Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4292 del 20/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 20/02/2020, (ud. 05/11/2019, dep. 20/02/2020), n.4292

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26820-2018 proposto da:

VIGIL SCARL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE MAZZINI 134, presso lo

studio dell’avvocato ANNA BUTTAFOCO, rappresentata e difesa

dall’avvocato VINCENZO BARBATO;

– ricorrente –

contro

D.R.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SESTO RUFO, 23,

presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI ERCOLE MOSCARINI,

rappresentato e difeso dagli avvocati MICHELINA MONTUORO, RAFFAELE

PIGNATARO, ANNA ORLANDO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 301/2018 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 29/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CARLA

PONTERIO.

Fatto

RILEVATO

che:

1. con sentenza n. 301 pubblicata il 29.5.2018 la Corte d’Appello di Salerno, in parziale accoglimento dell’appello di D.R.C. e in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato la soc. coop. Vigil a.r.l. al pagamento in favore del predetto dipendente della somma di Euro 7.200,00 a titolo di differenze retributive per il periodo dal 21.3.2011 all’1.3.2012 e di Euro 2.165,18 a titolo di T.F.R., oltre accessori di legge;

2. la Corte territoriale ha ritenuto pacifico e dimostrato (dagli estratti conto Inps) che nel periodo dal 21.3.2011 al 29.2.2012 il D.R., sebbene inquadrato come dipendente part time, avesse svolto un orario di lavoro giornaliero di otto ore, su cinque giorni settimanali; ha quindi riconosciuto le differenze retributive e di T.F.R. come sopra determinate; ha escluso il diritto a differenze retributive per i mesi da marzo a dicembre 2012 rilevando come in tale arco temporale il lavoratore fosse stato sempre assente per malattia;

3. avverso tale sentenza la Vigil s.c.a.r.l. ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, illustrati da successiva memoria, cui ha resistito con controricorso D.R.C.;

4. la proposta del relatore è stata comunicata alla parte, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

5. con il primo motivo di ricorso la Vigil s.c.a.r.l. ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 434 c.p.c., per non avere la Corte di merito dichiarato l’inammissibilità dell’appello proposto dal D.R. (allegato al ricorso in esame) in quanto privo dei requisiti di cui alla disposizione citata; in particolare, il lavoratore avrebbe frazionato la domanda e introdotto in appello un tema del tutto nuovo avendo, nel ricorso introduttivo di primo grado, chiesto l’accertamento dello svolgimento del rapporto di lavoro nei confronti della ECO S.I.L. per l’intero arco temporale dal 2000 al 2012 e chiamato in causa anche la Eredi S. e la Vigil s.c.a.r.l. quali responsabili solidali; nel ricorso in appello fatto valere solo il rapporto lavorativo con la Vigil s.c.a.r.l. limitatamente al periodo compreso tra il marzo 2011 e il dicembre 2012;

6. con il secondo motivo di ricorso la Vigil s.c.a.r.l. ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 435 c.p.c., e degli artt. 24 e 111 Cost., per non avere la Corte di merito dichiarato l’inammissibilità dell’appello, già eccepita dalla società in detta sede, in ragione della proposizione di una domanda nuova, nel petitum e nella causa petendi, avendo il D.R. in primo grado chiesto la condanna in solido delle tre società al pagamento della somma complessiva di Euro 144.228,20 per l’intero periodo di lavoro, in relazione all’art. 2112 c.c., e in appello domandato la condanna della sola Vigil s.c.a.r.l. al pagamento di Euro 16.007,90 per il periodo successivo al 2011, sebbene in primo grado avesse riferito di avere di fatto lavorato, dal 2011, per la ECO S.I.L. s.r.l.;

7. con il terzo motivo di ricorso la Vigil s.c.a.r.l. ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., e dell’art. 2697 c.c., per avere la Corte d’appello valutato erroneamente le prove raccolte e adottato una motivazione illogica, irrazionale e lacunosa; ha sottolineato come le testimonianze poste a base della decisione di secondo grado (debitamente trascritte e riprodotte in allegato al ricorso) avessero descritto il rapporto di lavoro del D.R. facendo riferimento all’arco temporale 2000-2012, mentre la sentenza impugnata aveva utilizzato quelle prove in riferimento al periodo 2011-2012;

8. col quarto motivo di ricorso la Vigil s.c.a.r.l. ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione degli artt. 414,184 bis c.p.c., e art. 345 c.p.c., comma 2; inoltre, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e ancora violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., e dell’art. 2697 c.c.; ha sostenuto che la Corte d’appello ha utilizzato un estratto contro contributivo prodotto dal D.R. solo in appello, quindi tardivamente in violazione degli artt. 414 e 345 c.c., e così rimettendo in termini il lavoratore in assenza dei requisiti di cui al citato art. 184 bis c.p.c.; ha aggiunto che la sentenza d’appello ha omesso di valutare altri documenti prodotti dal lavoratore e dalla società, vale a dire buste paga (all. 8 del D.R.) e copie di assegni (all. 9 di parte datoriale) che, se esaminati, avrebbero dimostrato la percezione da parte del dipendente di somme superiori a quelle riconosciute dalla sentenza impugnata;

9. i primi due motivi di ricorso, da riqualificare ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto denunciano la violazione o falsa applicazione di norme che disciplinano lo svolgimento del processo per giungere ad una decisione di merito, sono infondati;

10. il primo motivo non denuncia specificamente l’assenza dei requisiti di cui all’art. 434 c.p.c., come delineati dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 27199 del 2017, quanto la violazione del principio del divieto di nova in appello, che si assume realizzata attraverso il ridimensionamento della domanda, analogamente al secondo motivo, il che giustifica la trattazione congiunta;

11 al riguardo, occorre rilevare che la stessa società ricorrente ha dato atto, nello storico della lite, di come il Tribunale avesse rigettato la domanda del D.R. quanto al periodo 2002-2006 in ragione della conciliazione intervenuta con la Eredi S. s.r.l. e quanto al periodo 2007-2009 per effetto della conciliazione intervenuta con la Vigil s.c.a.r.l.; il primo giudice aveva respinto nel merito la domanda del lavoratore verso quest’ultima società in relazione al periodo 21.3.2011-20.12.2012 per difetto di prova del diritto alle differenze retributive; il D.R., nel ricorso in appello, ha limitato la domanda all’ultimo periodo di lavoro alle dipendenze della attuale ricorrente, riducendo l’importo richiesto a titolo di differenze retributive e il periodo di riferimento, senza in alcun modo introdurre domande nuove;

12. questa Corte ha precisato che si ha mutatio libelli quando si avanzi una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, introducendo nel processo un petitum diverso e più ampio oppure una causa petendi fondata su situazioni giuridiche non prospettate prima e particolarmente su un fatto costitutivo radicalmente differente, di modo che si ponga al giudice un nuovo tema d’indagine e si spostino i termini della controversia, con l’effetto di disorientare la difesa della controparte ed alterare il regolare svolgimento del processo (cfr. Cass. n. 17454 del 2009; n. 12621 del 2012; n. 32146 del 2018); tali requisiti non risultano certo integrati nel caso di specie, in cui l’appellante ha limitato il petitum ad un periodo dell’intero arco lavorativo e conseguentemente selezionato nell’ambito della iniziale causa petendi il lavoro svolto per un unico datore;

13. il terzo motivo di ricorso è inammissibile nella parte in cui denuncia un vizio di motivazione illogica e lacunosa in ragione dell’applicabilità del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (sentenza d’appello del 2018) che limita il sindacato di legittimità sulla motivazione al minimo costituzionale, con la conseguenza che l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di qualsiasi rilievo del difetto di “sufficienza”, nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass., S.U., n. 8053/14); si è ulteriormente precisato che di “motivazione apparente” o di “motivazione perplessa e incomprensibile” può parlarsi laddove essa non renda “percepibili le ragioni della decisione, perchè consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talchè essa non consenta alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice” (Cass. S.U. n. 22232 del 2016). Tali difetti non sono rinvenibili nella decisione in esame che rende percepibile il percorso motivazionale seguito dalla Corte territoriale per l’accoglimento delle domande attorea;

14. neppure può trovare accoglimento la censura di violazione degli artt. 115,116 c.p.c., e dell’art. 2697 c.c., che presuppone, come più volte precisato da questa Corte (cfr. Cass. n. 11892 del 2016; Cass. n. 25029 del 2015; Cass. n. 25216 del 2014), il mancato rispetto delle regole di formazione della prova ed è rinvenibile nelle ipotesi in cui il giudice utilizzi prove non acquisite in atti (art. 115 c.p.c.), o valuti le prove secondo un criterio diverso da quello indicato dall’art. 116 c.p.c., cioè una prova legale secondo prudente apprezzamento o un elemento di prova liberamente valutabile come prova legale, oppure inverta gli oneri di prova, laddove nel caso in esame è censurata sostanzialmente solo la valutazione delle prove testimoniali come operata dalla Corte di merito, peraltro al di fuori dei rigorosi limiti tracciati dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 8053 del 2014) quanto al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5;

15. il quarto motivo è parimenti inammissibile nella parte in cui denuncia la violazione degli artt. 115,116 c.p.c., e art. 2697 c.c., per le ragioni già esposte; è inammissibile quanto alla dedotta violazione degli artt. 414,184 bis c.p.c., art. 345 c.p.c. in quanto non si confronta col potere riconosciuto al giudice d’appello ai sensi dell’art. 437 c.p.c., ed implicitamente esercitato nel caso di specie (cfr. Cass., S.U., n. 10790/17; n. 11994/18);

16. quanto all’omesso esame dei documenti (buste paga e assegni), deve richiamarsi l’orientamento di questa Corte secondo cui “Il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di fondamento. Ne consegue che la denuncia in sede di legittimità deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa”, (Cass. n. 16812 del 2018; n. 19150 del 2016); nel caso in esame tale decisività deve escludersi già in ragione della inidoneità delle buste paga a fornire prova documentale dell’avvenuto pagamento della retribuzione e della mancanza di qualsiasi riferimento alla data di emissione degli assegni;

17. per le ragioni esposte il ricorso deve essere respinto;

18. la regolazione delle spese segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo;

19. si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.500,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge, da distrarsi in favore degli avvocati A. Orlando, R. Pignataro, M. Montuoro, antistatari.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 5 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2020

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