Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4300 del 10/02/2022

Cassazione civile sez. VI, 10/02/2022, (ud. 12/01/2022, dep. 10/02/2022), n.4300

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE X

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4952-2020 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

MALO SPA IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DEI PREFETTI 17, presso lo studio dell’avvocato DUCCIO CASCIANI,

rappresentata e difesa dagli avvocati ANTONIO STRIZZI, ALESSANDRO

FUSILLO;

– controricorrente –

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 448/1/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE del MOUSE, depositata il 10/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 12/01/2022 dal Consigliere Relatore Dott. MAURA

CAPRIOLI.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Considerato che:

Con sentenza n. 448/2019 la CTR del Molise accoglieva parzialmente l’appello incidentale della società Malo s.r.l., in amministrazione straordinaria (decreto del 26.2.2009), avverso la decisione della CTP di Isernia con cui era stato parzialmente accolto il ricorso avverso la cartella di pagamento relativa al recupero dell’Iva nel periodo 1.1.2009/12.2.2009 dal quale era emerso un debito pari ad Euro 35.522,00.

Il giudice di appello per gli aspetti che qui rilevano riteneva che l’apertura della procedura di amministrazione doveva considerarsi ostativa all’applicazione della sanzione.

Osservava poi che l’emissione della cartella di pagamento doveva ritenersi illegittima non potendosi ai sensi del D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 48, agire esecutivamente nei confronti di una società ammessa all’amministrazione straordinaria essendo sufficiente l’iscrizione a ruolo per l’ammissione al passivo. Avverso tale pronuncia l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo cui resiste la società Malo, in amministrazione straordinaria con controricorso illustrato da memoria, e l’Agenzia della riscossione, quale successore di Equitalia servizi riscossione s.p.a. che, a sua volta, propone ricorso incidentale.

L’Agenzia delle Entrate con un unico motivo si duole della violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 17, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis e dell’art. 60, del D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 48, del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR ritenuto che l’applicazione della procedura concorsuale fosse ostativa all’applicazione delle sanzioni.

L’Agenzia della Riscossione, quale successore di Equitalia servizi di riscossione s.p.a. denuncia a sua volta in via incidentale la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 48, in combinato disposto con il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, e del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 19, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver ritenuto la CTR illegittima l’emissione della cartella di pagamento, quale atto esecutivo nei confronti di una società ammessa ad amministrazione straordinaria.

In primo luogo deve essere esaminata l’eccezione di tardività del ricorso principale sollevata dalla controricorrente e della conseguente inammissibilità del ricorso proposto in via incidentale.

Sostiene la società Malo s.p.a. in amministrazione straordinaria che la sentenza impugnata è stata depositata in data 10 luglio 2019 e che il ricorso notificato in data 12.2.2020 ben oltre i termini di 6 mesi previsti dall’art. 327 c.p.c., e a quelli di sospensione feriale dovrebbe ritenersi tardivo essendo il termine per l’impugnazione scaduto il 10.2.2020.

Preliminarmente, è infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per tardività della sua proposizione, sollevata dai controricorrenti con riferimento alla decadenza dell’Amministrazione ricorrente dal termine semestrale di cui all’art. 327 c.p.c..

Infatti, il ricorso è tempestivo rispetto al termine semestrale a far data dalla pubblicazione delle sentenze delle Commissioni tributarie, di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 38, comma 3, e art. 49, ed all’art. 327 c.p.c., comma 1, (applicabile ratione temporis ai sensi della L. n. 69 del 2009, ex art. 46, comma 17, in ragione dell’instaurazione del giudizio di primo grado dopo il 4 luglio 2009), ed alla proroga dello stesso conseguente alle sospensioni di cui si dirà infra.

Il dies ad quem dell’originario termine semestrale, da computare ex nominatione dierum ai sensi dell’art. 155 c.p.c., comma 2, dal deposito della sentenza impugnata (10.7.2019) era quindi il 10. 2.2020.

Tuttavia, a norma del D.L. n. 119 del 2018, art. 6, comma 11, convertito con modifiche dalla L. n. 136 del 2018, “Per le controversie definibili sono sospesi per nove mesi i termini di impugnazione, anche incidentale, delle pronunce giurisdizionali e di riassunzione, nonché per la proposizione del controricorso in Cassazione che scadono tra la data di entrata in vigore del presente decreto e il 31 luglio 2019.”.

Ora poiché, come dà atto la stessa controricorrente, il deposito della sentenza è avvenuto prima del 31 luglio vanno considerati i nove mesi di sospensione e pertanto la notifica avvenuta a mezzo pec il 12 febbraio 2020 deve ritenersi tempestiva essendo intervenuta prima della scadenza dei predetti termini di sospensione.

Il ricorso principale è fondato.

Questa Corte, anche di recente, ha ribadito che in tema di sanzioni amministrative per violazioni tributarie, il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5, stabilisce che non è sufficiente la mera volontarietà del comportamento sanzionato, ma è richiesta la consapevolezza del contribuente al quale deve potersi rimproverare di aver tenuto un comportamento quantomeno negligente. Si è ritenuta comunque sufficiente la coscienza e volontà della condotta senza che occorra la dimostrazione del dolo o della colpa, la quale si presume fintanto che il contribuente non abbia offerto la prova della sua assenza. Si è anche precisato che la colpa deve essere distinta dalla prova della buona fede, la quale rileva come esimente solo se l’agente è incorso in un errore inevitabile, per essere incolpevole l’ignoranza dei presupposti dell’illecito e dunque non superabile con l’uso della normale diligenza (Cass., Sez. 5, n. 24880 del 2020; Sez. 5, n. 2139 del 2020).

E’ stato, inoltre, osservato che l’obbligazione tributaria sorge con il verificarsi del presupposto di fatto al quale è ricollegata l’emersione del tributo e che, ove tale presupposto si verifichi prima dell’apertura della procedura concorsuale del debitore, i crediti tributari devono ritenersi anteriori alla medesima (Cass., Sez. 5, n. 24880 del 2020 cit.; Sez. 5, n. 9440 del 2019). Pertanto, la natura concorsuale dei crediti discende dal fatto che il presupposto si sia verificato in epoca antecedente all’apertura della procedura, mentre è irrilevante che non sia intervenuto alcun accertamento.

Questa Corte ha, altresì, precisato che qualora il contribuente sia stato dichiarato fallito, l’avvenuta irrogazione della sanzione per il mancato pagamento di un debito d’imposta sorto in epoca anteriore alla dichiarazione di fallimento esclude la rilevanza di qualsiasi considerazione attinente all’elemento soggettivo della violazione ed all’impossibilità per il curatore di effettuare pagamenti a favore di singoli creditori in lesione della par condicio creditorum, trovando la sanzione il suo presupposto in una violazione commessa quando l’imprenditore era ancora in bonis, e fermo restando che la soddisfazione del relativo credito deve aver luogo secondo le regole del concorso (n. 21078 del 13/10/2011, Rv. 61968701).

Nel ribadire tale principio, si è anche chiarito che “L’obbligazione nascente dalla sanzione tributaria, sebbene ascrivibile al genus delle obbligazioni di diritto pubblico essendo l’Amministrazione finanziaria controparte contrattuale, sottostà all’applicazione delle norme di diritto civile. Dunque, in quanto la sanzione tributaria costituisce un credito, tale credito sarà sottoposto alla disciplina civilistica sia che si verta nella fase fisiologia del rapporto obbligatorio – e un esplicito richiamo in tal senso è rinvenibile all’art. 2752 c.c., che assegna privilegio generale sui mobili del debitore ai crediti dello Stato per le imposte e le sanzioni – sia che si verta nell’ambito di una procedura concorsuale, dovendo l’amministrazione finanziaria soddisfarsi secondo le regole del concorso, nei modi stabiliti dalla legge” (Cass., Sez. 1, n. 23322 del 2018, Rv. 650761-01).

Pertanto, nel caso in cui l’infrazione cui consegue l’irrogazione della sanzione amministrativa (e sorge il relativo credito in capo all’Amministrazione) sia stata commessa anteriormente all’apertura della procedura di liquidazione coatta amministrativa, tale credito riveste natura concorsuale (Cass. n. 24880 del 2020; n. 9440 del 2019).

Diversamente, il “concorso dei creditori” che con il fallimento, a norma della L. Fall., art. 52, (richiamato per la LCA dalla L. Fall., art. 201), si apre sul patrimonio del fallito non comprende i crediti sorti dopo l’apertura della procedura, ancorché riferiti a precedenti comportamenti del fallito: “per valutare la natura concorsuale o meno di un credito occorre tenere conto dell’elemento genetico dell’obbligazione sul piano sostanziale alla stregua dell’art. 1173 c.c., di tal che deve considerarsi sorto prima della dichiarazione di fallimento il credito derivante da contratto, fatto illecito o altro fatto idoneo a produrre obbligazione, verificatosi anteriormente alla dichiarazione stessa” (Cass., Sez. 1, n. 19533 del 2004, Rv. 57762301; v., altresì, Sez. 1, n. 11883 del 2020, Rv. 657957-01).

Si deve conseguentemente ritenere che, ove il presupposto della irrogazione della sanzione, vale a dire l’infrazione cui essa è collegata, sia, come nella specie, precedente rispetto alla apertura della procedura concorsuale, essa determina un credito dell’Amministrazione per il fatto stesso che si sia verificata la violazione, con la conseguenza che, in costanza della procedura concorsuale, le sanzioni non sono congelate (Cass., Sez. 1, n. 23322 del 27/09/2018). Si è perciò affermato che l’apertura di una procedura concorsuale non osta alla irrogazione della sanzione e degli accessori maturati fino alla sua apertura (Cass., Sez. 5, n. 24880 del 2020 cit.; n. 9440 del 2019).

Diverso è il caso in cui il credito sorga dopo la dichiarazione di fallimento (o il provvedimento che ordina la liquidazione coatta). In tale ipotesi, infatti, il curatore fallimentare (o il commissario liquidatore) non può comunque effettuare il pagamento, dovendo i crediti tributari soggiacere alla regola della par condicio creditorum (Cass., Sez. 1, n. 6646 del 2013, Rv. 625933-01).

Venendo al caso in esame, il debito Iva come si evince dalla parte narrativa della decisione impugnata era relativo al periodo 1.1.2009/12.2.2009 ed era sorto prima dell’ammissione alla procedura straordinaria intervenuta con decreto 26.2.2009 sicché era configurabile una violazione di legge idonea a determinare l’irrogazione della sanzione prevista dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, il quale punisce “chi non esegue in tutto o in parte alle prescritte scadenze” i versamenti dovuti.

La sussistenza di una infrazione sanzionabile, consentiva all’Amministrazione finanziaria di irrogare secondo i principi sopra enunciati la sanzione diversamente da quanto affermato dalla CTR.

Il ricorso incidentale dell’Agenzia della riscossione è fondato nei termini di seguito esposti.

Questa Corte ha di recente evidenziato (Cass. 16 novembre 2020, n. 25897) i punti di contatto tra la procedura di amministrazione straordinaria e quella fallimentare, e l’applicabilità alla prima dei principi di universalità oggettiva e di universalità soggettiva propri della seconda; la concorsualità dell’amministrazione straordinaria è stata valorizzata anche dalla giurisprudenza delle sezioni unite (Cass., sez. un., 6 ottobre 2020, n. 21433).

In particolare, come nel caso del fallimento, anche in quello dell’amministrazione straordinaria è indubitabile il pericolo per la riscossione, in considerazione della condizione d’insolvenza che accomuna le due procedure (Cass. 2021 n. 18425). Inoltre, per effetto dell’iscrizione a ruolo, da cui scaturisce l’emissione della cartella, l’amministrazione finanziaria si pone in condizione di formalizzare la propria domanda di partecipazione al concorso formale, di modo che l’iscrizione a ruolo costituisce, anche ai fini degli accessori dei tributi, un utile strumento per la determinazione dei crediti opponibili alla massa e dei relativi privilegi, ancorché non vi sia attività espropriativa da compiere, al fine di consentire all’amministrazione di partecipare ai riparti e alle successive fasi del procedimento concorsuale.

I crediti concorsuali, pure quelli di natura tributaria, sono difatti sottoposti, anche nel caso dell’amministrazione straordinaria, al rito dell’accertamento del passivo L. Fall., ex art. 92 e ss., (vedi, in motivazione, Cass., sez. un., 21 luglio 2015, 15200): benché la sussistenza e la misura del credito siano accertate altrove, la domanda di ammissione al passivo va in ogni caso presentata ed è pur sempre il giudice fallimentare che deve valutare se il credito è opponibile e se sussistono le ragioni di prelazione.

E ciò perché l’accertamento del passivo riguarda il diritto al concorso, riservato inderogabilmente al giudice della procedura.

L’utilità dello strumento ancor di più risalta quanto all’iscrizione nei ruoli straordinari, che consente, in deroga al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 15, l’iscrizione di imposte, interessi e sanzioni per l’intero importo risultante dall’avviso di accertamento, anche se non definitivo.

Irrilevante e’, invece, la notificazione della cartella di pagamento al curatore (o al commissario giudiziale), o anche al soggetto sottoposto alla procedura, ai fini della domanda di ammissione al passivo, che resta ammissibile anche in mancanza di quella notificazione (Cass., sez. un., 15 marzo 2012, n. 4126, seguita, fra varie, da Cass. 13 giugno 2017, n. 14693, da Cass. 30 gennaio 2019, n. 2732, da Cass. 13 dicembre 2019, n. 32998 e, da ultimo, da Cass. 17 marzo 2021, n. 7441);

Il ricorso incidentale si rivela, allora, fondato, limitatamente all’iscrizione nel ruolo straordinario, da cui è scaturita l’emissione della cartella.

La sentenza va cassata limitatamente ai profili accolti e rinviata alla CTR del Molise, in diversa composizione, per un nuovo esame e per la liquidazione delle spese di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso principale e quello incidentale nei limiti di cui in motivazione, cassa la decisione impugnata e rinvia alla CTR del Molise, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di legittimità.

Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2022

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