Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4305 del 23/02/2010

Cassazione civile sez. trib., 23/02/2010, (ud. 26/01/2010, dep. 23/02/2010), n.4305

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio – rel. Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. DI DOMENICO Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso n. 20979/05 R.G. proposto da:

Enrico Gattermayer & C. s.a.s., in persona del legale

rappresentante

p.t., elettivamente domiciliata in Roma, piazza Sallustio, n. 9,

presso l’Avvocato Palermo Gianfranco, che la rappresenta e difende

per procura speciale con scrittura privata autenticata per atto

Notaio Vittorio Giua Marassi, rep. n. 126221 del giorno 11.7.2005;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore p.t. e Ministero

dell’economia e delle finanze, in persona del Ministro p.t.,

domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che li rappresenta e difende secondo la legge;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 24/7/05 della Commissione tributaria regionale

della Sardegna, depositata il 1.6.2005.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

giorno 26 gennaio 2010 dal relatore Cons. Dott. Giuseppe Vito Antonio

Magno;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. De

Nunzio Wladimiro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

1.- Dati del processo.

1.1.- La ditta individuale Enrico Gattermayer – poi confluita nell’attuale Enrico Gattermayer & C. s.a.s. – impugnò, davanti alla commissione tributaria di primo grado di Cagliari, l’avviso di rettifica della dichiarazione IVA 1985, notificato il 26.7.1990 dal competente ufficio della stessa città, con cui era accertata una maggiore imposta di L. 38.663.000, inerente all’emissione di tre fatture assoggettate indebitamente, secondo l’ufficio, ad aliquota agevolata, erano richiesti interessi nella misura di L. 20.493.000 ed era irrogata la sanzione di L. 103.101.000.

1.2.- La commissione adita, ritenendo che i lavori eseguiti dalla ditta (illuminazione della rete stradale interna al complesso immobiliare gestito dall’Azienda Fiera della Sardegna), cui si riferivano le fatture, dovevano catalogarsi fra le opere di urbanizzazione, soggette ad aliquota agevolata, accolse il ricorso.

1.3.- Tale decisione fu riformata, su appello dell’ufficio, dalla commissione tributaria di secondo grado di Cagliari con pronunzia (decisione n. 405/93 del 5.7.1993) confermata dalla commissione tributaria centrale, che respinse il ricorso della contribuente sul rilievo che i lavori erano stati eseguiti all’interno di un’area privata ed in assenza di un piano di urbanizzazione; ferma restando anche la debenza della sanzione applicata.

1.4.- In esito al giudizio di cassazione instaurato su ricorso della contribuente, la menzionata decisione fu annullata, con sentenza n. 15394 del 5.12.2001 di questa suprema corte, relativamente alla debenza dell’imposta, illegittimamente duplicata a carico dell’appaltatrice perchè già soddisfatta dalla committente; con rinvio alla commissione tributaria regionale della Sardegna per accertare l’esistenza, o inesistenza, della condizione di fatto (riconducibilità dei lavori in questione “alle ipotesi di cui alla L. n. 847 del 1964, art. 4, comma 2, lett. g”) cui è subordinata l’agevolazione fiscale, al solo fine di rideterminare la sanzione – in caso di accertamento negativo di tale condizione – in conformità allo jus superveniens rappresentato dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 e D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472.

1.5.- Il giudice del rinvio, con la sentenza indicata in epigrafe, ha disposto doversi rideterminare la sanzione in base al citato jus superveniens, ed ha liquidato le spese di lite. Ha infatti ritenuto non spettante alla contribuente, e quindi illegittimamente applicata, l’aliquota agevolata, riservata dalla L. 29 settembre 1964, n. 847, art. 4, comma 2, lett. g), ai “centri sociali e attrezzature culturali e sanitarie”, opere del tutto diverse da quella commissionata ed eseguita, riguardante la “realizzazione di una nuova cabina elettrica e di una serie di linee in cavo per l’alimentazione dei vari padiglioni all’interno della Fiera” (Fiera Internazionale della Sardegna).

1.6.- La nominata ditta contribuente ricorre avverso tale sentenza, chiedendone l’annullamento con le conseguenze di legge, in base a tre motivi.

1.7.-. Il ministero dell’economia e delle finanze e l’agenzia delle entrate resistono mediante controricorso.

2.- Motivi del ricorso.

2.1.- La contribuente censura la sentenza impugnata:

2.1.1.- col primo motivo – “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto: art. 384 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – Illogicità, contraddittorietà, carenza di motivazione: art. 360 c.p.c., n. 5” -, perchè il giudice del rinvio non avrebbe correttamente assolto il compito demandatogli, avendo omesso di accertare la conformità delle opere di cui si tratta ai parametri indicati nella sentenza di cassazione (insistenza delle opere su suolo demaniale e realizzazione delle stesse per conto di un ente pubblico), ed avendo invece svolto considerazioni non pertinenti, illogiche e contraddittorie circa la mancanza, sull’area interessata ai lavori, di centri sociali e di altre attrezzature culturali o sanitarie;

2.1.2.- col secondo motivo – “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto: art. 12 preleggi, L. n. 847 del 1964, art. 4, comma 2, lett. g in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – Carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione: art. 360 c.p.c., n. 5” -, per avere falsamente interpretato, peraltro senza idonea motivazione, l’espressione “centri sociali”, adoperata dal legislatore; espressione da intendere correttamente nel senso in cui comprende “tutti i centri di aggregazione sociale” suscettibili di destinazione ad uso pubblico, facendo anche riferimento alla lett. c) della stessa norma, riguardante strutture, come i mercati di quartiere, che assolvono a identiche funzioni d’interesse economico generale, istituzionalmente demandate alle camere di commercio, in conformità alla ralla legis non indagata dal giudice del rinvio;

2.1.3.- col terzo motivo – “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto: art. 384 c.p.c., D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, n. 2 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – Illogicità e contraddittorietà della motivazione: art. 360 c.p.c., n. 5” -, per avere, senza alcun esame nel merito e con illogica interpretazione del principio stabilito nella sentenza di cassazione, disatteso l’eccezione d’inapplicabilità della sanzione, sia per intervenuta preclusione del potere sanzionatorio, per effetto del condono ottenuto dalla committente, sia per l’estrema incertezza della fattispecie e per le connesse difficoltà interpretative, che rendevano non punibile l’autore della violazione; così esimendosi dal compito sia di “vagliare i presupposti di effettiva esperibilità del delineato meccanismo sanzionatorio, sia di verificare, in particolare, la sussistenza delle condizioni esimenti”.

3.- Decisione.

3.1.- I motivi d’impugnazione sono infondati, per le ragioni di seguito espresse, sicchè il ricorso deve essere rigettato. Le spese di questo giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

4.- Motivi della decisione.

4.1.- Secondo la ricorrente (ricorso, pag. 3), la pretesa avanzata dall’ufficio IVA di Cagliari “traeva origine dal convincimento che gli impianti realizzati per conto dell’Azienda Speciale Fiera non potessero rientrare fra le opere di urbanizzazione primaria, comprese nell’elenco di cui alla L. 29 settembre 1964, n. 847, art. 4, integrata dalla L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 44; donde l’opinata inapplicabilità del beneficio della riduzione dell’aliquota al 2%”.

Tanto è confermato dalla sentenza di questa suprema corte (n. 15394/2001), da cui dipende il giudizio di rinvio, nella quale si legge che, secondo l’ufficio, le opere in questione non rientravano nella suddetta previsione di legge nè “in qualche altra ipotesi per cui è prevista l’applicazione dell’aliquota ridotta al 2%”.

4.2.- Una volta accertata, con efficacia di giudicato, l’insussistenza del debito d’imposta (v. par. 1.4), il rinvio fu ordinato al solo scopo di accertare l’an ed il quantum della sanzione, entro questi precisi termini: “se i lavori di che trattasi sono riconducibili alle ipotesi di cui alla L. n. 847 del 1964, art. 4, comma 2, lett. g) e se quindi per gli stessi era applicabile o meno l’aliquota ridotta del 2%”.

4.3.- La L. n. 847 del 1964, art. 4 aveva, in origine, un solo comma;

la L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 41, modificò la L. n. 847 del 1964, art. 1, ed aggiunse (art. 44) un secondo comma all’art. 4 citato; sicchè, in definitiva, la norma in questione, richiamata espressamente dalla sentenza n. 15394/2001 di questa suprema corte, cui doveva uniformarsi il giudice del rinvio, si legge come segue:

“Le opere di cui all’art. 1, lett. c), sono le seguenti: … g) centri sociali e attrezzature culturali e sanitarie”.

4.3.1.- La commissione regionale ha escluso, con giudizio di fatto, che le opere realizzate dalla ricorrente rientrassero nella categoria dei centri sociali e delle attrezzature culturali e sanitarie. Da questo giudizio ha fatto dipendere quello conseguente, di legittimità della sanzione irrogata.

4.4.- Deriva da queste premesse l’infondatezza del primo motivo (par.

2.1.1), giacchè il giudice del rinvio ha assolto il suo compito senza discostarsi dal principio di diritto fissato (v. par. 4.2) ed ha motivato il suo convincimento con ampia ed esauriente motivazione, rilevando che la committente dei lavori “esercita l’attività di gestione di fiere ed esposizioni a carattere commerciale”, attività che nulla ha in comune con quelle dei centri sociali o di carattere culturale e sanitario; e che, d’altra parte, la contribuente non aveva dimostrato il contrario, pur avendone l’onere (nell’atto d’invocare l’applicabilità di una norma agevolatrice).

4.5.- Il secondo motivo (par. 2.1.2) è assorbito dalle precedenti considerazioni, dal momento che il giudice del rinvio si è attenuto alla lettera della norma specificamente indicata nella sentenza di cassazione (v. par. 4.2), senza alcuna possibilità, preclusa dal giudicato, d’interpretarla in senso estensivo, come prospettato dalla ricorrente.

4.6.- Col terzo mezzo (par. 2.1.3) la ricorrente lamenta il mancato accoglimento di due eccezioni, concernenti la pretesa inapplicabilità della sanzione: per preclusione del potere sanzionatorio (dopo che la committente aveva beneficiato del condono) e per assoluta incertezza della fattispecie, determinante la non punibilità dell’autore della violazione.

4.6.1.- La commissione regionale ha motivato il rigetto di entrambe le eccezioni rilevando l’avvenuta formazione del giudicato sul punto, atteso “che la Cassazione si è già pronunciata, nel senso che dal mancato inquadramento delle opere nella ipotesi considerata deriverà che a carico della società dovranno essere applicate le sanzioni che saranno determinate alla luce dello ius superveniens di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997 e D.Lgs. n. 471 del 1997”.

4.6.2.- Ritiene invece la ricorrente che, “Essendo stato demandato alla Commissione Tributaria Regionale della Sardegna il compito di curare il relativo incombente – e non potendosi non applicare, insieme alle altre disposizioni, anche il D.Lgs. n. 472 del 1997, citato art. 6, n. 2 – non poteva la commissione esimersi, sia dal vagliare i presupposti di effettiva esperibilità del delineato meccanismo sanzionatorio, sia di verificare, in particolare, la sussistenza delle condizioni esimenti”.

4.6.3.- Si osserva, quanto alla prima eccezione (asserita preclusione del potere sanzionatorio), che effettivamente la commissione regionale era priva della potestas judicandi, poichè la relativa indagine avrebbe esorbitato dai limiti del rinvio (an debeatur della sanzione con esclusivo riferimento alla possibilità di catalogare le opere fra quelle previste dalla norma indicata) ed avrebbe interessato una questione coperta dal giudicato. Pertanto, sotto questo primo aspetto, la doglianza è infondata.

4.6.4.- Essa è infondata, tuttavia, anche con riguardo alla seconda eccezione, che pur doveva ritenersi proponibile al giudice del rinvio, investito del potere di esaminare l’applicabilità della sanzione “alla luce dello ius superveniens”, comprendente la norma (D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 2) di cui la ricorrente lamenta la violazione.

4.6.5.- La pronunzia di rigetto di tale eccezione – conforme al diritto, per la ragione di seguito espressa – non è giustificabile, come premesso, da una inesistente preclusione dovuta al giudicato, sicchè la motivazione deve essere corretta ai sensi dell’art. 384 c.p.c..

Si deve infatti considerare che le “obiettive condizioni d’incertezza”, cui si riferisce la norma citata, possono costituire presupposto di non punibilità dell’autore della violazione allorchè riguardino – per quanto ora interessa – la portata e l’ambito di applicazione delle disposizioni normative.

Nel caso in esame, invece, la difficoltà di pervenire ad una più sollecita definizione della controversia, che ha interessato diversi organi giudicanti, non dipende dalla equivocità della disciplina normativa applicabile (Cass. nn. 24670/2007, 22890/2006, 14476/2003), cioè dalla portata – che invece è ben chiara – delle norme agevolatrici, bensì dalla questione, di mero fatto, rappresentata dalla possibilità, o impossibilità, d’inquadrare i lavori eseguiti in una categoria di opere ammesse all’agevolazione e, da ultimo, nella categoria contemplata dalla norma citata nella pronunzia di rinvio.

Pertanto, non sussiste alcuna violazione del citato art. 6, comma 2;

nè rileva il vizio di motivazione allorchè, essendo il dispositivo conforme al diritto, sopperisca ad essa il giudice di legittimità (S.U. n. 28054/2008).

4.7.- Si conclude nel senso indicato al par. 3.1.

5.- Dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 2.200,00 (duemiladuecento), di cui Euro 2.000,00 (duemila) per onorari; oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile – Tributaria, il 26 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2010

 

 

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