Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4298 del 23/02/2010

Cassazione civile sez. trib., 23/02/2010, (ud. 12/01/2010, dep. 23/02/2010), n.4298

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. DI DOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro in

carica, ed Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro

tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato

presso i cui uffici sono domiciliati ope legis in Roma, Via dei

Portoghesi 12;

– ricorrenti

contro

S.r.l. “Cavedoni Trade”, in persona del legale rapp.te pro tempore

elettivamente domiciliata in Roma Piazza dei Carracci 1, presso lo

studio dell’avv. ALESSANDRI Alessandro, che la rappresenta e difende

giusta procura speciale in calce al controricorso unitamente e

disgiuntamele all’avv. Angelo Osnato del foro di Ferrara;

– controricorrente – ric. incidentale –

avverso la sentenza n. 25.01.05, depositata in data 10.3.05, della

Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

12.1.10 da Consigliere Dott. Giovanni Carleo;

Udita la difesa svolta dall’avv. Angelo Osnato per conto del

controricorrente che ha concluso per il rigetto del ricorso con

vittoria di spese.

Udito il P.G. in persona del Dr. Wladimiro De Nunzio che ha concluso

per il rigetto del ricorso principale e di quello incidentale.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con avviso di accertamento notificato il 29.7.1999 il (OMISSIS) Ufficio delle Entrate di Bologna contestava alla S.r.l. “Cavedoni Trade” la mancata contabilizzazione e dichiarazione di ricavi per complessive L. 471.653.0000, l’indebita deduzione di costi per L. 174.659.745 per difetto di competenza, per L. 11.000.000 per difetto di inerenza, e per L. 279.213.349 perchè riferiti ad operazioni inesistenti. Accertava quindi una maggiore Irpeg pari a L. 346.514.000 rispetto alla dichiarazione per L. 22.344.000, una maggiore Ilor per L. 151.717.000 rispetto alla dichiarazione per L. 13.078.000, oltre sanzioni per L. 779.715.000 per l’anno di imposta 1996. L’avviso in questione si fondava sulla base di una verifica generale nei confronti della società, conclusasi con pvc dell’8 marzo 1999. Avverso l’accertamento la S.r.l. “Cavedoni Trade” presentava ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Bologna, la quale lo accoglieva. Proponeva appello l’Agenzia delle Entrate. La Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna rigettava il gravame.

Avverso la detta sentenza hanno quindi proposto ricorso per cassazione articolato in un unico motivo il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate. La contribuente resiste con controricorso e propone a sua volta ricorso incidentale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

In via preliminare, vanno riuniti il ricorso principale e quello incidentale condizionato, in quanto proposti avverso la stessa sentenza.

Sempre, in via preliminare, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, posto che lo stesso deve essere ritenuto privo della necessaria legittimazione ad impugnare la sentenza di secondo grado in quanto il giudizio di appello, al quale non aveva partecipato, è stato introdotto dopo il primo gennaio del 2001 nei confronti della sola Agenzia delle Entrate. A riguardo, è appena il caso di osservare che la data indicata coincide con quella in cui è divenuta operativa l’istituzione dell’Agenzia delle Entrate, con conseguente successione a titolo particolare della stessa nei poteri e nei rapporti giuridici strumentali all’adempimento dell’obbligazione tributaria, per effetto della quale deve ritenersi che la legittimazione “ad causam” e “ad processum” nei procedimenti introdotti successivamente alla predetta data spetti esclusivamente all’Agenzia (Sez. Un. n. 3118/06).

Giova aggiungere, con riferimento ai procedimenti introdotti precedentemente alla detta data come nel caso di specie, che questa Corte ha avuto modo di affermare il principio secondo cui, pronunciata la sentenza di primo grado nei confronti del dante causa, il giudizio di appello da quest’ultimo consapevolmente disertato e celebrato senza che alcuna delle parti reclamasse l’integrazione del contraddittorio, con successiva sentenza nei confronti del solo successore – così come è avvenuto nella vicenda processuale in esame – consente di ritenere integrati i presupposti per l’estromissione dell’alienante pur in assenza di un provvedimento formale (cfr. Cass. 10955/07). Alla luce di tali considerazioni, risulta pertanto evidente come nella vicenda processuale in esame il Ministero, il quale non aveva partecipato al procedimento di appello, introdotto con atto depositato in data 16.12.02, non era legittimato a ricorrere in cassazione avverso la sentenza impugnata, onde la declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto. Sussistono giusti motivi per compensare fra le parti le spese di questo giudizio in quanto l’orientamento giurisprudenziale riportato si è consolidato solo dopo l’introduzione della lite.

Passando all’esame del ricorso presentato dall’Agenzia, giova evidenziare che la sua doglianza, articolata sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione di legge nonchè della motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria, si fonda sui seguenti profili: 1) la C.T.R. non avrebbe fatto una corretta applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, comma 5, per aver ritenuto inerente il costo di esercizio di L. 11.000.000 relativo ad una fattura emessa dalla società Distil. CO VI SCARL di (OMISSIS) avente ad oggetto servizi di segreteria per il periodo gennaio/dicembre 1996. Infatti, la Commissione avrebbe dovuto considerare che non è sufficiente la circostanza che la spesa sia stata contabilizzata occorrendo altresì una documentazione di supporto, nella specie mancante; 2) la CTR non avrebbe applicato correttamente l’art. 75 citato con riguardo all’inserimento, tra i costi, della iattura per L. 279.213.346 emessa dalla ditta D.S.A., vertendosi nella specie in un’ipotesi di fatturazione per operazioni inesistenti; 3) i giudici di appello avrebbero infine sbagliato quando hanno ritenuto priva di pregio la censura dell’Ufficio, secondo cui i ricavi per L. 1.073.817.800, imputati dalla contribuente al 1997, avrebbero dovuto essere invece imputati al 1996 in quanto l’intera fornitura dell’impianto era avvenuta nel 1996 e le fatture di addebito del montaggio erano datate 1996.

Il primo profilo di censura è fondato. Al riguardo, torna utile premettere che la Commissione di appello, per come risulta dalla sentenza impugnata, ha motivato la sua decisione statuendo testualmente: “per quanto attiene il recupero della detrazione d’imposta, relativa alla fattura emessa dalla Coop Distil.co.vi. per servizi di segreteria ed amministrai ivi, è stata dimostrata l’inerenza del costo relativo (e dunque la sua detraibilità), con riferimento al contratto di fornitura di macchinari, che aveva comportato l’organizzazione di persone e mezzi. Il cantiere per l’assemblaggio ed il montaggio di parte dei macchinari fu organizzato infatti direttamente presso la società committente, la quale dovette organizzare vari servizi di amministrazione, collegati con la gestione dì tale commessa”.

Ciò posto, risulta di ovvia evidenza come la CTR si sia limitata ad una proposizione tanto generica quanto apodittica evitando di esaminare le considerazioni formulate dall’Ufficio in ordine al fatto che non fosse sufficiente che la spesa fosse stata contabilizzata occorrendo una documentazione di supporto, nella specie mancante, dalla quale si ricavasse non solo l’importo ma anche la ragione giustificativa della stessa. E ciò, soprattutto in considerazione che la società, emittente la fattura, svolgeva attività di distillazione e commercio di vini e non forniva invece i servizi amministrativi per cui aveva emesso la fattura.

A fronte di tali considerazioni, la CTR ha omesso di spiegare le ragioni per cui esse, a suo avviso, non meritassero di essere condivise ed ha rigettato l’impugnazione con una motivazione del tutto inidonea a giustificare la decisione. Sul punto, vale la pena di aggiungere che secondo la consolidata giurisprudenza della Corte la prova dell’esistenza, inerenza e competenza dei costi incombe al contribuente e che tale prova deve essere particolarmente rigorosa e va fornita con elementi probatori certi e precisi. Ne deriva la fondatezza della censura in esame.

E’ parimenti fondato il secondo profilo di doglianza. Ed invero, il giudice di secondo grado ha fondato la sua decisione sulla considerazione che, nel caso di specie, sarebbe rimasto provato che la ditta D.S.A. effettivamente avesse contestato l’attività della società Cavedoni avendo ricevuto rilievi “per problematiche varie inerenti al processo di trasformazione e alla commercializzazione del prodotto trasformato, da parte di varie cantine sociali”. I rilievi subiti si sarebbero quindi tradotti nel pagamento di un minor compenso avendo la ditta imputato la differenza di compenso a responsabilità della Cavedoni ed emettendo a suo carico fattura per L. 279.213.346.

Orbene anche, in tal caso, la motivazione posta dalla CTR a base della sua statuizione risulta apodittica ed apparente, essendosi i giudici di appello limitati ad accennare a circostanze (le presunte contestazioni subite dalla contribuente, i rilievi ricevuti dalla ditta D.S. da parte di imprecisate cantine sociali; il minor compenso ricevuto dalla stessa ditta) guardandosi bene però dall’indicare le fonti probatorie da cui avevano raccolto gli elementi riportati, cosi da consentire il controllo della correttezza del loro percorso logico-argomentativo. E ciò, ad onta del fatto che, secondo la ricostruzione eseguita dalla polizia tributaria di Bologna, la Cavedoni non solo non aveva offerto prova alcuna in ordine alle presunte contestazioni ma non aveva neppure provato di avere all’epoca personale dipendente che potesse svolgere le attività di assistenza tecnica e di consulenza relative alle lavorazioni eseguite presso l’opificio della ditta D.S. A., di cui alle presunte contestazioni.

A riguardo, mette conto di sottolineare che questa Corte con indirizzo ormai consolidato ha avuto modo di affermare il principio secondo cui qualora l’Amministrazione contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, in quanto relative ad operazioni inesistenti, e fornisca attendibili riscontri indiziari sulla inesistenza delle operazioni fatturate, è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indebiti. (Cass. 2847/08). Ed invero, “se l’amministrazione fornisca validi elementi – alla stregua del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, comma 2 – per affermare che alcune fatture sono state emesse per operazioni (anche solo parzialmente) fittizie, passerà sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate” (Cass. n. 15395/08). Ne deriva l’accoglimento anche di questo secondo profilo di doglianza.

E’ invece infondato l’ultimo profilo. Sul punto, occorre premettere che il giudice di secondo grado ha fondato la sua decisione sulla considerazione che, nel caso di specie, la certezza dell’ammontare dei ricavi in questione è maturata solamente nel 1997 in quanto “il montaggio e l’assemblaggio presso la sede del committente di parte dell’impianto non equivalse alla consegna dell’impianto stesso che doveva essere ancora sottoposto a collaudo. Il contratto di fornitura stipulato tra le parti prevedeva il montaggio è assemblaggio dei pezzi del complesso macchinario presso lo stabilimento del committente ma stabiliva altresì che l’effettiva consegna avrebbe dovuto realizzarsi dopo aver superato la prova di collaudo. La consegna del bene si realizzò effettivamente nel 1997, con la conseguente contabilizzazione dei ricavi acquisiti in quel periodo”.

La decisione sul punto non merita censure. Al riguardo, va premesso che in tema di reddito di impresa le regole sull’imputazione dei componenti di reddito, dettate in via generale dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, sono tassative ed inderogabili, non essendo consentito al contribuente di ascrivere a sua discrezione un componente positivo o negativo di reddito ad un esercizio diverso da quello individuato dalla legge come esercizio di competenza. Ed invero, non si può lasciare il contribuente arbitro della scelta del periodo più conveniente in cui dichiarare i propri componenti di reddito con innegabili riflessi sulla determinazione del proprio reddito imponibile (Cass. n. 17195/06, 16198/01).

Ciò premesso, giova aggiungere che a norma dell’art. 75 sopra citato, ai lini della determinazione dell’esercizio di competenza, i corrispettivi delle prestazioni di servizi – ipotesi ricorrente nella specie vertendosi in tema di contratto di appalto – si considerano conseguiti alla data in cui le prestazioni sono ultimate. Con la conseguenza che concorrono a formare il reddito di impresa, in un periodo considerato, soltanto i ricavi per corrispettivi degli appalti già ultimati. E ciò, indipendentemente dal fatto che i corrispettivi non siano stati ancora incassati.

Ne deriva che, ai fini della determinazione dell’esercizio di competenza, è decisivo quindi l’accertamento riguardante il compimento delle prestazioni di servizio, la cui ultimazione venga riconosciuta pacificamente da tutti i contraenti. Tale considerazione introduce il rilievo che deve essere dato al momento in cui sia intervenuta o si consideri intervenuta l’accettazione de committente, non solo perchè è quello il momento in cui si perfeziona il diritto dell’appaltatore al corrispettivo a norma dell’art. 1665 (Cass. n. 2928/96), ma anche e soprattutto perchè l’accettazione deve essere intesa – ai fini che interessano – come riconoscimento dell’ultimazione delle prestazioni. Ne consegue che nel caso di specie deve ritenersi determinante la circostanza che le parti in sede contrattuale convennero che la consegna effettiva del macchinario sarebbe avvenuta dopo il collaudo in quanto tale atto avrebbe per l’appunto permesso di verificare l’effettiva ultimazione dell’opera in relazione alla rispondenza della stessa ai termini progettuali. Deve infine dichiarato inammissibile per carenza di interesse ad impugnare il ricorso incidentale, con cui la contribuente ha lamentato che la Commissione di secondo grado avrebbe violato la disposizione dell’art. 112 c.p.c., e le disposizioni specifiche del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 53 e 56, essendo il giudice di appello entrato nel merito dell’accertamento benchè non investito di tale potere da parte dell’appellante Agenzia.

A riguardo, è appena il caso di osservare che l’interesse ad impugnare una sentenza o un capo di essa va desunto dall’utilità giuridica che dall’eventuale accoglimento del gravame possa derivare alla parte che lo propone e si ricollega a una soccombenza, anche parziale, nel precedente giudizio, nella specie assolutamente insussistente, mentre è irrilevante il mero interesse a un rispetto di norme che non spieghi alcuna influenza in relazione al mancato accoglimento delle domande e delle eccezioni proposte. (Cass. 4228/07).

Alla stregua di tutte le pregresse considerazioni, vanno pertanto dichiarati inammissibili il ricorso principale del Ministero e quello incidentale della contribuente, vanno accolti il primo ed il secondo profilo di doglianza dell’Agenzia, va rigettato il terzo. La sentenza impugnata deve essere infine cassata in relazione ai profili accolti.

Con l’ulteriore conseguenza che, occorrendo un rinnovato esame da condursi nell’osservanza del principio richiamato, la causa va rinviata ad altra Sezione della CTR Emilia Romagna, che provvederà anche in ordine al regolamento delle spese della presente fase di legittimità.

PQM

La Corte riunisce i ricorsi, dichiara inammissibili il ricorso principale del Ministero e quello incidentale della contribuente, compensa le spese tra il Ministero e la contribuente. Accoglie il primo ed il secondo profilo di doglianza dell’Agenzia, rigetta il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai profili accolti, con rinvio anche per le spese ad altra sezione della CTR Emilia Romagna.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2010

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