Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4298 del 20/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 20/02/2020, (ud. 05/11/2019, dep. 20/02/2020), n.4298

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16857-2018 proposto da:

D.M.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A. PISANO 16,

presso lo studio dell’avvocato VINCENZO LEOPOLDO, rappresentato e

difeso dall’avvocato GAETANO OTTATO;

– ricorrente –

contro

FANTASY TOURS SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE ERITREA 91 presso lo studio

dell’avvocato EMANUELE LAURO, rappresentata e difesa dagli avvocati

RICCARDO COTTONE, FRANCESCO LAURO;

– resistente –

avverso la sentenza n. 7505/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 22/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELLA

MARCHESE.

Fatto

CONSIDERATO

CHE:

con sentenza del 22.11.2017, la Corte d’Appello di Napoli, in accoglimento del gravame interposto dalla società Fantasy Tours S.r.l. e in conseguente riforma della pronunzia del Tribunale di Napoli, ha rigettato la domanda, in origine azionata in via monitoria da d.M.L., di pagamento della retribuzione relativa al mese di novembre 2008;

in discussione tra le parti il pagamento, la Corte territoriale ha ritenuto che la società datrice di lavoro avesse soddisfatto l’onus probandi su di lei gravante;

avverso la suindicata pronunzia, D.M.L. propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, ed illustrato con memoria;

la società ha depositato procura speciale e memoria.

Diritto

RILEVATO

CHE:

con il primo motivo il ricorrente denunzia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, – violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., e nullità della sentenza;

parte ricorrente imputa alla decisione errori di percezione; le censure investono l’affermazione contenuta in sentenza secondo cui la somma pagata corrispondeva alla somma netta indicata nella busta paga di novembre 2008, laddove, in quest’ultima, risultava indicata la somma di Euro 2.196,98 mentre l’importo versato era di Euro 2.200,00; secondo il ricorrente, inoltre, i giudici di merito non avrebbero correttamente valutato la circostanza relativa all’epoca del pagamento, avvenuto in modo anomalo prima che il credito maturasse; infine, la Corte di appello non avrebbe esaminato attentamente il contenuto della missiva del 7.1.2009, riferendolo (id est: il contenuto della missiva) al commercialista della società piuttosto che alla società medesima di cui recava timbro e sottoscrizione;

con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, – è dedotto omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti; il motivo, sotto un diverso profilo, riguarda la missiva del 7.1.2009; secondo il ricorrente, la stessa avrebbe avuto valore di confessione; la Corte territoriale non avrebbe neppure considerato che tutte le retribuzioni erano state sempre pagate con mezzi tracciabili (assegni o bonifici) per cui non era credibile che la retribuzione di novembre fosse stata versata in contanti;

con il terzo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, – è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 2735 c.c.; il rilievo circa il valore di confessione stragiudiziale da attribuire alla missiva del 7 gennaio 2009 (omesso, invece, dalla Corte di appello) è riproposto come vizio di violazione di norme di diritto; secondo il ricorrente, il contenuto del documento con cui si invitava il lavoratore a “ritirare le residue spettanze dovute relativamente al rapporto intrattenuto nel 2008” non avrebbe avuto alcun senso qualora effettivamente le spettanze relative all’ultimo mese del rapporto (novembre 2008) fossero state pagate;

i motivi, intimamente connessi, possono trattarsi congiuntamente;

diversamente da quanto dedotto, tutte le censure investono, sub specie di violazione di legge, l’apprezzamento delle fonti di prova, non sindacabile in questa sede (Cass. n. 30182 del 2018) se non nei ristretti limiti del vizio di motivazione, ratione temporis applicabile;

i motivi, infatti, piuttosto che evidenziare violazioni puntuali di norme di diritto, sostanziali e/o processuali, rinvenibili nella sentenza impugnata, si risolvono in una critica dell’iter logico-argomentativo che sorregge la decisione; nessuno dei motivi, però, illustra, nei rigorosi termini richiesti dal vigente testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, (applicabile alla fattispecie), il “fatto storico”, non esaminato, che abbia costituito oggetto di discussione e che abbia carattere decisivo (Cass., sez.un., n. 8053 del 2014);

la Corte territoriale, nel rispetto del principio per cui incombe sul debitore la prova del pagamento che integra un fatto estintivo (v., ex multis, Cass., n. 19527 del 2012), ha ritenuto soddisfatto l’onus probandi incombente sulla parte datoriale;

a tale riguardo, ha sì valutato la circostanza che il pagamento fosse avvenuto prima dell’esigibilità (e della stessa maturazione) del credito ed anche esaminato il contenuto della missiva del 7 gennaio 2009; tuttavia, ha giudicato, in esplicazione dei propri poteri discrezionali, che detti elementi, in uno ad altri e (reputati) più significativi indici fattuali (l’avvenuto pagamento per il mese di ottobre 2008 in relazione al quale il creditore pretendeva l’imputazione, l’assenza di altri e pregressi crediti, la corrispondenza – sostanziale – dell’importo versato con il netto dovuto per il mese in questione), fornissero prova del pagamento controverso;

va ribadito il principio per cui “in tema di prova, spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti” (Cass. n. 13485 del 2014); senza neppure che il giudice sia “tenuto ad un’esplicita confutazione degli (…) elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti” (ex plurimis, Cass. n. 17753 del 2017);

in base alle argomentazioni svolte, il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile senza doversi peraltro fare luogo a pronunzia in ordine alle spese di giudizio di cassazione, non avendo l’intimata svolto una regolare attività difensiva.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2C)12, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 5 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2020

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