Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4307 del 20/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 20/02/2020, (ud. 06/11/2019, dep. 20/02/2020), n.4307

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19162-2017 proposto da:

C.V., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso

la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato FILOMENA D’ADDARIO;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE

BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO,

rappresentato e difeso dagli avvocati LUIGI CALIULO, SERGIO PREDEN,

LIDIA CARCAVALLO, ANTONELLA PATTERI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 98/2017 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 19/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 06/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott.ssa DORONZO

ADRIANA.

Fatto

RILEVATO

che:

la Corte d’appello di Lecce, con sentenza pubblicata il 19/1/2017, ha rigettato l’appello proposto da C.V. contro la sentenza resa dal Tribunale di Brindisi che aveva rigettato la domanda proposta dall’appellante volta ad ottenere il riconoscimento della rivalutazione contributiva prevista L. n. 257 del 1992, ex art. 13 per l’esposizione ad amianto nel periodo dedotto in causa, in qualità di dipendente della Nuova Siet s.p.a., poi Ilva S.p.A.;

la Corte territoriale ha confermato la decisione del Tribunale sulla base di una diversa ragione, costituita dalla decadenza del ricorrente dal diritto azionato, rilevando che l’istanza amministrativa era stata presentata all’Inps in data 16/1/2006 mentre il ricorso giudiziario era stato depositato il 6/5/2013, oltre il termine dei tre anni e trecento giorni previsti per legge;

contro la sentenza, il lavoratore ha proposto ncorso per cassazione formulando un unico motivo, cui ha resistito con controricorso l’Inps; la proposta del relatore ex art. 380 bis c.p.c. è stata comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata;

il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

la censura è proposta, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, come violazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè della L. n. 257 del 1992, art. 13, del D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47 e della L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 3, comma 132;

assume che la Corte territoriale ha violato il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, nella parte in cui ha applicato la decadenza sul presupposto che la sua domanda avesse ad oggetto una pronuncia costitutiva del beneficio derivante dall’esposizione all’amianto, senza considerare che egli aveva già ottenuto il beneficio, ma limitatamente al periodo 26/11/197931/12/1992, e che la sua domanda riguardava il periodo successivo, fino al luglio 2001, data del suo collocamento a riposo;

la denuncia di violazione dell’art. 112 c.p.c. è inammissibile, dal momento che la parte non trascrive il ricorso introduttivo del giudizio, neppure nelle sue parti salienti, sicchè non può apprezzarsi l’erroneità del giudice nella qualificazione della domanda e nella esatta individuazione del petitton;

soccorrono qui i principi ripetutamente affermati da questa Corte secondo cui, ai fini della ammissibilità del motivo con il quale si lamenta un vizio del procedimento (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) per erronea individuazione del “chiesto” ex art. 112 c.p.c., affermandosi che la deduzione della situazione di fatto pertinente alla richiesta è avvenuta sin dall’atto introduttivo del giudizio in primo grado, è necessario che il ricorrente, alla luce del principio di autosufficienza dell’impugnazione, indichi le espressioni con cui detta deduzione è stata formulata nel giudizio di merito, non potendo a tal fine limitarsi ad asserire che si tratti di fatto pacifico, posto che è pacifico soltanto il fatto che la parte abbia allegato, in modo tale che la controparte possa ammetterlo direttamente ed espressamente oppure in modo indiretto, attraverso l’affermazione di un fatto che lo presupponga (Cass. 30/04/2010, n. 10605; Cass. 04/07/2014, n. 15367);

al di là di questo profilo di inammissibilità, la questione è comunque irrilevante, alla luce dei principi ripetutamente affermati da questa Corte, che inducono rigetto del ricorso;

la domanda volta ad ottenere la rivalutazione contributiva deve qualificarsi come domanda autonoma rispetto a quella volta ad ottenere la rideterminazione dei ratei pensionistici, la quale costituisce un effetto riflesso dell’accertamento del diritto a seguito dell’azione proposta ai sensi della L. n. 257 del 1991, art. 13;

tale autonomia non può essere esclusa per il fatto che vi sia stata certificazione INAIL attestante l’esposizione all’amianto per un determinato periodo, giacchè tale certificazione non può spiegare effetti per i periodi successivi per i quali è necessaria un’autonoma domanda e, in caso di contestazione, l’accertamento dell’esposizione qualificata ad amianto;

la L. 24 novembre 2003, n. 326, art. 47, comma 4, prevede che “La sussistenza e la durata dell’esposizione all’amianto di cui al comma 3 sono accertate e certificate dell’Inail”;

il D.M. 27 ottobre 2004, art. 3, comma 1, emanato in forza della già citata L. n. 269 del 2003, art. 47, comma 6 (che demanda ad un decreto del Ministero del lavoro, di concerto con il Ministro dell’economia, la definizione delle modalità di attuazione) ribadisce tale previsione;

come risulta dal dato normativo, il legislatore ha conferito pieno valore alla certificazione dell’Inail concernente, per ciascun lavoratore, il grado di esposizione e la sua durata, rilasciata sulla base degli atti di indirizzo del Ministero del lavoro, come mezzo di prova ai fini del beneficio per cui è causa, ma nei limiti del periodo ivi indicato (Cass. 16/03/2011, n. 6264);

ove, però, si intenda agire per il riconoscimento del diritto alla rivalutazione per un periodo successivo la relativa domanda non può essere qualificata come di mera riliquidazione di una prestazione già riconosciuta: ciò che si fa valere non è il diritto al ricalcolo della prestazione pensionistica, ovvero alla rivalutazione dell’ammontare dei singoli ratei erroneamente (o ingiustamente) liquidati in sede di determinazione amministrativa, bensì il diritto a un beneficio che, seppure previsto dalla legge “ai fini pensionistici” e ad essi, quindi, strumentale, è dotato di una sua specifica individualità e autonomia, operando sulla contribuzione ed essendo ancorato a presupposti propri e distinti da quelli in presenza dei quali era sorto (o sarebbe sorto) – in base ai criteri ordinari – il diritto al trattamento pensionistico (Cass. 25/5/2016, n. 10887; v. pure Cass. 19/12/2018, n. 32883);

non si è in presenza di una pretesa all’esatto adempimento di una prestazione previdenziale (pensione) riconosciuta solo in parte, ma di una situazione giuridica ricollegabile ad un “fatto” in relazione al quale viene ad essere determinato – in via meramente consequenziale -, con la maggiorazione, il contenuto del diritto alla pensione (cfr. Cass. 10887/2016, ed ivi ampi richiami);

non sono pertanto pertinenti i richiami giurisprudenziali contenuti nella memoria illustrativa depositata dal ricorrente, e in particolare il richiamo a Cass. Sez. Un. N. 12.720/2009, i quali si riferiscono alle diverse ipotesi di domande di riliquidazione di prestazioni pensionistiche già riconosciute, laddove l’oggetto del presente giudizio è dato da un’autonoma domanda, volta all’accertamento del diritto alla rivalutazione contributiva;

questa Corte, decidendo numerose analoghe controversie (cfr., in particolare, Cass. 27/4/2016, n. 8307; Cass. 30/6/2015, n. 13398; Cass.4/4/2014, n. 7934; da ultimo, Cass. 17/7/2018, n. 19029 e Cass. 28/11/2018, n. 30829), ha affermato il principio in forza del quale la decadenza dall’azione giudiziaria, prevista dal D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, nel testo sostituito dal D.L. n. 384 del 1992, art. 4 (convertito nella L. n. 438 del 1992), trova applicazione anche per le controversie aventi ad oggetto il riconoscimento del diritto alla maggiorazione contributiva per esposizione all’amianto, siano esse promosse da pensionati ovvero da soggetti non titolari di alcuna pensione;

va pure ricordato il costante orientamento di questa Corte (v. Cass. ord. 4/4/2017, n. 8657; Cass. 29/02/2016, n. 3990; Cass.19/3/2014, n. 6331; Cass. 09/09/2011, n. 18528), secondo cui la decadenza dall’esercizio dell’azione giudiziaria, prevista dal D.P.R. n. 639, del 1970, art. 47 come modificato dal D.L. n. 284 del 1992, art. 4, conv. in L. n. 438 del 1992, è un istituto di ordine pubblico dettato a protezione dell’interesse alla definitività e certezza delle determinazioni concernenti erogazioni di spese gravanti sui bilanci pubblici, ed è pertanto rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, con il solo limite del giudicato, nella specie peraltro non verificatosi;

i suddetti benefici aggiuntivi, richiesti in via amministrativa, vanno cosi rivendicati giudizialmente entro un termine del tutto ragionevole, senza che, in caso di inutile decorso del termine, possa dirsi lesa l’effettività del diritto (nel suo nucleo sostanziale) riconosciutogli all’art. 38 Cost. (Cass. 12/12/2017, n. 29819, ed ivi ampi richiami di giurisprudenza); anche la questione di legittimità costituzionale è stata da questa Corte più volte ritenuta manifestamente infondata: al riguardo si richiama da ultimo Cass. 10/11/2016, n. 22948 (che richiama a sua volta Cass. n. 6382/2012), dalle cui motivazioni non vi è ora motivo di discostarsi in quanto le ragioni esposte nel ricorso sono sorrette da argomenti ripetutamente scrutinati da questa Corte e non appaiono comunque di tale evidenza e gravità da esonerare la Corte dal dovere di fedeltà ai propri precedenti (vedi pure Cass. n. 3029/2016; 19699/2015);

il ricorso pertanto non può essere accolto;

in applicazione del principio della soccombenza, le spese del presente giudizio vanno poste a carico del ricorrente, nella misura indicata nel dispositivo, non risultando versata in atti idonea dichiarazione ex art. 152 disp.att. c.p.c., di cui la parte si era riservata la produzione senza tuttavia provvedere;

sussistono le condizioni processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore somma pari a quella già prevista per il contributo unificato, essendo stato il ricorso per cassazione notificato in data successiva al 30 gennaio 2013.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 2000 per compensi professionali e 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e agli altri accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 6 novembre 2019.

Depositato in cancelleria il 20 febbraio 2020

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