Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4302 del 10/02/2022

Cassazione civile sez. VI, 10/02/2022, (ud. 12/01/2022, dep. 10/02/2022), n.4302

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17980-2020 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

V.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 7321/5/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della. SICILIA SEZIONE DISTACCATA di CATANIA, depositata

il 12/12/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 12/01/2022 dal Consigliere Relatore Dott. MAURA

CAPRIOLI

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Considerato che:

Con sentenza n. 7321/2019 la CTR della Sicilia, sez. distaccata di Catania, accoglieva parzialmente l’impugnazione promossa da V.A. avverso la decisione della CTP di Catania che aveva respinto il ricorso della contribuente relativamente ad un avviso di accertamento con cui l’Ufficio aveva rettificato in via sintetica un maggior reddito avvalendosi dell’Istituto del redditometro basandosi sia sul possesso di alcuni beni indice sia sugli oneri sostenuti per incrementi patrimoniali nei 4 anni successivi.

Il giudice di appello pur ritenendo condivisibile quanto già constatato in prime cure sulla legittimità dell’atto impositivo e sulle motivazioni che hanno condotto alla determinazione del maggior imponibile accertato, ha tuttavia rilevato una “situazione non chiara” e un iter accertativo troppo rigido che aveva portato ad una determinazione del maggior imponibile ritenuto eccessivo.

La CTR considerava necessario pertanto procedere alla rideterminazione del reddito in modo più rispondente alla realtà in ragione del 50%.

Osservava a giustificazione di tale determinazione che la ricorrente risultava titolare solo di reddito da lavoro autonomo (attività professionale di dentista) in merito al quale l’Ufficio non aveva espresso alcuna valutazione in ordine alla sua congruità né sull’esistenza di altre attività reddituali pur rilevando che erano emerse manifestazioni di capacità contributiva incompatibili con la posizione reddituale senza individuare altre fonti reddituali non dichiarate né movimentazioni finanziarie non giustificate basando tutto sull’esborso delle rate dei mutui.

Sottolineava inoltre che alcuni elementi relativi alla capacità retributiva conteggiati dall’Ufficio si riferivano al coniuge nei confronti del quale alcun accertamento era stato svolto e che la maggior parte del reddito rilevato derivava dal coefficiente 4 conteggiato in ordine alle rate del mutuo che risultavano pagate.

Avverso tale decisione l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi cui non resiste la contribuente che resta intimata.

Con il primo motivo si deduce della violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4, 5 e 6, e dell’art. 2697 c.c., del D.M. 10 settembre 1992, e D.M. 19 novembre 1992, (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver ritenuto la CTR di privare i beni indici del valore induttivo ad essi stabiliti legalmente pur in mancanza dell’assolvimento dell’onere probatorio.

Con un secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli art. 132 e 112 c.p.c., e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere il Giudice di appello omesso di spiegare neppure in modo sintetico quali sarebbero le eventuali disponibilità economiche che avrebbero giustificato il maggior reddito accertato sia in ordine al raffronto tra l’entità di tali disponibilità ed il reddito sinteticamente accertabile sia in ordine alla prova del verosimile utilizzo di tali eventuali disponibilità per il mantenimento dei beni indici.

Va preliminarmente rilevato che il ricorso ha beneficiato della sospensione dei termini processuali nel periodo dal 9 marzo al 11 maggio 2020 previsti a causa dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 dal D.L. n. 18 del 2020, art. 83, e dal D.L. n. 23 del 2020, art. 36.

La notifica del ricorso per cassazione effettuata in data 26.6.2020, come emerge dalla relata allegata al ricorso, è stata eseguita nei termini previsti dall’art. 327 c.p.c., tenuto conto che la sentenza impugnata è stata depositata in data 12.12.2019 e della sospensione dei termini processuali previsti dalla normativa sopra indicata.

Ciò posto va esaminato prioritariamente il secondo motivo poiché riguarda un vizio dell’intera sentenza, va esaminato, secondo l’ordine logico delle questioni di cui all’art. 276 c.p.c., comma 2, prioritariamente.

Esso è infondato non essendo ravvisabile, in relazione alle statuizioni contenute nella decisione impugnata, alcuna anomalia motivazionale destinata ad acquistare significato e rilevanza alla stregua delle pronunce a Sezioni Unite di questa Corte n. 8053 del 2014 e n. 22232 del 2016.

Considerato, infatti, che ricorre il vizio di motivazione meramente apparente allorquando il giudice omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione e di specificare ed illustrare le ragioni che sorreggono il decisum e l’iter logico seguito per pervenire alla pronuncia assunta, onde consentire di verificare se abbia giudicato iuxta alligata et probata, non può non rilevarsi che il giudice di appello ha compiutamente esplicitato il proprio iter argomentativo, esaminando in modo esaustivo i fatti oggetto di discussione e chiarendo le ragioni del suo convincimento.

Nella specie, anche in base alla stessa prospettazione del mezzo, non si può ritenere che la sentenza impugnata sia carente o incoerente sul piano della logica giuridica, né tanto meno che sia stata costruita in modo tale da rendere impossibile un controllo sulla esattezza del ragionamento decisorio e, quindi, tale da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, (Cass., sez. 1, 30/06/2020, n. 13248).

La CTR ha ritenuto di dover procedere alla rideterminazione del reddito evidenziando alcune carenza nell’attività accertativa che ha specificamente indicato.

Così ad esempio ha ritenuto che l’Ufficio non avesse svolto alcuna verifica circa la congruità del reddito da lavoro autonomo della contribuente e sulla sua congruità e sulla sussistenza di altre attività reddituali ed evidenziando che il conteggio di elementi di capacità contributiva erano riferibili al coniuge.

Che vi sia stata una motivazione, per quanto stringata (ed errata per i motivi di cui appresso), e che tale motivazione sia idonea a rappresentare la “ratio decidendi”, sia da un punto di vista formale che sostanziale, lo dimostrano, peraltro, le censure svolte dalla ricorrente col primo mezzo.

Il primo motivo è fondato.

Occorre premettere che la giurisprudenza di questa Corte, con orientamento costante e che qui si condivide e si fa proprio, ha chiarito che la disciplina del “redditometro” introduce una presunzione legale relativa imponendo la stessa legge di ritenere conseguente al fatto (certo) della disponibilità di alcuni beni “l’esistenza di una “capacità contributiva”, sicché il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici “elementi indicatori di capacità contributiva” esposti dall’Ufficio, non ha il potere di privarli del valore presuntivo connesso dal legislatore alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile perché già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso di tali beni” (cfr. Cass., 01/09/2016, n. 17487; Cass., 21/10/2015, n. 21335; Cass., 20/01/2016, n. 930). In tal senso è stato soggiunto che, benché l’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, resta individuata nei decreti, sicché l’Amministrazione è esonerata da qualunque ulteriore prova rispetto ad essi, ciò non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta e, più in generale, che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (cfr. Cass., 19/10/2016, n. 21142; n. 16912 del 2016).

Sono stati chiariti, altresì, i confini della prova contraria offerta dal contribuente per opporsi alla ricostruzione presuntiva del reddito operata dall’Amministrazione finanziaria, precisando che la prova documentale contraria ammessa per il contribuente non riguarda la sola disponibilità di redditi esenti o di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ma anche l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso, che costituiscono circostanze sintomatiche del fatto che la spesa contestata sia stata sostenuta proprio con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta (Cass.,2021 n. 20599; 26/11/2014, n. 25104; Cass., 20/03/2009, n. 6813).

Il Giudice di appello ha fatto mal governo dei principi che regolano l’accertamento sintetico, in punto di verifica del reddito presunto – rispetto alla capacità contributiva del contribuente – in rapporto a quello dichiarato – ed in punto di applicazione delle regole di riparto dell’onere probatorio per la prova cd. inferenziale procedendo con valutazione sostanzialmente equitative e privando i parametri del redditometro del valore di presunzione legale.

La pronuncia va pertanto cassata alla CTR della Sicilia in diversa composizione, perché proceda ad un nuovo esame della controversia alla luce dei principi innanzi esposti.

Alla stregua delle considerazioni sopra esposte la sentenza va cassata in accoglimento del primo motivo e rinviata alla CTR della Sicilia, in diversa composizione per un nuovo esame e per la liquidazione delle spese di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo, rigetta il secondo; cassa la decisione impugnata e rinvia rinviata alla CTR della Sicilia, in diversa composizione, per la liquidazione delle spese di legittimità.

Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2022

 

 

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