Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 430 del 13/01/2010

Cassazione civile sez. lav., 13/01/2010, (ud. 27/11/2009, dep. 13/01/2010), n.430

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAVAGNANI Erminio – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 29643-2008 proposto da:

D.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BRITANNIA

54 SCALA D, INTERNO 5, presso lo studio dell’avvocato LIJOI ANDREA,

che la rappresenta e difende, giusta procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

D.D.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIAN

GIACOMO PORRO 8, presso lo studio dell’avvocato BARENGHI ANDREA, che

la rappresenta e difende, giusta procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6769/2007 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

17/10/07, depositata il 14/12/2007;

udito l’Avvocato Lijoi Andrea, difensore della ricorrente che si

riporta agli scritti;

udito l’Avvocato Barenghi Andrea, difensore della controricorrente

che si riporta agli scritti con condanna alle spese;

è presente il P.G. in persona del Dott. VELARDI MAURIZIO che nulla

osserva rispetto alla relazione scritta.

Fatto

FATTO E DIRITTO

D.D.A. conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Roma la ditta D.A. per l’accertamento del rapporto di lavoro subordinato, la dichiarazione di illegittimità del licenziamento e la condanna al pagamento di differenze retributive.

Espletata l’istruzione, il Tribunale condannava la convenuta al pagamento della somma di Euro 85.823,53 e accessori. La Corte di Appello di Roma, con sentenza n. 127 del 5 marzo 2004, respingeva il gravame della sig.ra D.. Con ricorso del 4.1.2007 la sig.ra D. chiedeva la revocazione della sentenza n. 127/2004 a norma dell’art. 395 c.p.c., n. 1 assumendo che la sentenza era l’effetto del dolo della D.D. in suo danno.

Secondo la ricorrente il dolo sarebbe consistito nell’avere la D. D., nella causa dalla stessa promossa per l’accertamento del rapporto di lavoro subordinato con la D. e la condanna di quest’ultima al pagamento di differenze retributive, pregiudicato l’accertamento della verità omettendo di dedurre fatti decisivi, quali la circostanza che il rapporto di lavoro subordinato sarebbe intercorso non già con la D., bensì con tale S. M.; circostanza questa venuta alla luce in un diverso giudizio pendente tra le stesse parti (avente ad oggetto la dichiarazione di inefficacia di una vendita immobiliare) dalle deposizioni testimoniali rese in questo secondo giudizio dai testi G.A. M. e D.D.F., genitori della D.D. A..

La Corte di Appello, con sentenza depositata il 14 dicembre 2007, rigettava il ricorso per evocazione con la seguente motivazione:

“Costituisce principio pacifico nella giurisprudenza della S.C. quello secondo cui per integrare la fattispecie di dolo processuale revocatorio ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 1, non è sufficiente la sola violazione dell’obbligo di lealtà e probità previsto dall’art. 88 c.p.c., nè in linea di massima, sono di per sè sufficienti il mendacio, le false allegazioni o le reticenze, ma si richiede un’attività intenzionalmente fraudolenta che si concretizzi in artifici e raggiri surrettivamente diretti e oggettivamente idonei a paralizzare la difesa avversaria e ad impedire al giudice l’accertamento della verità (Cass. n. 5329/2005, 1369/2004, 8916/2002); il mendacio e il silenzio su fatti decisivi della causa, in particolare, sono rilevanti al fine di ritenere realizzata la fattispecie delineata dall’art. 395 c.p.c., n. 1, esclusivamente quando gli stessi integrano il comportamento processuale attuativo dell’iniziale disegno fraudolento…. Nella presente controversia la ricorrente addebita a controparte di aver omesso di dedurre un fatto decisivo (la titolarità del rapporto di lavoro) ostacolando la sua attività difensiva e pregiudicando l’accertamento della verità ….

quanto prospettato dalla ricorrente esula dalla fattispecie di dolo processuale revocatorio…..occorre considerare che la sig.ra D., nel costituirsi nel giudizio di prime cure davanti al Tribunale di Roma non contestò affatto di essere la datrice di lavoro della D.D. ed anzi dedusse ampiamente in ordine alla correttezza del suo operato ….. In questo contesto non si vede come possano configurarsi artifici e raggiri o una macchinazione fraudolenta la parte della D.D….”;

Avverso detta sentenza la sig.ra D. ha proposto ricorso per cassazione con un motivo con il quale lamenta illogicità, insufficienza e contraddittorietà della motivazione per non avere il giudice di appello rilevato che la ricorrente si sarebbe difesa diversamente se la D.D. avesse chiarito che il datore di lavoro era S.M. in alternativa alla convenuta D.A..

D.D.A. ha resistito con controricorso.

Il ricorso è manifestamente infondato.

La motivazione della sentenza impugnata si rivela dei tutto congrua e logica, oltre che conforme alla costante giurisprudenza di legittimità in tema di dolo processuale revocatorio, correttamente richiamata dal giudice di appello, poichè le circostanze oggi addotte dalla ricorrente non sono tali da integrare il motivo di revocazione di cui all’art. 395 c.p.c., n. 1.

Di conseguenza il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna della ricorrente al pagamento, in favore della resistente, delle spese di questo giudizio, come liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio, che liquida in Euro. 30,00 per esborsi ed in Euro tremila per onorari, oltre spese generali, Iva e Cpa.

Così deciso in Roma, il 27 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2010

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