Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4283 del 22/02/2011

Cassazione civile sez. II, 22/02/2011, (ud. 26/01/2011, dep. 22/02/2011), n.4283

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 32521-2005 proposto da:

C.R., C.G. C.F. (OMISSIS),

C.A., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ATERNO 9,

presso lo studio dell’avvocato PELLICCIARI MICHELE, che li

rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

VICARIATO ROMA in persona del legale rappresentante Sua Em.za Rev.ma

Sig. Cardinale R.C. P.I. (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE MARZIO 1, presso lo studio

dell’avvocato VIANELLO LUCA, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

PESSEMESSE ALBERTINE quale erede di B.G., + ALTRI OMESSI

;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4013/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 27/09/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/01/2011 dal Consigliere Dott. VINCENZO MAZZACANE;

udito l’Avvocato Camerini Gianluca con delega depositata in udienza

dell’Avv. Michele Pellicciari difensore dei ricorrenti che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avv. Vianello Luca difensore dei resistenti che ha chiesto il

rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI CARMELO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 7-2-1991 C.R., + ALTRI OMESSI esponendo:

in data (OMISSIS) decedeva in (OMISSIS) T.A., che aveva disposto del suo patrimonio con testamento olografo pubblicato il 7-3- 1981;

– uno dei legati in esso contenuto prevedeva: “lascio il mio appartamento vuoto di tutto, sito in (OMISSIS) per beneficenza ai bisognosi che soffrono la fame e tremende malattie specialmente bambini e vecchi e per indicazioni precise rivolgersi alla (OMISSIS)”;

– il Vicariato di Roma, presentata l’istanza di autorizzazione alla accettazione del lascito, con decreto del Presidente della Repubblica del 2-9-1988 era stato autorizzato a conseguire il legato in oggetto, gravato dal vincolo di destinazione consistente nell’obbligo di alienazione e devoluzione del ricavato ad opere di assistenza e beneficenza;

– il legato era nudo per indeterminatezza del legatario ai sensi dell’art. 628 c.c., non essendo applicabile alla fattispecie l’art. 630 c.c. ai sensi del quale, comunque, il bene avrebbe dovuto essere devoluto all’ente comunale di assistenza e non al Vicariato di Roma, esclusa comunque l’applicabilità dell’art. 631 c.c. per l’assenza di persone determinate o appartenenti a famiglie o categorie di persone determinate tra cui eseguire la scelta che in ogni caso non sarebbe potuta ricadere sul Vicariato di Roma;

– T.A. era nubile e priva di discendenti diretti, cosicchè venivano a successione legittima i fratelli e le sorelle, e in mancanza i loro discendenti, ovvero i fratelli L., M. e T.V., i discendenti della sorella premorta T.L., quelli del fratello premorto T.M. ed i discendenti della sorella premorta T.M..

Gli attori quindi chiedevano dichiararsi la nullità della suddetta disposizione testamentaria, ed in ogni caso invalida e priva di titolo l’acquisizione del legato da parte del Vicariato di Roma, dichiararsi aperta la successione legittima di T.A. con delazione alle persone suindicate, ordinarsi al Vicariato di Roma il rilascio dell’immobile e disporsi la divisione dello stesso tra gli eredi.

Si costituiva in giudizio il Vicariato di Roma sostenendo la validità del legato e della sua accettazione, e in via riconvenzionale e subordinatamente all’accoglimento della domanda attrice, la condanna degli attori al pagamento delle spese sostenute per la manutenzione e gestione dell’immobile.

Si costituivano in giudizio V. e T.M. che aderivano alla domanda attrice, nonchè A., + ALTRI OMESSI che invece ne chiedevano il rigetto; gli altri convenuti restavano contumaci.

Il Tribunale adito con sentenza dell’11-1-2000, ritenuta l’applicabilità alla fattispecie dell’art. 630 c.c., ritenuto il difetto di legittimazione degli attori a contestare l’individuazione dell’ente favorito perchè spettante, semmai, al Comune di Roma, e ritenuta comunque la corretta individuazione nella Caritas, e per essa nel Vicariato, dell’ente favorito ed indicato dalla testatrice quale strumento per la realizzazione dello scopo umanitario, rigettava le domande attrici e la domanda riconvenzionale.

Proposta impugnazione da parte di R., + ALTRI OMESSI cui resisteva il Vicariato di Roma mentre P. A., erede di G.B., nelle more deceduta, si rimetteva alla decisione di giustizia, la Corte di Appello di Roma con sentenza del 27-9-2005 ha rigettato il gravame.

Per la cassazione di tale sentenza C.R., C. G. ed C.A. hanno proposto un ricorso articolato in quattro motivi cui il Vicariato di Roma ha resistito con controricorso; gli altri soggetti intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede; i ricorrenti hanno successivamente depositato una memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 628 e 630 c.c., censurano la sentenza impugnata perchè, dopo aver premesso che l’art. 630 c.c. è destinato ad integrare le carenze della disposizione testamentaria nella duplice direzione della individuazione concreta sia dei beneficiati e sia del soggetto pubblico (Comune) cui i beni vengono devoluti per l’eventualità che il pubblico istituto non sia determinato, ovvero questi non possa o non voglia accettare l’incarico, ha affermato che la disposizione testamentaria per cui è causa coincideva con la richiamata previsione normativa, trattandosi di lascito in favore dei bisognosi espresso in forma generica, e che l’espressione conclusiva di essa, con il riferimento alla Caritas, costituiva designazione di quest’ultima quale ente beneficiario del lascito; essi assumono che l’art. 630 c.c. non contempla affatto l’eventualità che l’istituto beneficiario del lascito sia individuato nella disposizione testamentaria, in quanto disciplina in via tassativa l’ipotesi opposta, cioè le disposizioni in favore di poveri e similari; nella specie, quindi, l’aver ritenuto che la Caritas fosse il pubblico istituto beneficiario del lascito avrebbe dovuto comportare la non applicabilità dell’art. 630 c.c., che presuppone appunto l’assenza di designazione del pubblico istituto, e porsi pertanto il problema della validità della disposizione testamentaria alla luce dell’art. 628 c.c..

La censura è infondata.

La Corte territoriale, nel condividere l’assunto del giudice di primo grado secondo cui la disposizione testamentaria sopra enunciata era valida secondo la previsione dell’art. 630 c.c., ha affermato che tale norma, prevedendo la validità delle disposizioni “a favore dei poveri e altre simili” anche se “espresse genericamente” nel chiaro intento di rispettare la volontà del testatore e salvare la disposizione, provvede ad integrarne tutte le carenze, tanto con riferimento alla delimitazione logistica dei beneficiati, che alla individuazione del soggetto pubblico – cioè l’ente comunale di assistenza – cui i beni vanno devoluti, ove non sia indicato l’istituto beneficiato, ovvero quando questo non può o non vuole accettare l’incarico; ha quindi rilevato che il legato della T. coincideva con la previsione normativa, trattandosi di un lascito a favore di bisognosi, indicati in forma generica e indeterminata, che tale rimaneva nonostante la più ristretta specificazione della categoria da parte della testatrice.

Il convincimento espresso dal giudice di appello è frutto di un corretto inquadramento dell’ambito di operatività dell’art. 630 c.c., destinato per evidenti ragioni umanitarie a sopperire in via eccezionale alla indeterminatezza dei destinatari, e quindi a conservare efficacia alla volontà del testatore, in quanto la disposizione in favore di persone bisognose ed indeterminate, in assenza di una norma specifica come quella in esame, dovrebbe ritenersi nulla ai sensi dell’art. 628 c.c..

Orbene l’art. 630 c.c. in relazione alle evidenziate finalità prevede che il testamento determini il pubblico istituto (o l’uso) a cui beneficio sono fatte le disposizioni a favore dei poveri e altre simili, cosicchè in questo caso tale istituto sarà onerato di destinare l’oggetto del lascito in favore dei soggetti bisognosi genericamente indicati dal testatore; qualora invece tale determinazione non vi sia, e dunque in assenza di un ente che rappresenti tale cerchia di destinatari della disposizione testamentaria, quest’ultima si intende effettuata a favore dei poveri del luogo dell’ultimo domicilio del “de cuius”, ed i beni sono devoluti al locale ente comunale di assistenza, cui viene attribuita la qualità di chiamato.

Pertanto le sentenza impugnata, avendo individuato nella specie l’ente beneficiario del lascito nella Caritas, ha fatto puntuale applicazione della prima delle due ipotesi previste dall’art. 630 c.c. per ritenere valida la disposizione testamentaria di T. A..

Con il secondo motivo i ricorrenti, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. c.c., sostengono che erroneamente il giudice di appello ha ravvisato nella disposizione testamentaria per cui è causa l’istituzione della Caritas e per essa del Vicariato di Roma quale soggetto legatario dell’immobile predetto; invero dal tenore letterale della disposizione stessa non emergeva alcuna manifestazione di volontà in questo senso, perchè in tal caso la testatrice avrebbe direttamente istituito i suddetti soggetti, onerandoli del vincolo di destinazione dell’immobile.

I ricorrenti ritengono infondate le argomentazioni in proposito addotte dalla sentenza impugnata; in particolare l’asserito collegamento tra la disposizione a favore dei bisognosi e la menzione della Caritas era privo di un significato concreto, la remissione alla Caritas di ciò che atteneva alla disposizione era del pari irrilevante, considerato che la testatrice aveva invitato a rivolgersi a quest’ultima solo “per indicazioni precise”; infine la pretesa illogicità di ritenere conforme alla volontà di T. A. la designazione di un soggetto incaricato di individuare i destinatari del legato senza la designazione del soggetto onerato della realizzazione della finalità di beneficare i bisognosi è espressamente contemplata dall’art. 630 c.c., comma 2, dove è prevista la possibilità per il testatore di incaricare una persona di determinare l’uso o il pubblico istituto a beneficio del quale la disposizione è stata fatta.

La censura è infondata.

La Corte territoriale ha ravvisato nella disposizione testamentaria sopra enunciata la designazione della Caritas quale ente beneficiario del lascito, valorizzando in tal senso il collegamento tra la disposizione in favore dei bisognosi e la menzione della Caritas e la remissione a quest’ultima di ciò che atteneva alla disposizione stessa, e sottolineando la illogicità della tesi secondo cui la testatrice, mentre si sarebbe preoccupata del soggetto incaricato di individuare i destinatari del legato, avrebbe omesso la designazione fondamentale del soggetto onerato della realizzazione della finalità da lei voluta, come tale beneficiario della disposizione stessa.

Orbene tale interpretazione della scheda testamentaria per cui è causa, basata essenzialmente sugli elementi letterali di essa, nonchè evidentemente sulle finalità umanitarie proprie della Caritas, si risolve in un accertamento di fatto sorretto da congrua e logica motivazione, come tale immune dai profili di censura sollevati dai ricorrenti, che invero si sono limitati a prospettare una diversa ricostruzione della volontà della testatrice, senza specificazione dei canoni in concreto inosservati e tantomeno del modo in cui il giudice di merito si sarebbe da essi discostato; in tale contesto deve pure essere valutata l’affermazione secondo cui la testatrice avrebbe incaricato un terzo di determinare il pubblico istituto nonchè la concreta individuazione dei destinatari del legato ai sensi dell’art. 630 c.c., comma 2.

Con il terzo motivo i ricorrenti, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 100 e 112 c.p.c., censurano la sentenza impugnata per aver negato la legittimazione degli esponenti a contestare la validità dell’acquisto da parte del Vicariato di Roma sulla base del rilievo che, anche se la disposizione per cui è causa fosse effettivamente carente della istituzione del legatario, soltanto il Comune di Roma sarebbe stato legittimato a far valere il suo titolo e la invalidità della acquisizione del legato; invero, trattandosi di azione volta ad ottenere la declaratoria di nullità dell’acquisto del legato da parte dei Vicariato di Roma perchè sprovvisto di titolo, cosicchè la legittimazione a tale azione era attribuita a chiunque vi avesse interesse, nella specie gli eredi avevano interesse a proporre tale azione per ottenere il rispetto della effettiva volontà della testatrice; inoltre, nel caso che il bene fosse stato devoluto al Comune di Roma ai sensi dell’art. 630 c.c., gli eredi avrebbero avuto interesse a vigilare sull’adempimento dell’onere inerente alla predetta disposizione e, in difetto, a chiedere la risoluzione ex art. 648 c.c..

I ricorrenti deducono comunque la violazione dell’art. 112 c.p.c., non essendosi avveduta la Corte territoriale che gli attori fin dal primo grado di giudizio avevano chiesto anche la declaratoria di invalidità dell’acquisizione in proprietà dell’immobile per cui è causa da parte del Vicariato di Roma, formulando quindi una domanda diversa da quella avente ad oggetto la nullità del legato.

Tale motivo resta assorbito all’esito del rigetto dei primi due motivi di ricorso.

Con il quarto motivo i ricorrenti, deducendo violazione dell’art. 600 c.c. ancora vigente all’epoca di apertura della successione di T. A., premesso che il Vicariato di Roma era stato autorizzato dal decreto del Presidente della Repubblica del 2-9-1988 a conseguire il lascito “in nome, per conto e nell’interesse della Caritas”, sostengono che quest’ultima era soggetto di diritto ancorchè privo di personalità giuridica, cosicchè il giudice di merito, avendo ravvisato nella disposizione testamentaria per cui è causa la istituzione diretta della Caritas quale istituto beneficiato, avrebbe dovuto applicare alla fattispecie la norma imperativa sopra menzionata, secondo cui le disposizioni a favore di un ente non riconosciuto non hanno efficacia se entro un anno dal giorno in cui il testamento è eseguibile non è fatta istanza per ottenere il riconoscimento.

La censura è inammissibile.

Invero, poichè la questione giuridica prospettata, che implica un accertamento di fatto, non risulta trattata dalla sentenza impugnata, i ricorrenti, al fine di evitare una sanzione di inammissibilità per novità della censura, avevano l’onere – in realtà non assolto – non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di appello, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo avesse fatto, per dar modo a questa Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento di Euro 200,0 per spese e di Euro 4000,00 per onorari di avvocato.

Così deciso in Roma, il 26 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2011

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