Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4293 del 23/02/2010

Cassazione civile sez. trib., 23/02/2010, (ud. 11/01/2010, dep. 23/02/2010), n.4293

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso n. 14242/07 R.G. proposto da:

Autostrade Meridionali S.p.A., in persona del legale rappresentante

p.t., elettivamente domiciliato in Roma, via Reggio Calabria, n. 6,

presso l’Avvocato Nicola Bultrini, rappresentato e difeso

dall’Avvocato Potito Enrico per procura speciale a margine de

ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore p.t., domiciliato in

Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello

Stato che lo rappresenta e difende secondo la legge;

– resistente –

avverso la sentenza n. 233/48/05 della Commissione tributaria

regionale della Campania, depositata il 24.3.2006.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

giorno 1 1.1.2010 dal relatore Cons. Dr. Giuseppe Vito Antonio Magno;

Udito, per la ricorrente, l’Avvocato Enrico Potito;

Udito i P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

1.- Dati del processo.

1.1.- La società Autostrade Meridionali S.p.A. ricorre, con unico motivo, illustrato da memoria, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la commissione tributaria regionale della Campania accoglie parzialmente l’appello proposto dall’ufficio e riforma conseguentemente la sentenza n. 229/17/2004 della commissione tributaria provinciale di Napoli, che aveva accolto il ricorso proposto dalla contribuente contro l’avviso di accertamento e rettifica della dichiarazione IVA concernente l’anno 1997, notificato il 1.10.2002, con cui il competente ufficio IVA di Napoli, a seguito d’indagini, recuperava l’IVA detratta in relazione a costi ritenuti non inerenti all’esercizio dell’impresa, afferente in particolare, per quanto ancora interessa, a canoni di locazione di un immobile, nella misura di L. 95.603.790, oltre sanzioni.

1.2.- L’intimata agenzia delle entrate resiste mediante controricorso.

2.- Questione pregiudiziale.

2,1.- Il controricorso dell’agenzia delle entrate, notificato in data 16.7.2007, oltre la scadenza del termine complessivo di quaranta giorni previsto dal combinato disposto degli artt. 369 e 370 c.p.c., essendo stato notificato il ricorso in data 9.5.2007, è inammissibile.

3.- Motivo del ricorso.

3.1.- Con unico articolato motivo la società ricorrente chiede l’annullamento della sentenza impugnata, censurandola in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5 per:

3.1.1.- violazione dell’art. 112 c.p.c.;

3.1.2.- violazione e falsa applicazione del combinato disposto del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 13 e 19, art. 54, commi 2 e 3;

3.1.3.- omessa, contraddittoria e illogica motivazione su punti decisivi della controversia.

3.2.- La ricorrente deduce:

3.2.1.- sotto il primo profilo (par. 3.1.1), che il giudizio della commissione regionale – secondo la quale la non inerenza del costo di cui si discute all’attività d’impresa si ricaverebbe dal fatto che la scelta imprenditoriale di apportare, a fondo perduto, migliorie molto costose (per un importo pari ad oltre L. 1.373 milioni) ad un locale preso in subaffitto non era economicamente giustificabile e dimostrava l’esistenza di un intento elusivo – non troverebbe “coincidenza” con la materia del contendere, limitata all’annualità 1997, essendo state eseguite le migliorie in anni precedenti al 1992, allorchè “la congruità dei canoni di locazione era stata costantemente riconosciuta dalle commissioni di merito per tutti i precedenti anni”, con sentenze passate in cosa giudicata, impedienti una nuova discussione in materia;

3.2.2.- con riferimento al secondo profilo (par. 3.1.2), che, trattandosi di canoni il cui pagamento nella misura pattuita era debitamente documentato, la rettifica delle registrazioni sarebbe ammissibile solo in base a dati certi, non presuntivi come quelli ricavabili dalla pretesa antieconomicità dell’operazione, ravvisata – in contrasto con le non valutate giustificazioni addotte da essa contribuente – sia nell’eccessività del canone di sublocazione (trenta milioni di lire mensili) rispetto a quello di locazione (due milioni) sia nella presenza di una clausola contrattuale prevedente – in conformità, peraltro, all’innegabile libertà negoziale delle parti – l’attribuzione delle migliorie al proprietario, senza compenso, al termine della locazione:

3.2.3.- in via subordinata, lamenta la mancata riduzione della sanzione, con riferimento sia alla ridotta entità dell’imposta dovuta (per effetto dell’infondatezza di altri rilievi) sia all’applicabilità della norma posteriore più favorevole, secondo il principio di legalità, ed all’assenza di recidiva, stante l’avvenuto annullamento degli accertamenti relativi alle annualità pregresse.

3.3.- Formula quindi i seguenti quesiti di diritto:

3.3.1.- “Se dall’autonomia dei periodi d’imposta, prevista sia in tema di imposte dirette che d’IVA, discenda necessariamente la conseguenza che la medesima questione che riguarda una pluralità di anni debba essere riprodotta dall’Ufficio delle imposte per ogni successivo singolo periodo d’imposta, una volta che la stessa sia stata definitivamente giudicata in punto di fatto infondata con sentenza passata in giudicato in precedenti periodi d’imposta”;

3.3.2.- “Se le norme di cui agli artt. 1592 e 1593 c.c. in materia di manutenzione della cosa locata e di miglioramenti ed addizioni siano di carattere imperativo e non possano esser derogate dalle pattuizioni in concreto contenute nel contratto”;

3.3.3.- “Se, in materia d’imposte dirette e d’IVA, la sopportazione di rilevanti costi e spese apparentemente contraria ai canoni di economia comporti necessariamente l’indeducibilità ai fini del reddito d’impresa e l’indetraibilità della relativa IVA oppure sia ammissibile qualora il contribuente giustifichi la necessità e la convenienza di affrontarne l’erogazione. Se a tal fine possa considerarsi inerente all’attività dell’impresa anche una spesa che sia giustificata dall’esigenza di evitare un onere ancora maggiore necessario per conseguire un risultato comunque utile per l’attività dell’impresa”.

4.- Decisione.

3.1.- Il ricorso deve essere rigettato, per le ragioni di seguito espresse. Nulla devesi disporre in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità, in cui l’intimata agenzia delle entrate non ha svolto valide difese.

5.- Motivi della decisione.

5.1.- Dei diversi profili di censura contenuti nell’unico motivo di ricorso – ammissibilmente, con la formulazione di distinti quesiti (Cass. nn. 976/2008, 19560/2007; contro, Cass. n. 5471 /2008) – il primo (par. 3.1.1, 3.2.1 ) è infondato.

5.1.1.- Il giudizio – eminentemente di fatto, come tale insindacabile in questa sede di legittimità, se non per incoerenza o insufficienza sul piano logico – di antieconomicità della spesa a fondo perduto per migliorie è stato formulato dalla commissione regionale al solo scopo di dimostrare l’esistenza di un intento elusivo, e quindi la non inerenza di tale costo all’esercizio dell’impresa: dovendosi intendere l’inerenza come correlazione del costo con un’attività potenzialmente idonea a produrre utili (Cass. n. 1465/2009).

5.1.2.- In questi termini, il suddetto giudizio di antieconomicità, formulato sub specie di non inerenza della spesa, è perfettamente inquadrabile nella materia del contendere, quindi non esorbita, per eccesso o per difetto, dai limiti della domanda nè, pertanto, viola la disposizione dell’art. 112 c.p.c..

5.1.3.- L’eccezione di giudicato, cui si riferisce il primo quesito (par. 3.3.1), è inammissibile.

Il giudicato esterno – quale regula juris attinente, in questo caso, alla valutazione di un elemento costante della fattispecie tributaria (inerenza all’attività d’impresa di un contratto di sublocazione immobiliare comprendente una clausola onerosa di miglioria), quindi teoricamente vincolante in diversi periodi d’imposta (S.U. n. 13916/2006), asseritamente formatosi in epoca precedente alla proposizione del presente ricorso per cassazione, ma di cui la sentenza d’appello non fa menzione, non è stato specificamente indicato nel ricorso quale documento su cui esso si fonda, come impone, a pena d’inammissibilità, il novellato art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 (cfr. Cass. nn. 29279/2008, 22303/2008, 19766/2008);

5.2.- Il secondo profilo di censura (par. 3.1.2, 3.2.2) è inammissibile. La risposta agli inerenti quesiti (par. 3.3.2 e 3.3.3), così come formulati, non consente infatti di risolvere la controversia (S.U. n. 28536/2008).

5.2.1.- In effetti, assodato che l’autonomia negoziale delle parti consente loro di stipulare validamente una clausola onerosa di miglioria nel quadro di un contratto di sublocazione immobiliare, resta il fatto che una simile pattuizione possa non avere nel caso specifico – come ritiene insindacabilmente la commissione regionale – apprezzabili motivazioni economiche, e che pertanto non sia opponibile al fisco sotto l’aspetto dell’inerenza all’attività dell’impresa, ravvisabile solo se il costo è sopportato dall’imprenditore in previsione di un utile; circostanza esclusa dal giudicante a qua che, in base alla “corposa documentazione in attì”, considera l’affare “non … economicamente giustificabile”.

5.2.2.- Quanto precede contiene anche la risposta al terzo quesito che, del resto, risulta generico: in teoria, infatti, una spesa diretta a conseguire un risultato utile, “giustificata dall’esigenza di evitare un onere ancora maggiore”, sarebbe da considerare “inerente”; ma simile affermazione non risolve il caso concreto, caratterizzato da fatto che il giudicante di merito, esaminati gli atti, non ritiene sussistente la condizione che il quesito da per scontata (che l’ingente spesa a fondo perduto per migliorie fosse giustificata economicamente).

5.3.- I terzo profilo di censura (par. 3.1.3), concernente pretesi vizi della motivazione, è inammissibile per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., mancando la chiara indicazione del “fatto controverso”, in relazione al quale la motivazione sarebbe omessa o contraddittoria ed illogica (S.U. nn. 16528 e 11652/2008, 20603/2007; Cass. n. 16002/2007).

5.4.- L’eccezione subordinata relativa alla misura della sanzione (par. 3.2.3), risolventesi sostanzialmente in una critica della sentenza per violazione di legge, è inammissibile, ancora ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., perchè non è stato formulato alcun quesito in proposito.

5.5.- Segue la decisione, nel senso indicato al par. 4.1.

6.- Dispositivo.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 5^ sezione civile – tributaria, il 11 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2010

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