Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4285 del 17/02/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 17/02/2017, (ud. 18/10/2016, dep.17/02/2017),  n. 4285

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24131/2015 proposto da:

R.L., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato DANIELA

BACCHETTA, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

P.S., B.F., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIALE CARLO FELICE, 63, presso lo studio dell’avvocato BARBARA

SERMARINI, rappresentati e difesi dagli avvocati VINCENZO DONNO,

GABRIELE DONNO, giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 393/2015 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

Sezione specializzata agraria, del 24/07/2015, depositata il

18/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ENZO VINCENTI;

udito l’Avvocato Gabriele Donno difensore dei controricorrenti che si

riporta agli scritti.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che il consigliere designato ha depositato, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., la seguente relazione:

“1. – Con sentenza resa all’udienza del 24 giugno 2015 e depositata nella motivazione il 18 luglio 2015, la Corte di appello di Perugia, sezione specializzata agraria, ha respinto l’appello proposto da R.L. avverso la decisione del Tribunale della medesima Città, assunta all’udienza del 28 novembre 2014 e depositata nella motivazione il successivo 17 dicembre, confermando integralmente la decisione di primo grado, la quale, a sua volta, aveva rigettato la domanda di risarcimento danni proposta dal medesimo R. contro B.F. e P.S., escludendo che sussistesse la prova del pregiudizio lamentato dall’attore in relazione alla dedotta interruzione (a seguito di illegittima esecuzione di sentenza poi riformata) delle attività di allevamento di pulcini ed agricola svolte sul terreno condotto in affitto ed acquistato in sede di procedura esecutiva immobiliare dai convenuti.

2. – Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale ricorre R.L. sulla base di sette motivi.

Resistono con controricorso B.F. e P.S..

3. – Il ricorrente, premesso che la “sentenza impugnata (ha) confermato la sentenza del Tribunale recependola acriticamente”, denuncia: 1) “omessa valutazione di circostanze decisive emerse da prove documentali” (docc. nn. 2 e 7, verbale del 24 gennaio 2003); 2) “violazione dell’art. 608 c.p.c.”; 3) “omessa valutazione delle risultanze delle prove testi in ordine a circostanze decisive”; 4) “mancanza di motivazione su circostanze decisive risultanti da documenti prodotti dal ricorrente”; 5) “mancanza di valutazione di circostanza decisiva risultante dalle dichiarazioni del teste Dott. Pi. e da documento prodotto all’ud. 16/5/2014 ed irregolarmente non ammesso”; 6) “omessa valutazione di circostanze decisive indicate dal ricorrente al fine dell’integrazione della prova per presunzioni circa l’esistenza degli impianti aziendali”; 7) “mancata valutazione delle circostanze probanti i danni da mancata valutazione del fondo”.

4. – Sebbene nel ricorso non siano indicate le disposizioni processuali in forza delle quali sono state veicolate le doglianze che disciplinano i vizi denunciabili in sede di legittimità, tutti i motivi, nella sostanza – anche quello sub 2), posto che la critica si incentra essenzialmente sulla valutazione del contenuto del verbale dell’ufficiale giudiziario operata dal giudice del merito, là dove l’evocata violazione di legge, come tale (ossia, in riferimento alla mancata nomina del custode), è del tutto inconferente rispetto alla ratio decidendi della sentenza impugnata -, censurano la motivazione della sentenza impugnata sotto il profilo degli apprezzamenti “in fatto” del giudice di appello, formatisi sulla scorta del giudizio inerente alla rilevanza e alla concludenza delle emergente istruttorie, siccome complessivamente ritenute insufficienti a dare la prova della esistenza dei danni lamentati dall’attore.

Si tratta, dunque, di censure che, lungi dal denunciare errores in indicando o in procedendo, possono, semmai (ed astrattamente), essere riconducibili al paradigma censorio di cui dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Ciò premesso, come assunto dallo stesso ricorrente, la decisione di gravame ha confermato in toto il giudizio “in fatto” (sull’insussistenza della prova del pregiudizio lamentato) al riguardo espresso dal primo giudice.

Il ricorso si palesa, dunque, inammissibile alla stregua della previsione di cui all’art. 348-ter c.p.c., comma 5, che esclude che possa essere impugnata ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, novellato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito, con modificazioni” dalla L. n. 134 del 2012 (applicabile ratione temporis, giacchè l’appello è stato proposto successivamente all’11 settembre 2012: cfr. tra le altre, Cass., 18 dicembre 2014, n. 26860), la sentenza di appello “che conferma la decisione di primo grado”.

Peraltro, occorre soggiungere che le doglianze non si palesano, in concreto, neppure idonee a radicare una effettiva denuncia in base al vigente n. 5 dell’art. 360 c.p.c., giacchè, lungi dal porre in risalto un omesso esame di un “fatto” decisivo, sono orientate piuttosto a criticare la sentenza impugnata sotto il profilo di presunte insufficienze ed aporie degli esiti valutativi delle risultanze probatorie, ossia per aspetti che non sono ascrivibili al vizio in esame, come attualmente veicolabile in sede di legittimità (così la costante giurisprudenza di questa Corte a partire da Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053), là dove, infine, la motivazione della Corte territoriale non si presta affatto ad essere ritenuta apparente o oggettivamente incomprensibile, snodandosi, invece, secondo un percorso pianamente

5. – Sussistendone i presupposti, ai sensi degli artt. 375, 376 e 380-bis c.p.c., il ricorso può, dunque, essere avviato alla trattazione camerale, per essere ivi dichiarato inammissibile”;

che la relazione ex art. 380-bis c.p.c., ed il decreto di fissazione dell’adunanza della Corte in Camera di consiglio sono stati notificati ai difensori delle parti;

che la parte controricorrente ha depositato memoria in prossimità di detta adunanza;

che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il Collegio condivide la proposta di definizione contenuta nella relazione ex art. 380-bis c.p.c.;

che, pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile; che le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza;

che, trattandosi di causa devoluta alle sezioni specializzate agrarie di cui alla L. n. 320 del 1963, essa, pur non annoverata tra quelle esentate dal contributo unificato del D.P.R. n. 115 del 2002, ex artt. 9 e 10, continua a fruire della non abrogata norma di cui alla L. n. 283 del 1957, art. 3, sicchè è esente al detto contributo e, conseguentemente, al suo raddoppio come disposto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (Cass., 31 marzo 2016, n. 6227).

PQM

LA CORTE

dichiara inammissibile il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida, in favore dei controricorrenti, in complessivi Euro 3.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3, della Corte Suprema di Cassazione, il 18 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2017

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