Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4309 del 20/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 20/02/2020, (ud. 06/11/2019, dep. 20/02/2020), n.4309

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19655-2017 proposto da:

M.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLE CAVE N.

136, presso il Dott. SALVATORE ZULLINO, rappresentato e difeso dagli

avvocati ERNESTO MAZZEI, GREGORIO VATRANO;

– ricorrente –

contro

REGIONE CALABRIA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SABOTINO 12, presso lo studio

dell’avvocato GRAZIANO PUNGI’, rappresentata e difesa dall’avvocato

ANNAPAOLA DE MASI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1080/2016 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 27/07/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 06/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott.ssa ADRIANA

DORONZO.

Fatto

RILEVATO

che:

con sentenza pubblicata in data 27/7/16, la Corte d’appello di Catanzaro ha dichiarato improcedibile l’appello proposto da M.B. contro la sentenza del Tribunale di Catanzaro, emessa nel contraddittorio con la Regione Calabria, che aveva rigettato la domanda proposta dall’appellante e avente ad oggetto il riconoscimento della causa di servizio e la condanna della datrice di lavoro al pagamento dell’equo indennizzo, oltre al risarcimento dei danni;

a fondamento del decisum la Corte territoriale ha rilevato che il ricorso in appello, con il decreto presidenziale di fissazione dell’udienza di discussione (notificato al procuratore costituito degli appellanti in data 16/4/2012), era stato notificato alla parte appellata il 13/6/2014, a fronte di una udienza di discussione fissata per il 26/6/2014, e dunque in violazione sia del termine di dieci giorni previsto dall’art. 435 c.p.c., comma 2, sia dell’art. 435 c.p.c., comma 3, che assegna un termine minimo a comparire per l’appellato di 25 giorni;

ha poi aggiunto che, in ogni caso, il ricorrente aveva del tutto omesso di notificare il ricorso in appello e l’ordinanza resa all’udienza del 26/6/2014 con la quale la stessa Corte gli aveva concesso un nuovo termine per la notifica alla parte appellata ed aveva fissato la nuova udienza per il 26/2/2015, sicchè, alla luce della mancata costituzione dell’appellato anche per tale udienza, il ricorso doveva ritenersi improcedibile anche sotto tale aspetto;

contro la sentenza, il M. propone ricorso per cassazione, al quale resiste con controricorso la Regione Calabria;

la proposta del relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. è stata notificata alle parti, unitamente al decreto presidenziale di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

i motivi di ricorso sono due, entrambi proposti sotto il profilo della violazione e falsa applicazione di norme di diritto (artt. 291,421 e 435, c.p.c., e art. 111 Cost. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3);

il ricorrente assume che la Corte territoriale estende i principi espressi dalle Sezioni Unite (con la sentenza del 30/7/2008, n. 20604) con riferimento all’omessa notifica anche all’ipotesi della tardiva notifica, attribuendo al termine di cui all’art. 435, comma 3 natura perentoria, nonostante esso non sia definito tale dal legislatore;

gli stessi principi espressi nella sentenza n. 20604/2008 erano stati oggetto di rivisitazione da parte della successiva giurisprudenza di legittimità sul presupposto che l’obiettivo del giusto processo, da declinare anche come diritto del cittadino di ottenere una decisione, non può essere compresso alla luce del principio della ragionevole durata dello stesso;

il ricorso è inammissibile;

risulta dalla sentenza impugnata, senza che sul punto vi siano contestazioni, che il decreto del presidente della corte d’appello, ritualmente comunicato alla parte, aveva fissato l’udienza collegiale per 26/6/2014;

il ricorrente ha provveduto a notificare il ricorso in appello in data 13/6/2014; tra la notificazione del ricorso e del pedissequo decreto di fissazione dell’udienza di discussione e l’udienza stessa non è decorso il termine minimo a comparire, fissato dalla legge in un termine non inferiore a 25 giorni;

è ormai giurisprudenza pacifica che il termine di dieci giorni previsto per la notifica del ricorso dall’art. 435, comma 2, c.p.c., è un termine ordinatorio, sicchè dalla sua inosservanza non può discendere la decadenza dall’impugnazione (cfr., Cass. 29 febbraio 2016, n. 3959; Cass. ord. 16 ottobre 2013, n. 23426; Cass. 31 maggio 2012 n. 8685; Cass. 30 dicembre 2010 n. 26489; Cass. 15 ottobre 2010 n. 21358);

tale interpretazione ha trovato avallo anche nella giurisprudenza della Corte costituzionale (Corte Cost. n. 60 del 2010);

è altrettanto pacifico che, nel rito del lavoro, la violazione del termine non minore di venticinque giorni che, a norma dell’art. 435 c.p.c., comma 3, deve intercorrere tra la data di notifica dell’atto di appello e quella dell’udienza di discussione, non comporta l’improcedibilità dell’impugnazione,come nel caso di omessa o inesistente notificazione, bensì la nullità di quest’ultima, sanabile “ex tunc” per effetto di spontanea costituzione dell’appellato o di rinnovazione, disposta dal giudice ex art. 291 c.p., comma 3 (Cass. 17/04/2018, n. 9404);

nel caso di specie, la notifica non è stata omessa nè è inesistente, bensì è stata effettuata senza il rispetto del termine a comparire: in tal caso il giudice è tenuto a disporne la rinnovazione (Cass., 19 aprile 2016, n. 10775; Cass. 28 agosto 2013, n. 19818; analogamente, rispetto al rito di cui alla L. n. 92 del 2012, art. 47 e s.s., Cass., 29 dicembre 2016, n. 27395; Cass. 1 febbraio 2017, n. 2621);

sul punto, le osservazione del ricorrente sono corrette;

sennonchè, nella stessa sentenza si dà atto che all’udienza del 26/6/2014 il ricorrente ha chiesto ed ottenuto un nuovo termine per rinotificare il ricorso in appello ed è incontestato che il ricorrente non vi ha provveduto, come è stato accertato alla successiva udienza del 26/2/2015 (così a pagina 3 della sentenza impugnata);

in altri termini la Corte ha concesso al ricorrente un nuovo termine per rinnovare la notificazione, secondo quanto dispone l’art. 291 c.p.c., in linea con la giurisprudenza di questa Corte;

ora, la mancata ottemperanza all’ordine di rinnovo della notifica dell’appello determina, ai sensi dell’art. 291 c.p.c., l’inammissibilità dell’appello ove il rinnovo della notifica nulla sia stato del tutto omesso, come è accaduto nel caso di specie (Cass. 03/11/2006, n. 23587; Cass. 30/05/2017, n. 13637);

la Corte territoriale ha dato atto di questa circostanza sulla quale ha fondato, con una seconda autonoma ratio decidendi, la pronuncia di improcedibilità (rectius inammissibilità);

tale seconda ratio, di per sè sufficiente a sorreggere la soluzione adottata, non è stata affatto impugnata, con la conseguenza che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile (Cass. 18/04/2019, n. 10815; Cass. 13/06/2018, n. 15399; Cass. 11/05/2018, n. 11493);

in applicazione del principio della soccombenza il ricorrente deve essere condannato alla rifusione delle spese del presente giudizio;

sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 2.500,00 per compensi professionali e Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario del 15/0 per spese generali e altri accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 6 novembre 2019.

Depositato in cancelleria il 20 febbraio 2020

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