da quelle indicate dalla srl Stefani come causa
di infiltrazione;
– che pertanto la Stefani, pur gravata dal relativo onere,
non aveva fornito neppure un principio di prova circa la
provenienza del fenomeno dalla specifica causa dedotta in
giudizio, mentre una consulenza tecnica avrebbe solo carattere
esplorativo;
– che – quanto alla domanda di pagamento del compenso – le
note professionali prodotte dak TurnoVcon parere di opinamento
da parte del competente ordine professionale, non erano state
contestate quanto ad esecuzione dei lavori in esse specificati.
3.

Per la cassazione di questa sentenza Fonteviva srl ha

proposto ricorso affidato a cinque motivi.
Turno Sbrozzi resiste con controricorso.
Nell’imminenza dell’udienza entrambe le parti hanno
depositato memorie difensive ai sensi dell’art. 378 cpc.
MOTIVI DELLA DECISIONE
l Con il primo motivo la società ricorrente deduce ex art.
5

360 n. 4 c.p.c. violazione e falsa applicazione dei principi
regolatori del giusto processo, nonché ai sensi dell’ art. 360
n. 5 c.p.c. omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione
circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Si duole in particolare del fatto che la Corte d’Appello
abbia ritenuto indimostrato il contenuto dell’incarico
professionale conferito allo Sbrozzi e, conseguentemente, abbia
ricondotto a tale prova le richieste istruttorie – o di
rivalutazione istruttoria – formulate invece al fine di
contestare la misura del risarcimento. Osserva che il contenuto
dell’incarico professionale era stato interamente accertato nel
giudizio di primo grado, essendo ormai controverso solo il
contenuto dell’obbligo risarcitorio, sicché la sentenza deve
ritenersi viziata da error in procedendo.
Il motivo è infondato.
Occorre

innanzitutto

chiarire

che

nel

presente

procedimento non trova applicazione la norma dell’art. 366 bis
cpc (formulazione del quesito di diritto) perché la
pubblicazione della sentenza impugnata è successiva all’entrata
in vigore della legge che l’ha abrogata (legge 18 giugno 2009 n.
69 entrata in vigore il 4.7.2009). Si rivela pertanto superflua
la articolazione dei quesiti contenuti nei motivi di ricorso.
Ciò premesso, va osservato che la deduzione del vizio di
cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. non consente alla parte di
censurare la complessiva valutazione delle risultanze
6

processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo
alla stessa una sua diversa interpretazione, al fine di ottenere
la revisione da parte del giudice di legittimità degli
accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito: le censure

poste a fondamento del ricorso non possono pertanto risolversi
nella sollecitazione di una lettura delle risultanze processuali
diversa da quella operata dal giudice di merito, o investire la
ricostruzione della fattispecie concreta, o riflettere un
apprezzamento dei fatti e delle prove difforme da quello dato
dal giudice di merito (v. Sez. 1, Sentenza n. 7972 del
30/03/2007 Rv. 596019; Sez. 3, Sentenza n. 828 del 16/01/2007
Rv. 593744; Sez. L, Sentenza n. 12467 del 25/08/2003 Rv.
566240).
Venendo al caso di specie, la ricorrente non considera che
l’appello venne congiuntamente proposto da entrambe le parti, e
che lo Sbrozzi contestò espressamente la natura ed il contenuto
dell’incarico affidatogli, facendone motivo di gravame.
In tal senso, la Corte d’Appello ha correttamente
rilevato che, a fronte di tale contestazione, la prova del
contenuto dell’incarico di progettazione e direzione implicante
anche la scelta delle modalità di realizzazione di singoli
particolari costruttivi costituiva un preciso onere della
committente attrice, e che tale prova non era stata raggiunta,
né poteva essere raggiunta attraverso le ulteriori istanze
formulate e la richiesta di consulenza (v. pag. 5 e 7 sentenza).
7

Sul punto, pertanto, la decisione si rivela scevra da
errores in procedendo

ed anzi appare conforme al consolidato

insegnamento giurisprudenziale secondo cui in tema di prova
dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca

per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno,
ovvero per l’adempimento deve provare la fonte (negoziale o
legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza.
La censura suggerisce invece una alternativa
interpretazione dei motivi di appello e quindi si scontra col
principio che qui si intende ribadire secondo cui
l’interpretazione della domanda giudiziale costituisce
operazione riservata al giudice del merito, il cui giudizio,
risolvendosi in un accertamento di fatto, non è censurabile in
sede di legittimità quando sia motivato in maniera congrua ed
adeguata, avendo riguardo all’intero contesto dell’atto, senza
che ne risulti alterato il senso letterale e tenendo conto della
sua formulazione letterale nonché del contenuto sostanziale, in
relazione alle finalità che la parte intende perseguire, senza
essere condizionato al riguardo dalla formula adottata dalla
parte stessa (v. Sez. 3, Sentenza n. 14751 del 26/06/2007 (Rv.
597467; Sez. L, Sentenza n. 5491 del 14/03/2006 (Rv. 590044)).
2.

Con il secondo motivo la società Fonteviva deduce ex

art. 360 n. 3 e 4 c.p.c., la violazione e falsa applicazione
degli artt. 1218 c.c., 112 e 342 c.p.c., nonché, ai sensi
dell’art. 360 n. 5 cpc, omessa pronunzia e vizio di motivazione
8

circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Si duole
della

declaratoria

di

inammissibilità,

per

difetto

di

specificità, del motivo riguardante la natura della
responsabilità dello Sbrozzi, circoscritta in prime cure al solo

difetto di vigilanza e prospettata – invece – anche come
conseguente ad imperizia e negligenza nell’attività progettuale;
rimprovera alla Corte territoriale di non avere indicato le
ragioni di tale statuizione.
Ancora, la ricorrente evidenzia che dal rilievo di
inammissibilità è poi dipeso un ulteriore vizio di omessa
pronunzia quanto ai restanti motivi di appello relativi al
danno; vizio che in ogni caso deduce, a prescindere dalla
valutazione di genericità del motivo, poiché la Corte d’Appello
avrebbe dovuto esaminare la materia del quantum debeatur anche
con riferimento alla forma di responsabilità omissiva ritenuta
sussistente.
Il motivo è assorbito dalla decisione sul precedente: ed
infatti, una volta ritenuta l’infondatezza del primo motivo – e
perciò radicalmente non provato l’incarico di progettazione e
direzione lavori per particolari costruttivi interni, sì da
escludere in radice la configurazione della responsabilità
contrattuale invocata – perde di rilievo ogni considerazione
relativa all’effettivo perimetro di tale responsabilità nel
contesto delle diverse attività (progettuali e di direzione)
connesse alla realizzazione delle opere.
9

3 Con il terzo motivo Fonteviva lamenta, ai sensi
dell’art. 360 n. 3,4 e 5 cpc, violazione e falsa applicazione
degli artt. 1176, 1218, 2229 e 2230 c.c., 2 e 3 1. 1086/71, 17 e
19 l. 143/1949, violazione e falsa applicazione degli artt. 116,

231, 253 c.p.c., 2697 e 2730 c.c., nonché vizio di motivazione.
Assume in particolare che la Corte d’Appello, omettendo di
considerare la normativa riguardante la professione di ingegnere
in riferimento ai lavori di edilizia privata, avrebbe errato
nella valutazione del contenuto degli obblighi derivanti
dall’incarico di progettazione, direzione e collaudo, travisando
altresì le risultanze dell’istruttoria svolta sul punto; avrebbe
inoltre ignorato il principio di diritto (già fatto proprio
dalla sentenza di primo grado) in base al quale in tema di
responsabilità per vizi e difformità dell’opera il direttore dei
lavori per conto del committente presta un’opera professionale
in esecuzione di un’obbligazione di mezzi e non di risultato, ma
essendo chiamato a svolgere la propria attività in situazioni
involgenti l’impiego di peculiari competenze tecniche, deve
utilizzare le proprie risorse intellettive ed operative per
assicurare il risultato che il committente si aspetta di
conseguire. Evidenzia infatti la ricorrente che dal conferimento
dell’incarico di progettazione strutturale e direzione dei
lavori per le opere portanti – unico pacificamente ammesso dallo
Sbrozzi al predetto sarebbe comunque derivato l’obbligo
descritto; obbligo certamente non assolto, essendo emersa una
10

diretta dipendenza causale del fenomeno infiltrativo anche da
un’omessa vigilanza sulle modalità esecutive delle opere
portanti medesime. Inoltre, richiamato il nutrito materiale
istruttorio che conferma tale dipendenza, si duole del fatto

ch’esso sia stato erroneamente valutato, quando non
completamente ignorato, dalla Corte d’Appello. Rimprovera poi
una motivazione perplessa e contraddittoria, poggiata su singoli
elementi e su una lettura atomistica degli atti di causa.
4 Col quarto motivo denunzia ai sensi dell’art. 360 n. 3,4

e 5 cpc, violazione e falsa applicazione degli artt. 1176, 1218,
2229, 2230 e 2697 c.c., nonché degli artt. 116, 183 e 191 cpc.,
nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa
un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Ad avviso della ricorrente la decisione della Corte
d’Appello sarebbe errata laddove postula un difetto di prova
della specifica causa delle infiltrazioni, essendo sufficiente
la comprovata sussistenza

“di un vizio costruttivo che collide

con le regole dell’arte di progettazione e/o costruzione”

per

affermare la responsabilità del professionista incaricato.
Questi due motivi – che ben si prestano a trattazione
unitaria – non appaiono fondati.
Innanzitutto sono inammissibili – perché introdotte per la
prima volta in questa sede dal nuovo difensore – le questioni di
diritto riguardanti l’analisi della legislazione professionale
ed implicando necessariamente accertamenti in fatto: l’atto
11

d’appello infatti era assolutamente silente sull’argomento e la
Corte pertanto non è tenuta ad esaminare il tema.
Ciò posto, non è qui in discussione il problema della
responsabilità dell’appaltatore (o del direttore dei lavori) per

i vizi dell’opera appaltata, che certamente va affermata per il
solo fatto della sussistenza del vizio, salvo che l’appaltatore
stesso dia prova della propria incolpevolezza.
Ciò che la Corte d’Appello ha disconosciuto è la
pertinenza del vizio riscontrato rispetto al tipo di contratto
concluso fra le parti: i giudici di appello, in altri termini,
hanno osservato che il contenuto dell’incarico conferito allo
Sbrozzi, per come accertato (limitato alle strutture portanti),
non è giunto a determinarne alcuna responsabilità – per errata
scelta tecnica o progettuale, ovvero per omesso controllo – in
relazione alle riscontrate carenze di impermeabilizzazione.
In tal senso la Corte d’Appello ha preso in considerazione
tutti gli elementi di prova richiamati dalla ricorrente,
rilevando – in maniera del tutto coerente – che da nessuno di
questi era dato argomentare la sussistenza di un rapporto
causale fra le prestazioni certamente commissionate
(progettazione e D.L. opere portanti) e le infiltrazioni
comparse, tutte riconducibili a particolari costruttivi interni;
ed anzi, ha evidenziato le risultanze probatorie che tale
rapporto hanno escluso, nonché i rilievi del consulente tecnico
nominato che – non a caso- ha formulato diverse ipotesi quanto
12

all’origine causale del fenomeno.
La critica mossa dalla ricorrente, tipicamente fattuale,
non coglie pertanto nel segno perché tende in definitiva ad
incidere nel potere di valutazione delle prove, attività

rientrante nelle prerogative del giudice di merito.
Come infatti questa Corte ha più volte affermato, il vizio
di motivazione deducibile con il ricorso per cassazione ex art.
360 c.p.c., n. 5, non può consistere nella difformità
dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del
merito rispetto a quello preteso dalla parte: in quanto sono
riservati esclusivamente a quest’ultimo l’individuazione delle
fonti del proprio convincimento, la valutazione delle prove, il
controllo della loro attendibilità e concludenza, la scelta, fra
le risultanze istruttorie, di quelle ritenute idonee ad
acclarare i fatti oggetto della controversia, potendo egli
privilegiare, in via logica, alcuni mezzi di prova e
disattenderne altri, in ragione del loro diverso spessore
probatorio, con l’unico limite della adeguata e congrua
motivazione del criterio adottato. E’ stato altresì specificato
che anche la valutazione delle risultanze della prova
testimoniale e il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla
loro credibilità involgono apprezzamenti di fatto riservati al
giudice di merito, il quale, nel porre a fondamento della
decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non
incontra alcun limite se non quello di indicare le ragioni del
13

-

proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni
singolo elemento o a confutare ogni deduzione difensiva (Sez. 1,
Sentenza n. 6697 del 19/03/2009 Rv. 607276; Cass. 1554/2004;
1291272004;16034/2002).
Con il quinto ed ultimo motivo di ricorso Fonteviva

5.

deduce ai sensi dell’art. 360 n. 3 e 4 cpc, violazione e falsa
applicazione degli artt. 1176, 1218, 1460, 2229, 2230 e 2697
c.c.. dolendosi dell’accoglimento della domanda riconvenzionale
spiegata dall’ingegnere. Richiama in particolare l’insegnamento
della giurisprudenza di legittimità, secondo cui ove il debitore
convenuto per l’adempimento si avvalga dell’eccezione di
inadempimento risultano invertiti i ruoli delle parti in lite
quanto alla ripartizione dell’onere probatorio; il debitore
eccipiente, infatti, si limiterà ad allegare l’altrui
inadempimento ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio
adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza
dell’obbligazione (cfr. Cass. SS. UU. n. 13533/2001 cit.).
Sulla base di tale premessa, denunzia l’erroneità della
sentenza di appello che ha accolto la riconvenzionale sulla base
delle sole note professionali dello Sbrozzi
dal competente ordine professionale

sia pur vistate

senza pretendere che

questi provasse prima di aver esattamente adempiuto.
Il motivo è anch’esso infondato.
La Corte d’Appello ha rigettato la domanda risarcitoria
nei confronti dello Sbrozzi per difetto di prova sul contenuto
14

del contratto, il cui onere incombe pacificamente in capo alla
parte che agisce per ottenere i rimedi all’altrui inadempimento.
Sulla base di tale premessa la Corte d’Appello ha poi
osservato – quanto alla riconvenzionale di pagamento del

professionali che la committente non aveva mai contestato e
rispetto alle quali, per il ricordato difetto di prova circa
l’invocata fonte negoziale del suo diritto, Fonteviva neppure
poteva fondatamente sollevare eccezione d’inadempimento ex art.
1460 c.c.
Decisione

giuridicamente

corretta

e

logicamente

ineccepibile, sicché ancora una volta la censura non coglie nel
segno.
Il rigetto del ricorso comporta, per il principio della
soccombenza, la condanna della ricorrente al pagamento delle
spese del giudizio di legittimità
P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida
in complessivi C 2.700, di cui C 200,00 per esborsi, oltre
accessori di legge.
Così deciso in Roma il 25.1.2016.

compenso – che essa traeva origine dall’esecuzione di attività

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