Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4297 del 23/02/2010

Cassazione civile sez. trib., 23/02/2010, (ud. 12/01/2010, dep. 23/02/2010), n.4297

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. DI DOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro in

carica. ed Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro

tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato

presso i cui uffici sono domiciliati ope legis in Roma, via dei

Portoghesi 12;

– ricorrenti –

contro

S.r.l. “Cavedoni Trade”, in persona del legale rapp.te pro tempore

elettivamente domiciliata in Roma piazza dei Carracci, 1 presso lo

studio dell’avv. Alessandi Alessandro che la rappresenta e difende

giusta procura speciale in calce al controricorso unitamente e

disgiuntamente all’avv. Angelo Osnato del Foro di Ferrara;

– controricorrente e ricorrente incidentale

avverso la sentenza n. 23.01.05, depositata in data 16.3.05 della

Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12.1.10 dal Consigliere Dott. Giovanni Carleo;

Udita la difesa svolta dall’avv. Osnato per conto del

controricorrente che ha concluso per il rigetto del ricorso con

vittoria di spese;

Udito il P.G. in persona del dr. Wladimiro De Nunzio che ha concluso

per il rigetto del ricorso principale e di quello incidentale.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con avviso di accertamento notificato il 29.7.1999 il Quarto Ufficio delle entrate di Bologna contestava alla S.r.l. “Cavedoni Trade” la mancata contabilizzazione di una sopravvenienza attiva di L. 100.000.000 l’indeducibilità di costi per sopravvalutazione di esistenze iniziali e per L. 151.057.745 per difetto di competenza.

Accertava quindi una maggiore Irpeg pari a L. 320.937.000 rispetto alla dichiarazione per L. 21.030.000, una maggiore llor per L. 140.518.000 rispetto alla dichiarazione per L. 10.244.000 per l’anno di imposta 1997. L’avviso in questione si fondava sulla base di una verifica generale nei confronti della società, conclusasi con pvc del 8 marzo 1999. Avverso l’accertamento la S.r.l. “Cavedoni Trade” presentava ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Bologna, la quale lo accoglieva. Proponeva appello l’Agenzia delle Entrate. La Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna rigettava il gravame. Avverso la detta sentenza hanno quindi proposto ricorso per cassazione articolato in un unico motivo il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate. La contribuente resiste con controricorso e propone a sua volta ricorso incidentale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

In via preliminare, vanno riuniti il ricorso principale e quello incidentale condizionato, in quanto proposti avverso la stessa sentenza. Sempre, in via preliminare, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, posto che lo stesso deve essere ritenuto privo della necessaria legittimazione ad impugnare la sentenza di secondo grado in quanto il giudizio di appello, al quale non aveva partecipato, è stato introdotto dopo il primo gennaio del 2001 nei confronti della sola Agenzia delle Entrate. A riguardo, è appena il caso di osservare che la data indicata coincide con quella in cui è divenuta operativa l’istituzione dell’Agenzia delle entrate, con conseguente successione a titolo particolare della stessa nei poteri e nei rapporti giuridici strumentali all’adempimento dell’obbligazione tributaria, per effetto della quale deve ritenersi che la legittimazione “ad causam” e “ad proecssum” nei procedimenti introdotti successivamente alla predetta data spetti esclusivamente all’Agenzia (Sez. Un. n. 3118/06). Giova aggiungere, con riferimento ai procedimenti introdotti precedentemente alla detta data come nel caso di specie, che questa Corte ha avuto modo di affermare il principio secondo cui, pronunciata la sentenza di primo grado nei confronti del dante causa, il giudizio di appello da quest’ultimo consapevolmente disertato e celebrato senza che alcuna delle parti reclamasse l’integrazione del contraddittorio, con successiva sentenza nei confronti del solo successore – così come è avvenuto nella vicenda processuale in esame – consente di ritenere integrati i presupposti per l’estromissione dell’alienante pur in assenza di un provvedimento formale (cfr Cass. 10955/07).

Alla luce di tali considerazioni, risulta pertanto evidente come nella vicenda processuale in esame il Ministero, il quale non aveva partecipato al procedimento di appello, introdotto con atto depositato in data 16.12.02 non era legittimato a ricorrere in cassazione avverso la sentenza impugnata. onde la declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto. Passando all’esame del ricorso presentato dall’Agenzia, giova evidenziare che la sua doglianza, articolata sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione di legge nonchè della motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria, si fonda su tre diversi profili: 1) la C.T.R. non avrebbe fatto una corretta applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 55 ed avrebbe errato quando ha ritenuto che la somma ricevuta dalla società contribuente a titolo di acconto per una fornitura di macchinari, successivamente rimasta ineseguita a ragione della revoca dell’ordinativo da parte del committente non fosse una sopravvenienza attiva 2) la CTR non avrebbe applicato correttamente l’art. 76, comma 6 del D.P.R. citato. Infatti, poichè le vendite effettuate dalla contribuente alla Feluca Food Mavhinery e alla Distil Co.vi dovevano considerarsi effettuate nel 1996, i beni oggetto dei contratti non avrebbero dovuto risultare tra le rimanenze finali di quell’anno ed essere quindi considerate come costi imputabili nell’anno successivo 3) i giudici di appello avrebbero infine sbagliato quando avevano condiviso l’impostazione della contribuente, la quale aveva registrato per il 1997 tre fatture per prestazioni di servizi ricevuti l’anno precedente sulla base della considerazione che riguardo al 1996 non potesse essere determinato in modo certo il loro ammontare.

Il primo profilo di censura è fondato. A riguardo, mette conto di premettere che. a seguito della revoca dell’ordinativo da parte della impresa acquirente, mentre il bene oggetto della vendita, alla data 31 dicembre 1997, risultava iscritto tra le rimanenze finali di merce e quindi risultava ancora nel patrimonio aziendale della contribuente, l’acconto ricevuto dalla Cavedoni Trade, esattamente la somma di L. 100.000.000 corrispondente all’importo della fattura pagata, comprensivo di IVA, fu invece trattenuto dalla contribuente, la quale con lettera del 27.12.1997 aveva comunicato all’acquirente che le avrebbe rimborsato la somma versata quando avesse avuto la possibilità di vendere a terzi il macchinario. Tale premessa torna utile nella misura in cui evidenzia come la mancata restituzione dell’acconto, permanendo l’impianto, oggetto di vendita, ne patrimonio aziendale della Cavedoni, andasse oggettivamente ad incrementare le disponibilità finanziarie della contribuente. E ciò, senza considerare che il rimborso era subordinato ad una condizione (il reperimento di un nuovo acquirente) che costituiva un evento futuro ed incerto, il cui accadimento era rimesso nella sostanza delle cose al comportamento, se non alla volontà, della stessa società. Ciò posto, premesso che quella delle sopravvenienze attive costituisce una categoria residuale rispetto all’analitica elencazione dei componenti positivi del reddito d’impresa, la quale trova applicazione in presenza di componenti non altrimenti qualificabili, va tenuto presente che il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 55, comma 1, TUIR, ne qualificare “sopravvenienze attive”, da iscrivere in bilancio, anche “i ricavi o altri proventi conseguiti per ammontare superiore a quello che ha concorso a formare il reddito in precedenti esercizi”, non concede spazio ad interpretazioni restrittive della voluntas legis, inducendo a ritenere la sussistenza di sopravvenienze attive in tutti i casi in cui, per qualsiasi ragione, si verifichi nel bilancio una connotazione attiva che determini un incremento degli elementi che avevano concorso a formare il reddito in precedenti esercizi.

E’invece infondato il secondo profilo di censura. Sul punto, occorre premettere che il giudice di secondo grado ha fondato la sua decisione sulla considerazione che, nel caso di specie, anche se per alcuni impianti la società terminò effettivamente la fase di montaggio nel 1996, essa si era riservata di effettuare la consegna soltanto dopo l’espletamento del relativo collaudo. La ratio decidendi espressa dalla Commissione si fondava pertanto sul rilievo che la mancata consegna dei beni nel 1996, a ragione de collaudo che doveva essere ancora espletato in osservanza della previsione contrattuale, comportava il loro inserimento tra le rimanenze finali per quell’anno e quindi tra le rimanenze iniziali per l’anno successivo.

La decisione sul punto non merita censure. Al riguardo, va premesso che in tema di reddito di impresa le regole sull’imputazione dei componenti di reddito, dettate in via generale dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 sono tassative ed inderogabili, non essendo consentito al contribuente di ascrivere a sua discrezione un componente positivo o negativo di reddito ad un esercizio diverso da quello individuato dalla legge come esercizio di competenza. Ed invero, non si può lasciare il contribuente arbitro della scelta del periodo più conveniente in cui dichiarare i propri componenti di reddito con innegabili riflessi sulla determinazione del proprio reddito imponibile (Cass. n. 17195/06, 16198/01).

Ciò premesso, giova aggiungere che a norma dell’art. 75 sopra citato, ai fini della determinazione dell’esercizio di competenza, i corrispettivi delle prestazioni di servizi – ipotesi ricorrente nella specie vertendosi in tema di contratto di appalto – si considerano conseguiti alla data in cui le prestazioni sono ultimate. Con la conseguenza che concorrono a formare il reddito di impresa, in un periodo considerato, soltanto i ricavi per corrispettivi degli appalti già ultimati. E ciò, indipendentemente dal fatto che i corrispettivi non siano stati ancora incassati.

Ne deriva che ai fini della determinazione dell’esercizio di competenza, è decisivo quindi l’accertamento riguardante il compimento delle prestazioni di servizio, la cui ultimazione venga riconosciuta pacificamente da tutti i contraenti. Tale considerazione introduce il rilievo che deve essere dato al momento in cui sia intervenuta o si consideri intervenuta l’accettazione del committente, non solo perchè è quello il momento in cui si perfeziona il diritto dell’appaltatore al corrispettivo a norma dell’art. 1665 (Cass. n. 2928/96), ma anche e soprattutto perchè l’accettazione deve essere intesa ai fini che interessano – come riconoscimento dell’ultimazione delle prestazioni. Ne consegue che nel caso di specie deve ritenersi determinante la circostanza che le parti in sede contrattuale convennero che la consegna effettiva del macchinario sarebbe avvenuta dopo il collaudo in quanto tale atto avrebbe per l’appunto permesso di verificare l’effettiva ultimazione dell’opera in relazione alla rispondenza della stessa ai termini progettuali.

E’ invece fondato il terzo profilo di censura. Al riguardo, occorre chiarire quanto segue. Non è dubbio che, così come si desume dalla complessiva prescrizione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75 già varie volte citato, il legislatore abbia previsto una deroga al principio della competenza, col consentire la deducibilità delle spese e dei componenti negativi nel diverso esercizio nel quale si raggiunge la certezza della loro esistenza ovvero la determinabilità, in modo obiettivo, del relativo ammontare (Cass. n. 17568/07). Ma se questo è vero non può trascurarsi che la Commissione di appello, nell’affermare in sentenza che, nella specie, la certezza dell’ammontare della “posta” in questione sarebbe maturata solamente nel 1997 quando la società aveva emesso le fatture in questione, una volta pervenuta “in possesso dei dati di cui non poteva tener conto nell’arco temporale dell’anno precedente”, ha fornito una motivazione apparente, assolutamente apodittica, senza minimamente spiegare le ragioni per le quali la certezza della spesa e del suo ammontare sarebbe maturata solo in seguito alla ricezione delle fatture. Ed è appena il caso di sottolineare come il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, dedotto dall’Amministrazione, si verifica non solo nell’ipotesi di totale assenza di una qualunque esplicitazione delle ragioni della pronunzia ma anche nel caso di una sostanziale inidoneità della motivazione a rappresentare le ragioni poste a base della decisione. Ne deriva la fondatezza anche di quest’ultimo profilo della doglianza in esame.

Va infine dichiarato inammissibile per carenza di interesse ad impugnare il ricorso incidentale, con cui la contribuente ha lamentato che la Commissione di secondo avrebbe violato la disposizione dell’art. 112 c.p.c. e le disposizioni specifiche del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 53 e 67 esaminando il merito dell’accertamento malgrado non fosse stata investita di tale facoltà da parte dell’appellante Agenzia. A riguardo, è appena il caso di osservare che l’interesse ad impugnare una sentenza o un capo di essa va desunto dall’utilità giuridica che dall’eventuale accoglimento del gravame possa derivare alla parte che lo propone e si ricollega a una soccombenza, anche parziale, nel precedente giudizio, nella specie assolutamente insussistente, mentre è irrilevante il mero interesse a un rispetto di norme che non spieghi alcuna influenza in relazione al mancato accoglimento delle domande e delle eccezioni proposte. (Cass. 4228/07).

Atteso il tenore dell’adottata decisione, sussistono giusti motivi per compensare fra tutte le parti le spese dell’intero giudizio.

PQM

La Corte riunisce i ricorsi, dichiara inammissibili il ricorso principale del Ministero e quello incidentale della contribuente.

Accoglie il primo ed il terzo profilo di doglianza proposti dall’Agenzia, rigetta il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai profili di doglianza accolti e decidendo nel merito rigetta il ricorso introduttivo della lite, relativamente ai profili accolti. Compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 12 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2010

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