Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4302 del 23/02/2010

Cassazione civile sez. trib., 23/02/2010, (ud. 21/01/2010, dep. 23/02/2010), n.4302

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAPA Enrico – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. PERSICO Maria Ida – Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

I.A.C.P. Istituto Autonomo Case Popolari della provincia di

(OMISSIS),

in persona del legale rappresentante dott. R.R.,

rappresentato e difeso per procura a margine del ricorso dagli

Avvocati Vito A. Martielli e De Zordo Agostino, elettivamente

domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma, viale lupini n.

133.

– ricorrente –

contro

Comune di Polignano a Mare, in persona del sindaco pro tempore,

rappresentato e difeso per procura in calce al controricorso

dall’Avvocato Venturelli Nuri, elettivamente domiciliato presso il

suo studio in Roma, p.zza Apollodoro n. 26.

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 81/15/05 della Commissione tributaria

regionale della Puglia, depositata il 17.6.2005;

udita la relazione della causa svolta nell’adunanza in camera di

consiglio del 21.1.2010 dal consigliere relatore Dott. Mario

Bertuzzi;

Viste le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. Martone Antonio, che ha chiesto il rigetto del

ricorso.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con atto notificato a mezzo posta il 15.11.2005, l’Istituto Autonomo Case Popolari della provincia di Bari ricorre, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenze in epigrafe indicata, notificata il 5.8.2005, che, per quanto qui interessa, aveva confermato la pronuncia di primo grado di rigetto del suo ricorso per l’annullamento dell’avviso di accertamento con il quale il comune di Polignano a Mare gli aveva intimato il pagamento dell’ici per gli anni 1998 e 1999, ritenendo che l’istituto ricorrente non godesse dell’esenzione prevista dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7.

Il comune intimato si è costituito con controricorso.

Attivata procedura ex art. 375 cod. proc. civ., il Procuratore Generale ha chiesto che la causa sia trattata in camera di consiglio e che il ricorso sia respinto perchè manifestamente infondato.

L’Istituto ricorrente ha depositato memoria, in cui chiede, in caso di rigetto del ricorso, la riduzione dell’imposta ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 8, comma 4.

il primo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, lett. i), ed errore e vizio logico di motivazione, censurando la sentenza impugnata per non avere ritenuto sussistente, nonostante la natura e le finalità dell’Istituto, i presupposti oggettivi dell’esenzione prevista dalla disposizione citata, vale a dire l’utilizzo diretto degli immobili ai fini della locazione e la destinazione degli immobili ad attività assistenziali nel settore della casa. Aggiunge inoltre il ricorso (pag. 20) che l’interpretazione normativa fatta propria dal giudice a qua, se fosse corretta, si porrebbe comunque in contrasto con i principi costituzionali di cui agli artt. 2 e 3 Cost., chiedendo la rimessione degli atti alla Corte Costituzionale.

Il motivo è infondato.

Costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui ” in tema d’imposta comunale sugli immobili (ICI), l’esenzione riconosciuta dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 1, comma 1, lett. i), per gli immobili utilizzati dai soggetti di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 87, comma 1, lett. c), (enti pubblici e privati, diversi dalle società, residenti ne territorio dello Stato e non aventi per oggetto esclusivo o principale l’esercizio d’attività commerciali), purchè destinati esclusivamente – fra l’altro – allo “svolgimento d’attività assistenziali”, non spetta agli Istituti autonomi per le case popolari, relativamente agli immobili di edilizia residenziale pubblica. Da un lato, infatti, il carattere “patrimoniale” dell’imposta medesima (Corte Cost. nn. 113/1996 e 119/1999) – dovuta in misura predeterminata in relazione a fabbricati e terreni posseduti, senza alcun riferimento ad indici di produttività – esclude che l’esenzione di un’intera categoria d’immobili (quale quella in esame) possa arguirsi dalla loro pretesa destinazione “esclusiva” allo svolgimento ai attività assistenziale; dall’altro, il beneficio dell’esonero non consegue al solo fatto che l’immobile sia destinato esclusivamente ad attività assistenziale, essendo anche necessaria l’utilizzazione diretta di esso, a tal fine, da parte dell’ente possessore” (Cass. n. 8054 e n. 10827 del 2005; Cass. n. 18549 del 2003).

In proposito, le Sezioni unite di questa Corte hanno altresì affermato che “in tema di ICI, non spetta agli immobili degli IACP l’esenzione prevista dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i), che esige la duplice condizione -insussistente per questa categoria di beni – dell’utilizzazione diretta degli immobili da parte dell’ente possessore e dell’esclusiva loro destinazione ad attività peculiari che non siano produttive di reddito. Gli immobili medesimi possono, invece, beneficiare della riduzione di imposta, prevista dall’art. 8, comma 4, medesimo decreto. Per effetto, poi, della disposizione di cui al D.L. n. 93 del 2008, art. 1, comma 3, convertito con modificazioni nella L. n. 126 del 2008, gli immobili degli enti citati, per i tributi maturati a partire dal 1 gennaio 2008, potranno godere della totale esenzione dall’imposta comunale in esame” (Cass. 26 novembre 2008, n. 28160).

Nè l’interpretazione accolta si pone in contrasto con i valori costituzionali indicati dal ricorso, essendo sufficiente sul punto rilevare che la relativa questione è stata già decisa, nel senso del rigetto, dal giudice delle leggi, con l’ordinanza n. 113 del 1996, la quale ha affermato che la delineazione di un regime di esenzioni per l’imposta in questione, che, essendo conformata quale imposta patrimoniale, non si basa su indici di produttività, compete alla discrezionalità politica del legislatore, sindacabile dalla Corte soltanto nei limiti della manifesta irragionevolezza della disciplina censurata.

Con il secondo motivo di ricorso, denunziando “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57” l’istituto ricorrente censura la decisione impugnata per avere dichiarato inammissibile, perchè nuove, il motivo di appello che lamentava il difetto di motivazione dell’avviso impugnato, sostenendo che tale contestazione era già stata sollevata con il ricorso di primo grado e che essa aveva ricevuto, nell’atto di impugnazione, una mera modifica argomentativa, come tale non rientrante nel divieto di proposizione di domande nuove.

Il motivo, per come formulato, è chiaramente inammissibile. Questa conclusione si impone dal momento che il ricorso non riproduce, in omaggio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, la domanda che assume avere già proposto in primo grado nè quella poi avanzata in appello, ponendo così il Collegio nella impossibilità di valutare, attraverso il loro confronto, se quest’ultima era effettivamente nuova, come ritenuto dalla Commissione regionale, ovvero una mera articolazione argomentativa della prima e quindi, in definitiva, la decisività e fondatezza del motivo. Costituisce orientamento costante di questa Corte, infatti, il principio che il ricorso per cassazione – per il principio di autosufficienza – deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito (Cass. n. 15952 del 1997; Cass. n. 14767 del 2007; Cass. n. 12362 del 2006).

In conclusione, il ricorso va pertanto respinto.

Va invece dichiara inammissibile l’istanza di riduzione dell’ammontare dell’imposta, ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 8, comma 4, avanzata dall’Istituto nella memoria ex art. 378 cod. proc. civ., trattandosi di istanza nuova, proposta per la prima volta in fase di legittimità.

La natura delle questioni trattate induce a compensare le spese di lite.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese di giudizio.

Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2010

 

 

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