Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4308 del 20/02/2017


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Cassazione civile, sez. un., 20/02/2017,  n. 4308

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente di Sezione –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sezione –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente di Sezione –

Dott. BIELLI Stefano – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22976/2015 proposto da:

LASSELSBERGER S.R.O., in persona dei legali rappresentanti pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 8,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO CRISCI, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato ENRICO PASQUINELLI;

– ricorrente –

contro

T.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA M.

PRESTINARI 13, presso lo studio dell’avvocato PAOLA RAMADORI,

rappresentato e difeso dall’avvocato CLARA MAMBERTI;

– controricorrente –

per regolamento di giurisdizione in relazione al giudizio pendente n.

454/2015 di REGGIO EMILIA;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/02/2017 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;

udito l’Avvocato Francesco CRISCI;

lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello, che ha chiesto

l’inammissibilità del ricorso, con le determinazioni di legge.

Fatto

ESPOSIZIONE DEL FATTO

Ritenuto che la società LASSELSBERGER s.r.o., avente sede in (OMISSIS) propone regolamento preventivo di giurisdizione ex art. 41 c.p.c., chiedendo che venga dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice italiano nella controversia instaurata dinanzi al Tribunale ordinario di Reggio Emilia, in funzione di giudice del lavoro, con ricorso proposto da T.G. per impugnare ai sensi e per gli effetti della legge n. 92 del 2012 il licenziamento per giustificato motivo oggettivo irrogatogli dalla suindicata società, in data 21 ottobre 2014;

che la società ricorrente riferisce che, nel costituirsi tempestivamente in giudizio, ha eccepito preliminarmente il difetto di giurisdizione del giudice italiano in favore di quello ceco e aggiunge che il Tribunale adito, sulla base degli artt. 18 e 19 del Regolamento CE n. 44/2001, con ordinanza del 18 agosto 2015, ha respinto tale eccezione, ponendo l’accento sulla duplice circostanza che il ricorrente da anni è residente in Italia e che quivi è stato assunto dalla società convenuta, concludendo per la sussistenza nella specie della giurisdizione del giudice nazionale con l’applicazione del diritto italiano, in base al principio del “favor lavoratoris”, come applicato in materia dalla giurisprudenza sia della Corte di giustizia UE sia di questa Corte di cassazione;

che la società ricorrente sostiene, invece, l’inapplicabilità, nella specie, sia dell’art. 18, comma 2, del Regolamento CE n. 44/2001, in quanto la propria sede si trova in uno Stato membro UE (la Repubblica Ceca) sia dell’art. 19 dello stesso Regolamento perchè la società non avrebbe alcun domicilio in Italia, il che escluderebbe che l’assunzione del T. possa essere avvenuta a Reggio Emilia;

che la società precisa, inoltre, che il dipendente ha lavorato in più Stati Europei e, fra questi, solo sporadicamente in Italia, in occasione di fiere o visite a fornitori e non presso inesistenti sedi o stabilimenti italiani della società, non rilevando in contrario il recapito presso la consulente del lavoro, che la società aveva indicato solo per la ricezione delle comunicazioni inviate da parte uffici pubblici nazionali;

che la società aggiunge che l’avvenuta pattuizione tra le parti contrattuali circa l’applicabilità al rapporto di lavoro del diritto sostanziale italiano non significa che le controversie sul rapporto stesso possano essere devolute alla giurisdizione del giudice italiano perchè tra le parti non esiste alcun accordo in tal senso, come previsto dall’art. 23 del Regolamento CE n. 44/2001 cit.;

che T.G. resiste, con controricorso, chiedendo, in via gradata, che il regolamento preventivo di giurisdizione in oggetto: a) sia dichiarato improcedibile, perchè la questione di giurisdizione è già stata decisa con la suindicata ordinanza del Tribunale ordinario di Reggio Emilia; b) sia dichiarato inammissibile per violazione del principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione; c) sia respinto nel merito, con conseguente dichiarazione della sussistenza della giurisdizione del giudice italiano;

che il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio sulla base delle conclusioni scritte del pubblico ministero, ai sensi dell’art. 380 ter c.p.c., il quale ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità del proposto regolamento di giurisdizione, perchè l’ordinanza del 18 agosto 2015 cit. deve essere considerata come un provvedimento avente carattere non meramente interlocutorio ma decisorio con il quale il giudice ha definitivamente provveduto sulla giurisdizione dopo aver autorizzato il deposito di note sul punto, senza che rilevi in contrario che il giudice abbia con l’ordinanza stessa disposto anche lo svolgimento di attività istruttoria ed abbia infine rinviato la discussione all’udienza del 2 ottobre 2015;

che, in prossimità della camera di consiglio, entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative, nelle quali hanno rispettivamente sviluppato argomenti di contestazione (la società ricorrente) e di condivisione (il controricorrente) delle conclusioni scritte del pubblico ministero.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato, in primo luogo, che il presente regolamento preventivo di giurisdizione essendo stato proposto nella prima fase del procedimento di impugnativa di licenziamento, di cui alla L. 28 giugno 2012, n. 92, art. 1, comma 47 e segg., va dichiarato ammissibile, dandosi continuità all’orientamento espresso in tal senso da queste Sezioni Unite (ordinanza 18 settembre 2014, n. 19674);

che, come affermato anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 78 del 2015, questa Corte di cassazione, a partire dalla suindicata ordinanza n. 19674, ha – con una interpretazione ormai consolidatasi in termini di diritto vivente per effetto delle successive conformi pronunce (Cass. 20 novembre 2014, n. 24790; Cass. 17 febbraio 2015, n. 3136; Cass. 16 aprile 2015, n. 7782, cui possono aggiungersi le recenti: Cass. 3 marzo 2016, n. 4223; Cass. 25 agosto 2016, n. 17325; Cass. 30 settembre 2016, n. 19552) – chiarito che il carattere peculiare del rito impugnatorio dei licenziamenti introdotto dal legislatore del 2012, sta nell’articolazione in due fasi del giudizio di primo grado;

che, in particolare, è stato precisato che dopo la fase iniziale concentrata e deformalizzata – finalizzata ad offrire al lavoratore ricorrente una tutela rapida ed immediata luce dei soli atti di istruzione indispensabili per dimostrare la fondatezza “prima facie” della domanda azionata – il procedimento, nella fase dell’opposizione, si riespande alla dimensione ordinaria della cognizione piena nel medesimo grado, con accesso per le parti a tutti gli atti di istruzione ammissibili e rilevanti;

che tale seconda fase, non costituendo una “revisio prioris instantiae” della fase precedente ma solo “una prosecuzione del giudizio di primo grado” non postula l’obbligo di astensione (del giudice che abbia pronunziato l’ordinanza opposta), previsto dall’art. 51 c.p.c., comma 1, n. 4), con (tassativo) riferimento al magistrato che abbia conosciuto della controversia “in altro e non dunque, nel medesimo grado del processo” (Corte cost. ord. n. 205 del 2014 e sent. n. 78 del 2015 cit.);

che si è soggiunto che la prima fase del procedimento di impugnativa, pur caratterizzata da sommarietà dell’istruttoria, non ha natura cautelare in senso stretto, non riferendosi la sommarietà anche alla cognizione del giudice, nè sussistendo un’instabilità dell’ordinanza conclusiva di tale fase, che è idonea al passaggio in giudicato in caso di omessa opposizione;

che l’opposizione non verte sullo stesso oggetto dell’ordinanza opposta (pronunciata su un ricorso “semplificato” e sulla base dei soli atti di istruzione ritenuti, allo stato, indispensabili), nè tantomeno è circoscritta alla cognizione di “errores in procedendo” o “in iudicando” eventualmente commessi dal giudice della prima fase, ma può investire anche differenti profili sia soggettivi (stante anche il possibile intervento di terzi) sia oggettivi (in ragione dell’ammissibilità di domande nuove, anche in via riconvenzionale, purchè fondate sugli stessi fatti costitutivi) sia procedimentali, essendo previsto che in detto giudizio possano essere dedotte circostanze di fatto ed allegati argomenti giuridici anche diversi da quelli già addotti e che si dia corso a prove ulteriori;

che ciò esclude che la fase oppositoria (nell’ambito del giudizio di primo grado) possa configurarsi come la riproduzione dell’identico itinerario logico decisionale già seguito per pervenire all’ordinanza opposta, la quale – in esito alla fase di opposizione – è destinata, comunque, ad essere assorbita nella statuizione definitiva che conclude il primo grado del giudizio: decisione, quest’ultima, che può ben condurre ad un esito differente (rispetto a quello dell’ordinanza opposta) in virtù del nuovo materiale probatorio apportato al processo e del suo ampliamento soggettivo od oggettivo (nei limiti consentiti), anche alla luce della pressochè totale assenza di preclusioni e decadenze per le parti nell’ambito della prima fase;

che, nell’anzidetta ordinanza n. 19674 del 2014, alla soluzione in senso affermativo della questione dell’ammissibilità del regolamento preventivo di giurisdizione proposto – al pari dell’attuale – nella prima fase del procedimento di impugnativa di licenziamento di cui alla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 47 e segg., cit. queste Sezioni Unite sono giunte anche attraverso il richiamo sia di Cass. SU 10 luglio 2012 n. 11512, ove è stato ritenuto ammissibile il regolamento preventivo di giurisdizione proposto nel procedimento sommario ex art. 702 bis c.p.c. e ss., trattandosi di rito avente natura cognitiva e non cautelare, cui è assimilabile il particolare procedimento avente ad oggetto l’impugnativa di licenziamento;

che, in tale ultima decisione, è stato ricordato l’indirizzo di queste Sezioni Unite secondo cui la proposizione del regolamento preventivo di giurisdizione non è preclusa dalla circostanza che il giudice adito per il merito abbia provveduto su una richiesta di provvedimento cautelare, pur se, ai fini della pronuncia, abbia risolto in senso affermativo o negativo una questione attinente alla giurisdizione, ovvero sia intervenuta pronunzia sul reclamo avverso il provvedimento cautelare, in quanto il provvedimento reso sull’istanza cautelare non costituisce sentenza e la pronunzia sul reclamo mantiene il carattere di provvisorietà proprio del provvedimento cautelare (Cass. SU 9 febbraio 2011, n. 3167 cui adde Cass. SU 20 giugno 2014, n. 14041);

che, pertanto, “mutatis mutandis” anche l’avvenuta emissione di uno specifico provvedimento sulla giurisdizione – quale è, nella specie, l’ordinanza del 18 agosto 2015 del Tribunale adito – non esclude l’ammissibilità del regolamento preventivo di giurisdizione della prima fase del procedimento “de quo”, essendo già stato precisato (con riguardo all’ammissibilità del regolamento di competenza in relazione ad una pronuncia sulla litispendenza) che il pieno rispetto dei principi di unitarietà della giurisdizione e di economia processuale rende necessario che il giudice della fase sommaria del procedimento di cui all’art. 1, comma 48, ammetta ed esamini eventuali questioni di rito, decidendo sulle stesse;

che, da un lato, questo non collide con la configurazione della anzidetta fase sommaria come un passaggio processuale diretto a favorire una rapida definizione della causa, perchè è “jus receptum” che l’esigenza di accelerare la definizione delle controversie non deve pregiudicare lo scopo e la funzione del processo e compromettere l’effettività della tutela giurisdizionale (vedi, per tutte: Corte cost. sentenze n. 42 del 1999 e n. 28 del 2010) e la pronuncia sul regolamento preventivo di giurisdizione, istituzionalmente finalizzata a consentire una sollecita definizione della questione di giurisdizione (Cass. SU 7 marzo 2005, n. 4805), è in linea con tali esigenze, perchè rappresenta una corsia accelerata per sgombrare il campo da una questione (quella del giudice dotato di giurisdizione) che deve essere inquadrata nella fisiologia del sistema processuale, in coerenza col principio della ragionevole durata del processo (arg. ex Cass. SU n. 17443 del 2014 cit.);

che, d’altra parte, la suddetta ammissibilità neppure è incompatibile con l’idoneità al passaggio in giudicato dell’ordinanza conclusiva della fase sommaria in oggetto (Cass. SU 31 luglio 2014, n. 17443), in quanto tale definitività si può verificare solo se la fase del giudizio a cognizione piena non viene attivata, mentre se tale fase viene attivata essa non può configurarsi come la riproduzione dell’identico itinerario logico decisionale già seguito per pervenire all’ordinanza opposta, tanto che la decisione definitiva di conclusione del primo grado del giudizio può ben condurre ad un esito differente rispetto a quello dell’ordinanza opposta, destinata, comunque, ad essere in essa assorbita;

che si può ricordare infine che, con consolidato indirizzo, da queste Sezioni Unite è stata affermata l’ammissibilità del regolamento preventivo di giurisdizione durante la pendenza del giudizio di opposizione al decreto conclusivo del procedimento di repressione della condotta antisindacale ex art. 28 St. lav., posto che tale decreto costituisce, fino al momento in cui venga confermato o revocato in sede di opposizione, un atto processuale provvisorio che non può contenere alcuna implicita statuizione concernente la giurisdizione, sulla quale possa formarsi il giudicato (vedi: Cass. SU 24 settembre 2010, n. 20161; Id. 10 dicembre 2003, n. 18895; Id. 24 gennaio 2003, n. 1127; Id, 7 febbraio 2002, n. 1761; Id. 16 gennaio 1987, n. 309; ed in epoca ancor più risalente Cass. SU 23 marzo 1974, n. 815);

che, infatti, ai fini che qui interessano, il procedimento di cui all’art. 28 St. lav. presenta importanti analogie con quello previsto dalla legge Fornero, circa la previsione di un provvedimento che conclude la fase sommaria e che, in difetto di opposizione, produce effetti sostanziali di carattere definitivo, salve restando le differenze tra i due istituti con riguardo al rapporto tra le due fasi del procedimento, sotto il profilo della imparzialità – terzietà del giudice (vedi, per tutte: Corte cost. n. 387 del 1999 e n. 78 del 2015 cit.);

che escluso, per quanto finora argomentato, che la suindicata ordinanza del Tribunale di Reggio Emilia abbia determinato l’inammissibilità del ricorso per regolamento preventivo in oggetto, va conseguentemente respinta l’eccezione di improcedibilità proposta al riguardo dal controricorrente;

che neppure merita accoglimento l’eccezione di inammissibilità proposta dal T., per asserita violazione del principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione di cui all’art. 366;

che, com’è noto, in base ad un consolidato e condiviso indirizzo di queste Sezioni Unite il ricorso per regolamento di giurisdizione, non essendo un mezzo di impugnazione, ma soltanto uno strumento per risolvere in via preventiva ogni contrasto, reale o potenziale, sulla “potestas judicandi” del giudice adito – salvo il rispetto dell’onere di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, vedi Cass. SU 7 novembre 2013, n. 25038 – deve contenere, a pena di inammissibilità, soltanto l’esposizione sommaria dei fatti di causa per consentire alla Suprema Corte di conoscere dal ricorso, senza attingere “aliunde”, gli elementi indispensabili per una precisa cognizione dell’origine e dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo, e delle posizioni in esso assunte dalle parti, pur se in funzione della sola questione di giurisdizione che essa è chiamata a decidere, potendo anche non contenere i motivi specifici di ricorso, e cioè l’indicazione del giudice che ha la giurisdizione o delle norme e delle ragioni di fatto o di diritto su cui è sostenuto (Cass. SU 18 maggio 2015, n. 10092; Cass. SU 16 maggio 2013, n. 11826; Cass. SU 9 giugno 2004, n. 10980; Cass. SU 20 ottobre 2000, n. 1129 nonchè Cass. SU n. 1542 del 1977; Id. n. 1923 del 1977; Id. n. 4837 del 1977; Id. n. 1290 del 1983; Id. n. 224 del 1984; Id.. n. 1540 del 1993);

che, nella specie, il ricorso risulta essere formulato in modo conforme al suddetto principio perchè in esso sono esposti gli estremi della controversia necessari per la definizione della questione di giurisdizione, con l’indicazione delle parti, dell’oggetto e del titolo della domanda nonchè con la specificazione del procedimento cui si riferisce l’istanza e della fase in cui si trova, il che consente la verifica del rispetto delle condizioni per la proponibilità del mezzo, imposte dall’art. 41 c.p.c. (vedi spec. Cass. SU 18 maggio 2015, n. 10092 cit.);

che, d’altra parte, il suddetto principio si raccorda con il costante indirizzo di questa Corte secondo cui, in ordine alle questioni di giurisdizione, queste Sezioni Unite svolgono anche il ruolo di giudici del fatto e pertanto possono apprezzare direttamente i “fatti”, anche non processuali, traendone conseguenze in piena autonomia e indipendenza sia dalle deduzioni delle parti che dalle valutazioni del giudice del merito (Cass. SU 21 aprile 2015, n. 8074; Id. 17 luglio 2008, n. 19603; Id. 2 aprile 2007, n. 8095; Id. 22 luglio 2002, n. 10696; Id. 10 agosto 2000, n. 560; Id. 19 febbraio 1999, n. 79; Id. 9 ottobre 1984, n. 5028; Id. 19 novembre 1979, n. 6025);

che la questione di giurisdizione proposta dalla società LASSELSBERGER s.r.o. è quindi esaminare nel merito, ma deve essere respinta, dovendosi affermare la sussistenza della giurisdizione del giudice italiano, per considerazioni sostanzialmente coincidenti con quelle sviluppate dal Tribunale di Reggio Emilia nell’ordinanza del 18 agosto 2015 citata;

che tale ordinanza merita soltanto alcune puntualizzazioni, la prima delle quali consiste nel fatto che ai fini dell’individuazione della normativa comunitaria da applicare per stabilire quale sia il giudice cui spetta la giurisdizione va applicato il principio secondo cui ai fini della pronuncia sulla giurisdizione in genere, occorre avere riguardo alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento della domanda giudiziale, principio che trova riscontro sia nella normativa nazionale sia in quella comunitaria (vedi: Cass. SU 19 maggio 2009, 11532);

che, nella specie, l’art. 66, comma 1, del regolamento UE n. 1215/2012 (regolamento Bruxelles I – rifusione) stabilisce che “Il presente regolamento si applica solo alle azioni proposte, agli atti pubblici formalmente redatti o registrati e alle transazioni giudiziarie approvate o concluse alla data o successivamente al 10 gennaio 2015”;

che il citato regolamento UE ha sostituito – a decorrere dal 10 gennaio 2015 – il regolamento CE n. 44/2001, il quale, a sua volta, aveva sostituito, fra gli Stati membri firmatari, le disposizioni della Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968, concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (ratificata con L. n. 804 del 1971), il cui art. 5, n. 1, nella formulazione introdotta dalla Convenzione di San Sebastian 26 maggio 1989 (ratificata con L. n. 339 del 1991), aveva dettato uno specifico criterio di collegamento per il contratto individuale di lavoro, stabilendo che per “luogo in cui l’obbligazione dedotta in giudizio è stata o deve essere eseguita” deve intendersi quello in cui il lavoratore svolge abitualmente la propria attività e che, qualora il lavoratore non svolga abitualmente la propria attività in un unico Paese, il datore di lavoro può essere citato dinanzi al giudice del luogo in cui è situato o era situato lo stabilimento presso il quale il lavoratore è stato assunto (vedi, per tutte: Cass. SU 26 giugno 2003, n. 10164);

che, essendo stato il ricorso introduttivo del presente giudizio depositato il 30 aprile 2015, è esatto il rilievo del controricorrente secondo cui si deve fare applicazione del regolamento UE n. 1215/2012 e non del regolamento CE n. 44/2001, mentre a tale ultimo regolamento fanno riferimento sia il Tribunale nella suddetta ordinanza sia la società ricorrente in questa sede;

che, peraltro, si tratta tuttavia di una precisazione ininfluente ai fini che qui interessano;

che, infatti, la normativa prevista sul punto nei due suddetti regolamenti è uguale, visto che: 1) tanto l’art. 18 comma 2 del reg. n. 44/2001 quanto l’art. 20, comma 2, del reg. n. 1215/2002 stabiliscono che “qualora un lavoratore concluda un contratto individuale di lavoro con un datore di lavoro che non sia domiciliato in uno Stato membro ma possieda una succursale, un’agenzia o qualsiasi altra sede d’attività in uno Stato membro, il datore di lavoro è considerato, per le controversie relative al loro esercizio, come avente domicilio nel territorio di quest’ultimo Stato”; 2) in entrambi i regolamenti si prevede che “il datore di lavoro domiciliato nel territorio di uno Stato membro possa essere convenuto davanti ai giudici dello Stato membro in cui è domiciliato o in un altro Stato membro: a) davanti al giudice del luogo in cui il lavoratore svolge abitualmente la propria attività o a quello dell’ultimo luogo in cui la svolgeva abitualmente, oppure b) qualora il lavoratore non svolga o non abbia svolto abitualmente la propria attività in un solo Paese, davanti al giudice del luogo in cui è o era situata la sede d’attività presso la quale è stato assunto” (art. 19 reg. n. 44/2001 e art. 21 reg. n. 1215/2012);

che, nella specie, è pacifico che: 1) il T., nato in (OMISSIS), è cittadino italiano e da anni è residente in Italia ove ha anche il proprio domicilio, mantenendo qui i propri interessi e legami; 2) che la società LASSELSBERGER s.r.o. pur avendo sede nella (OMISSIS), ha in Italia una propria iscrizione INPS, INAIL e un codice di azienda a fini fiscali (elementi riportati nell’ordinanza e non smentiti dalla ricorrente); 3) l’assunzione del T. è stata effettuata in Italia ove si è perfezionato anche il licenziamento; 4) il dipendente ha lavorato in più Stati Europei e, fra questi, solo sporadicamente in Italia; 5) peraltro, le parti hanno pattuito di applicare al rapporto di lavoro il diritto sostanziale italiano e nell’intimazione del licenziamento la società ha esplicitamente fatto riferimento alla normativa italiana (art. 3 della L. n. 604 del 1966); 6) la società ha un c.d. recapito in Reggio Emilia presso la propria consulente del lavoro, che, come afferma la stessa ricorrente, è stato indicato per la ricezione delle comunicazioni afferenti il rapporto di lavoro da parte degli uffici pubblici nazionali, il che – in assenza di specifica contestazione sul punto – implicitamente conferma l’esattezza del rilievo del dipendente secondo cui quivi è stata effettuata l’assunzione, onde consentire alla datrice di lavoro di poter fruire di tutti i benefici contributivi previsti dalla legislazione italiana;

che, in questa situazione, non possono esservi dubbi sulla sussistenza della giurisdizione del giudice italiano in quanto, diversamente da quanto affermato – ma non dimostrato – dalla società, il c.d. recapito in Reggio Emilia può bene essere inteso, usando la terminologia dei suddetti regolamenti, come “sede d’attività”, ai soli fini della giurisdizione che qui interessano;

che, del resto, in base alla costante giurisprudenza della Corte di giustizia UE, qualora le prestazioni lavorative siano eseguite in più di uno Stato membro, in accordo anche quanto stabilito dal regolamento CE n. 593/2008 del 17 giugno 2008, l’individuazione del giudice competente per le relative controversie deve ispirarsi ai principi del “favor lavoratoris”, in quanto le parti più deboli del contratto devono essere protette “tramite regole di conflitto di leggi più favorevoli” (CGUE 15 marzo 2011, C 29/10; CGUE 10 aprile 2003, C-437/00; CGUE, 27 febbraio 2002 C-37/00; CGUE 9 gennaio 1997, C 383/95; CGUE 13 luglio 1993, C 125/92);

che tale orientamento è stato recepito anche dalla giurisprudenza di questa Corte (vedi, per tutte: Cass. SU 13 dicembre 2007, n. 26089; Id. 9 gennaio 2008, n. 169; Id. 17 luglio 2008, n. 19595), in applicazione dell’usuale criterio ermeneutico dell’interpretazione del diritto nazionale in conformità con il diritto UE come interpretato dalla CGUE (vedi, al riguardo: Cass. Sez. Lav. 12 settembre 2014, n. 19301);

che, in conclusione, diversamente da quanto sostenuto dalla la società LASSELSBERGER s.r.o. ricorrente, deve essere dichiarato che la presente controversia è devoluta alla giurisdizione del giudice italiano, rimettendo la causa, anche per le spese, al Tribunale ordinario di Reggio Emilia, in funzione di giudice del lavoro.

PQM

La Corte, a Sezioni Unite, dichiara la giurisdizione del giudice italiano e rimette la causa, anche per le spese, al Tribunale ordinario di Reggio Emilia, in funzione di giudice del lavoro.

Così deciso in Roma, il 7 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2017

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA