Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4304 del 23/02/2010

Cassazione civile sez. trib., 23/02/2010, (ud. 26/01/2010, dep. 23/02/2010), n.4304

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio – rel. Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. DI DOMENICO Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso n. 20684/05 R.G. proposto da:

Ministero dell’economia e delle finanze, in persona del Ministro

p.t., e Agenzia delle entrate, in persona del Direttore p.t.,

domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che li rappresenta e difende secondo la legge;

– ricorrenti –

contro

P.D., elettivamente domiciliato in Roma, via G.

Donizetti, n. 7, presso l’Avvocato Frisina Pasquale, che lo

rappresenta e difende per procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 23/15/03 della Commissione tributaria

regionale del Lazio, depositata il 15.4.2003.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

giorno 26 gennaio 2010 dal relatore Cons. Dott. Giuseppe Vito Antonio

Magno;

Uditi, per i ricorrenti, l’Avvocato dello Stato Sergio Fiorentino;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. De

Nunzio Wladimiro, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

1.- Dati del processo.

1.1.- Il ministero dell’economia e delle finanze e l’agenzia delle entrate ricorrono, con unico motivo, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, che dichiara inammissibile, per mancanza di chiarezza e specificità dei motivi, l’appello dell’ufficio avverso la sentenza n. 405/01/2001 della commissione tributaria provinciale di Roma; la quale aveva accolto il ricorso presentato dal contribuente signor P.D. contro l’avviso di accertamento e rettifica della dichiarazione IRPEF 1993 – con cui era recuperata ad imposta la somma complessiva di L. 2.082.302.000, proveniente da pretese prestazioni illecite (“tangenti”) -, proventi ritenuti, dai primi giudicanti, in parte sottoposti a sequestro penale e, in parte, non derivanti da attività illecite.

1.2.-. Il nominato contribuente resiste mediante controricorso.

2.- Questioni pregiudiziali.

2.1.- Il ricorso, notificato il 15.7.2005, oltre il termine “naturale” di un anno più 46 giorni (D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62, comma 2; art. 327 c.p.c., comma 1; e L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 1) scaduto il giorno 31.5.2004, essendo stata pubblicata la sentenza della commissione regionale, non notificata, il 15.4.2003 – è ammissibile, ai sensi della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16, comma 6, 2^ per., trattandosi di lite fiscale concernente IRPEF, teoricamente definibile in virtù di condono, concesso dalla norma citata in uno con la sospensione e proroga dei termini per la proposizione, fra l’altro, di ricorsi e controricorsi, dal 1.1.2003, data di entrata in vigore di detta legge, fino al 1.6.2004; ragion per cui risulta rispettato il termine prorogato d’impugnazione, che sarebbe spirato il 18.7.2005 (cfr. Cass. n. 22891/2005).

2.2.- Il ricorso proposto dal ministero dell’economia e delle finanze ed il controricorso proposto contro quest’ultimo sono, per altra ragione, inammissibili, poichè tale amministrazione – cui è succeduta l’agenzia delle entrate a far data dal 1.1.2001 – non fu parte nel giudizio d’appello, introdotto con atto depositato il 23.7.2002, avendo partecipato a tale giudizio solo l’ufficio Roma 1 di detta agenzia, unica legittimata pertanto in questo giudizio di cassazione (Cass. n. 9004/2007).

2.2.1.- Le spese inerenti debbono essere interamente compensate fra le parti per giusti motivi, in considerazione del fatto che la questione relativa alla legittimazione esclusiva dell’agenzia, in simile ipotesi, è stata definitivamente risolta con giurisprudenza, come quella da ultimo citata, posteriore all’introduzione del ricorso di cui si discute.

3.- Contenuto della sentenza impugnata e motivo del ricorso.

3.1.- La commissione regionale respinge, innanzitutto, “l’eccezione dell’Appellante riguardo all’insufficiente motivazione della sentenza impugnata”; quindi, passando “al merito dell’appello”, rileva, nell’ordine:

3.1.1.- la carenza d’interesse dell’ufficio ad impugnare una statuizione ad esso favorevole (riconosciuta valenza retroattiva della L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14, comma 4, che comprende espressamente fra le categorie di reddito soggette ad imposta i proventi derivanti da attività illecita, se non già sottoposti a sequestro o confisca penale);

3.1.2.- i mancato impegno difensivo per la “ricostruzione di possibili fatti previsti come impeditivi”, costituiti dall’intervenuto sequestro penale “dei conti bancari sottoposti a tassazione”;

3.1.3.- l’incongruenza del “riferimento al sequestro disposto dalla Corte dei Conti a garanzia del credito vantato dall’Erario”;

3.1.4.- la tardività (perchè esposto solo nel corso dell’udienza di trattazione), e dunque l’inammissibilità, dell’unico “motivo di gravame possibile”, consistente nel rilievo che il contribuente avrebbe successivamente recuperato la disponibilità di alcuni conti, peraltro riferibili a redditi da lavoro, e intestati anche ad altre persone, o provenienti da attività lecite.

3.2.- Conclude nel senso che, non essendo stato osservato l’onere di chiarezza e specificità dei motivi d’impugnazione, l’appello sarebbe inammissibile.

3.3.- Con l’unico motivo di ricorso l’agenzia delle entrate censura la sentenza d’appello, e ne chiede la cassazione con ogni statuizione consequenziale, deducendo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53.

Sostiene che, in realtà, la commissione regionale si sarebbe sottratta all’obbligo di esaminare nel merito i motivi dell’impugnazione, assolutamente conformi al dettato della norma citata poichè l’atto d’appello poneva in evidenza gli errori della pronunzia di primo grado e le concrete ragioni per cui se ne chiedeva la riforma, definendo l’ambito del riesame attraverso l’esposizione di “argomenti volti a contestare e contrastare l’iter logico- giuridico seguito in prime cure”, anche con riguardo alle vicende del sequestro; con le precisazioni ed i chiarimenti resi necessari dai mutamenti (dissequestro) intervenuti dopo l’inizio del giudizio d’appello.

4.- Decisione.

4.1.- Il ricorso dell’agenzia delle entrate è fondato e deve essere accolto. Previa cassazione della sentenza impugnata, la causa deve essere rinviata ad altra sezione della commissione tributaria regionale del Lazio, che rinnoverà il giudizio uniformandosi al principio di diritto esposto al par. 5.3.3, e provvedere anche sulle spese di questo giudizio di cassazione.

5.- Motivi della decisione.

5.1.- La sentenza impugnata è erronea, per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, puntualmente e correttamente segnalata dall’agenzia ricorrente.

5.2.- Come si evince dalla stessa sentenza – ragion per cui non ricorre, nel caso, un’ipotesi di non autosufficienza del motivo di ricorso – l’ufficio aveva censurato la decisione dei primi giudicanti, e ne aveva chiesto la riforma:

5.2.1.- “lamentando in primo luogo la carenza di motivazione, data l’assoluta genericità della stessa, e l’impossibilità quindi di ricostruire l’iter logico-giuridico seguito da giudice per arrivare a formulare le conclusioni contestate”;

5.2.2.- argomentando “poi, in particolare, sul tema della tassabilità dei proventi illeciti”, anche in epoca precedente all’entrata in vigore della norma (L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4) che espressamente li include fra i redditi imponibili;

5.2.3.- quindi sottolineando “come la sussistenza dei sequestro ordinato dalla Corte dei conti non costituirebbe un impedimento alla tassabilità”;

5.2.4.- deducendo, infine, che “spettava al contribuente l’onere di affermare l’avvenuta apprensione delle somme, nonchè la qualificazione del sequestro o della confisca penale come fatti impeditivi o estintivi della pretesa tributaria, mentre per quanto attiene alla prova degli stessi, l’iniziativa della parte può essere sostituita o integrata da quella del giudice”.

5.3.- Risulta quindi evidente che l’atto d’appello, come riferito dallo stesso giudicante a quo, si articolava in una serie di specifici e pertinenti motivi, con cui erano criticate le contrarie argomentazioni ed affermazioni della sentenza di primo grado;

comprese quelle apparentemente favorevoli alle tesi erariali (come la riconosciuta portata retroattiva della norma indicata al par. 5.2.2), per intuibili ragioni di tuziorismo difensivo, contro la precarietà di un assunto non sufficientemente o non esattamente motivato.

5.3.1.- In ogni caso, il giudizio d’infondatezza o d’inammissibilità di uno o più motivi del gravame ne conferma la sussistenza e la specificità; così il rigetto del motivo (impropriamente definito “eccezione”) d’insufficiente motivazione della sentenza di primo grado, corrisponde ad un chiaro riconoscimento dell’avvenuta formulazione di tale motivo. A identica conclusione conduce la ritenuta inammissibilità, per difetto d’interesse, del motivo attinente alla retroattività della norma fiscale specifica.

5.3.2.- Il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, in tema di specificità dei motivi, risulta quindi falsamente applicato, in quanto la sentenza di cui si discute interpreta la norma in senso impropriamente formalistico, facendo dipendere la presunta mancanza di “chiarezza e specificità” dei motivi di gravame, pertinenti ad altrettante critiche della decisione impugnata – come sono indubbiamente quelli elencati sopra, al par. 5.2 – da fattori, che il giudicante a quo non spiega, estranei al dettato normativo.

5.3.3.- Al contrario, per consolidata giurisprudenza di questa suprema corte, pienamente condivisa dal collegio, nel processo tributario l’indicazione dei motivi specifici dell’impugnazione, richiesta dal citato art. 53, non deve necessariamente consistere in una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell’appello; richiedendosi, invece, soltanto un’esposizione chiara ed univoca, anche se sommaria, sia della domanda rivolta al giudice del gravame sia delle ragioni della doglianza. E’ pertanto irrilevante che i motivi siano enunciati nella parte espositiva dell’atto ovvero separatamente, atteso che, non essendo imposti dalla norma rigidi formalismi, gli elementi idonei a rendere “specifici” i motivi d’appello possono essere ricavati, anche per implicito, purchè in maniera univoca, dall’intero atto d’impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusioni (Cass. n. 1224/2007; non diversamente, Cass. nn. 1403 1/2006, 6473/2002).

6.- Dispositivo.

PQM

LA CORTE DI CASSAZIONE Dichiara inammissibile il ricorso proposto dal ministero dell’economia e delle finanze, e compensa integralmente fra le parti le relative spese. Accoglie il ricorso proposto dall’agenzia delle entrate, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di questo giudizio di cassazione, ad altra sezione della commissione tributaria regionale del Lazio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile – tributaria, il 26 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2010

 

 

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