Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4291 del 22/02/2018


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Cassazione civile, sez. VI, 22/02/2018, (ud. 25/01/2018, dep.22/02/2018),  n. 4291

Fatto

 

Con sentenza in data 4 novembre 2015 la Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione distaccata di Catania, respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, ufficio locale, avverso la sentenza n. 792/1/11 della Commissione tributaria provinciale di Ragusa che aveva accolto i ricorsi di Sc.Am. e S.C. contro il silenzio-rifiuto di rimborso IRPEF per gli anni 1990, 1991, 1992. La CTR osservava in particolare che, anche in adesione alla giurisprudenza di legittimità consolidatasi, i rimborsi fiscali de quibus dovevano considerarsi dovuti indipedentemente dall’avvenuto versamento o meno delle imposte e che peraltro, sempre seguendo la giurisprudenza di legittimità, le relative istanze non potevano considerarsi tardive in quanto proposte entro il termine, prorogato ex lege, del 31 marzo 2012.

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate deducendo tre motivi.

Resistono con controricorso i contribuenti.

La ricorrente successivamente ha depositato una memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo di ricorso l’agenzia fiscale ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, artt. 11 e 14 preleggi, L. n. 212 del 2000, art. 3, comma 1, D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, comma 3 e art. 2033 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo di non condividere l’orientamento di questa Corte in ordine all’applicabilità dell’agevolazione prevista dalla L. n. 289 del 2000, art. 9, comma 17, anche ai contribuenti che all’entrata in vigore di tale disposizione di favore avevano integralmente versato le imposte relative agli anni 1990, 1991 e 1992.

La censura è inammissibile.

Nel caso di specie le tesi sostenute dalla difesa erariale nel motivo in esame sono del tutto identiche a quelle esaminate e confutate da questa Corte già nella sentenza n. 20641 del 2007 (con riferimento a fattispecie del tutto analoga a quella qui vagliata) e poi ancora nella sentenza n. 11247 del 2010 (con riferimento ai contributi previdenziali dovuti dai soggetti colpiti dall’alluvione della città di Alessandria nel novembre 1994) e n. 3832 del 2012 (con riferimento ai soggetti colpiti dall’alluvione del Piemonte del 1994).

In tali pronunce si è affetinato che la definizione automatica della posizione fiscale prevista dalle disposizioni di favore emanate per i soggetti colpiti da particolari calamità naturali “può avvenire in due simmetriche possibilità: in favore di chi non ha ancora pagato, mediante il pagamento solo del 10% del dovuto da effettuarsi entro il 16 marzo 2003; in favore di chi ha già pagato, attraverso il rimborso del 90% di quanto versato al medesimo titolo. Ciò per effetto dell’intervento normativo citato, cui va riconosciuto il carattere di “ius superveniens” favorevole al contribuente, tale da rendere quanto già versato non dovuto ex post (Cass. n. 20641 del 2007) “in coerenza con l’interpretazione costituzionalmente orientata della legge e, in particolare, con i principi di ragionevolezza e uguaglianza da ritenere tanto più accentuati in quanto riferiti a vittime di calamità naturali” (Cass. n. 3832 del 2012).

Analoga confutazione hanno avuto le argomentazioni svolte dalla difesa erariale con riferimento ai principi espressi dalla Corte costituzionale nelle pronunce dalla medesima citate nel ricorso, essendosi affermato (Cass. n. 18205 del 2016) che in quelle pronunce vengono definite “sine causa” i pagamenti di tributi precedentemente effettuati dal contribuente e, quindi, dovute al momento della sobillo, ma divenuti indebiti a seguito di successivo intervento legislativo; che è situazione del tutto identica a quella in esame.

Si è detto, inoltre, che il Giudice delle leggi ha differenziato la disciplina del condono – che essendo caratterizzata dalla “incentivazione dei pagamenti non ancora effettuati” e non escludendo la “causa debendi” dei pagamenti anteriormente effettuati, non interferisce con il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost. – dalle altre disposizioni di favore – nel cui ambito si ascrivono quella in esame – che sono estranee alla tecnica ed alle finalità del condono e che non rispondono “ad esigenze della finanza pubblica” (così Corte Cost., sent. n. 416 del 2000), ma piuttosto mirano a “realizzare un’uniformità di regolamentazione” di una disciplina sostanziale (come la Corte costituzionale ha ritenuto con riferimento alle agevolazioni per la prima casa) oppure a prevedere misure di sostegno in favore di soggetti particolarmente bisognosi, come quelli danneggiati da calamità naturali (in tal senso Cass. n. 11247 del 2010), che è appunto l’ipotesi che viene qui in rilievo.

Il motivo di ricorso non supera quindi lo scrutinio di ammissibilità di cui all’art. 360 bis c.p.c., comma 1, n. 1 (da effettuarsi in ordine ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione; v. in tal senso Cass., Sez. U., n. 7155 del 2017), atteso che la condizione di ammissibilità del ricorso, indicata nella citata disposizione processuale, non è integrata dalla mera dichiarazione, espressa nel motivo, di porsi in contrasto con la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 3142 del 2011 e n. 19190 del 2017).

Con il secondo motivo l’agenzia fiscale ricorrente si duole della violazione della L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 665 e art. 112 c.p.c., poichè la CTR ha errato nel ritenere spettante al contribuente il rimborso delle ritenute operate dal datore di lavoro del medesimo, che aveva assolto gli obblighi tributari quale sostituto d’imposta, a costui spettando in via esclusiva il rimborso, come avrebbe dovuto desumersi sia dal riferimento testuale nella norma alle imposte “versate”, sia dalla ratio dell’intervento legislativo diretto ad assicurare – siccome evidenziato dall’interpretazione fornita dal Governo nell’ordine del giorno n. 9/5310-bis C-R/65 della seduta del 28/12/2004, e poi ancora dalle risoluzioni dell’amministrazione finanziaria n. 23/E del 2005 e n. 247/E del 2008 – un sostegno economico alle imprese delle province colpite dagli eventi sismici e comunque riferito alle imposte autoliquidate dagli stessi contribuenti.

La censura è infondata.

Va ribadito (Cass. n. 17472 e n. 17473 del 2017) che “tale interpretazione non trova invero univoco riferimento nel dato positivo, specie alla luce della interpretazione estensiva e costituzionalmente orientata di cui sopra si è detto. Il riferimento testuale alle imposte “versate”, in particolare, non può assumere il significato scriminante che intende attribuirgli l’amministrazione, non rinvenendosi in materia ragione alcuna per derogare al principio fissato dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38, in forza del quale, in tema di rimborso delle imposte sui redditi, sono legittimati a richiedere all’Amministrazione finanziaria il rimborso della somma non dovuta e ad impugnare l’eventuale rifiuto dinanzi al giudice tributario sia il soggetto che ha effettuato il versamento (c.d. sostituto d’imposta), sia il percipiente delle somme assoggettate a ritenuta (c.d. sostituito) (v. ex aliis Cass. 14/07/2016, n. 14406; Cass. 29/07/2015, n. 16105), rimanendo quest’ultimo, comunque, il contribuente/debitore principale e come tale beneficiario diretto del provvedimento agevolativo di che trattasi”.

Pertanto si deve confermare che il lavoratore, che si identifica con il contribuente, vanta e può esercitare il diritto al rimborso per le somme indebitamente ritenute alla fonte e versate dal datore di lavoro, restando del tutto indifferente ai fini della spettanza del beneficio la circostanza che la somma, oggetto di richiesta di rimborso, sia stata versata tramite ritenute operate dal sostituto d’imposta.

Tale principio ha peraltro recentemente trovato l’avallo del Legislatore che con la L. n. 123 del 2017, art. 16-octies, comma 1, lett. b), di conversione con modifiche del D.L. n. 91 del 2017, ha modificato della L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 665, specificando espressamente che tra “i soggetti colpiti dal sisma del 13 e 16 dicembre 1990, che ha interessato le province di Catania, Ragusa e Siracusa, (…), che hanno versato imposte per il triennio 1990-1992 per un importo superiore al 10 per cento previsto dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 9, comma 17, e successive modificazioni” e che “hanno diritto, con esclusione di quelli che svolgono attività d’impresa, (…) al rimborso di quanto indebitamente versato”, sono “compresi i titolari di redditi di lavoro dipendente, nonchè i titolari di redditi equiparati e assimilati a quelli di lavoro dipendente in relazione alle ritenute subite”.

E nel senso dell’effettiva spettanza del rimborso ai lavoratori dipendenti si è espressa anche l’Agenzia delle Entrate nel provvedimento direttoriale, prot. n. 195405/2017 del 26/09/2017, emesso ai sensi del terzo periodo del novellato della L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 665, che prevede che “Con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate, da emanare entro il 30 settembre 2017, sono stabilite le modalità e le procedure finalizzate ad assicurare il rispetto dei limiti di spesa stabiliti dal presente comma”.

Al riguardo va rilevato che, invariata la previsione del limite di spesa fissato nella misura “pari a 30 milioni di Euro per ciascuno degli anni 2015-2017”, la novella introdotta dalla L. n. 123 del 2017, art. 16-octies, comma 1, si è limitata a precisare che il rimborso di quanto indebitamente versato spetta ai soggetti specificamente individuati “nei limiti della spesa autorizzata dal presente comma” (primo periodo del comma 665 modificato dalla lettera a) del citato art. 16-octies, comma 1), ovvero nei limiti dei suddetti 90 milioni di Euro complessivi per il triennio 2015-2017, stabilendo che “in relazione alle istanze di rimborso presentate, qualora l’ammontare delle stesse ecceda le complessive risorse stanziate dal presente comma, i rimborsi sono effettuati applicando la riduzione percentuale del 50 per cento sulle somme dovute” e che “a seguito dell’esaurimento delle risorse stanziate dal presente comma non si procede all’effettuazione di ulteriori rimborsi” (quinto periodo del comma 665 come introdotto dalla lettera b) del citato art. 16-octies, comma 1), demandando al direttore dell’Agenzia delle Entrate l’emanazione di un provvedimento che stabilisca “le modalità e le procedure finalizzate ad assicurare il rispetto dei limiti di spesa stabiliti dal presente comma”, in precedenza riservando il citato comma 665 al Ministro dell’economia e delle finanze l’emanazione di un “decreto” con cui stabilire “i criteri di assegnazione dei predetti fondi”.

Ritiene il Collegio che tale ius superveniens, attuato con il sopra citato provvedimento direttoriale, non incide sulla questione della quale è investita la Corte con il ricorso in esame, ovvero del diritto al rimborso spettante ai soggetti colpiti dal sisma del 1990, qual è il controricorrente, operando i limiti delle risorse stanziate e venendo in rilievo eventuali questioni sui consequenziali provvedimenti liquidatori emessi dall’Agenzia delle Entrate soltanto in fase esecutiva e/o di ottemperanza.

Il che rende infondata la richiesta avanzata dalla difesa erariale di rimessione della causa alla pubblica udienza della Quinta Sezione civile di questa Corte.

Inoltre costituisce jus receptum l’affermazione che, in mancanza di disposizioni transitorie, non incide sui giudizi in corso l’introduzione, con legge sopravvenuta, di un diverso procedimento amministrativo di rimborso (es. tra le tante Cassazione Civile, sez. trib., 24/04/2015, n. 8373, in tema di IVA).

Ciò rende complessivamente tuttora operanti e pienamente attuali i principi di diritto già consolidatamente enunciati in materia da questa Corte (ex miiltis, solo per le ultime, cfr, Sez. 6-5, nn. 29899-29399-29384-29382-27859-27602-27601-27586/2017) e dunque “decidibile” l’odierno ricorso con rito camerale a mente degli artt. 375 e 380-bis c.p.c., senza la necessità della celebrazione della pubblica udienza, pur sollecitata dalla difesa erariale.

Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2, secondo periodo, L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 665, artt. 12 e 14 preleggi, nonchè art. 112 c.p.c., poichè la CTR ha errato nel ritenere tempestiva l’istanza di rimborso, proposta in data 4 dicembre 2007e quindi oltre cinque anni dalla data di entrata in vigore della L. n. 289 del 2002.

La censura è infondata.

Quanto al termine per la presentazione dell’istanza questa Corte, nella già citata sentenza n. 18205 del 2016, ha infatti affermato che lo ius superveniens costituito dalla L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 665, i.p., ha espressamente previsto che “Il termine di due anni per la presentazione della suddetta istanza è calcolato a decorrere dalla data di entrata in vigore della L. 28 febbraio 2008, n. 31, di conversione del D.L. 31 dicembre 2007, n. 248” e cioè dal 1 marzo 2008.

Ne consegue che le istanze de quibus sono all’evidenza tempestive.

Conclusivamente, quindi, il primo motivo di ricorso va dichiarato inammissibile, il secondo ed il terzo motivo vanno rigettati.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (Sez. 6-L, Ordinanza n. 1778 del 29/01/2016, Rv. 638714-01).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso, rigetta il secondo ed il terzo motivo; condanna l’agenzia fiscale al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 800 oltre Euro 200 per esborsi, 15% per contributo spese generali ed accessori di legge.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2018

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